In attesa di poter leggere il ben più noto Stoner ho ripiegato (ma il termine è eccessivo, come emergerà con il mio giudizio) su Augustus, un romanzo storico sul primo degli imperatori romani, su quell’Ottaviano successore designato di Giulio Cesare. L’autore, molto opportunamente, riporta in una nota all’inizio dell’opera una precisazione con cui evidenzia che, per quanto abbia cercato di rispettare rigorosamente gli eventi e i personaggi, così come pervenutici dalla storia, ha dovuto, per esigenze letterarie, commettere errori voluti, inventare fatti, creare personaggi che forse non sono mai esistiti. In buona sostanza ha ritenuto doveroso evidenziare che non si tratta di un saggio, di una biografia, bensì, a tutti gli effetti, di un romanzo storico. La metodologia adottata per parlarci di Augusto è la più varia, ricorrendo a epistole di Cicerone, a brevi brani degli Atti di Augusto e al frammento di un libro perduto della Storia di Tito Livio conservato da Seneca il Vecchio. Comunque siano state le fonti quello che mi preme evidenziare è che Williams è riuscito a darci un ritratto realistico di quello che fu Augusto, inserito perfettamente nel suo contesto storico che ci consente anche di avere un’idea, non vaga, e nemmeno allo stato di ipotesi, di quella che doveva essere realmente la società romana, dei giochi di potere che fermentavano, che dividevano, che minacciavano l’esistenza stessa di Roma, una sorta di politica nefasta e corrotta che presenta straordinarie analogie anche con l’Italia d’oggi. Ottaviano, poi divenuto Augusto, è un uomo esile, dalla salute cagionevole, ma dalla fortissima e determinata personalità, un protagonista assoluto che saprà sbarazzarsi degli assassini di Cesare e poi del rivale Marco Antonio, assicurando a Roma un lungo periodo di quiete e di prosperità. L’uomo più potente della terra, un Dio in terra, è in realtà un abile e accorto politico, che, al di fuori di quella che è la gestione dello stato, ha solo due passioni: la moglie Livia e la figlia Giulia. Per quanto le ami dovrà sacrificarle alla ragion di stato così che questa stella di prima grandezza, che splende di fuori agli occhi di tutti, è in effetti un essere profondamente infelice, che resterà progressivamente solo con la dipartita degli amici fidati, da Agrippa a Mecenate, all’adorato Virgilio. Questa intima malinconia è resa in modio splendido dall’autore, che ha anche avuto l’idea accostare la solitudine della potenza con la serenità degli esseri umili. Al riguardo le pagine in cui si descrive l’incontro, per le vie di Roma, di Augusto con Irzia, che gli fu compagna di giochi e amica quando entrambi erano bimbi, ora una donna un po’ più anziana, non ricca, ma nemmeno povera, amata dai figli, baciata da una serenità contagiosa anche se avverte prossima la dipartita, sono forse le migliori del romanzo. Augusto riconosce l’amica, che lo chiama, come da bambina, Tavio; prova gioia, pur nella malinconia che lo permea, e i due parlano, prima del passato, poi del presente. “Ho dato a Roma una libertà di cui io solo non posso godere”. “Non hai trovato la felicità, dissi io (Irzia), nonostante tu l’abbia data.” .”Così è stata la mia vita”. Si scambiano altre parole e al momento del commiato Augusto poggia le labbra sulla guancia di lei. Credetemi, raramente mi è capitato di leggere pagine in cui il contrasto fra l’aridità del potere e la pace della vita semplice sono state rese così bene. Credo che Williams sia riuscito a carpire dopo tanti secoli la personalità di Ottaviano, e non solo quella, ma anche le altre di Mecenate, di Orazio, di Virgilio e della sua piccola cerchia di amici. Quando parlano sembrano vivi, non si ha cioè quella sensazione di parole messe in bocca a chi non può pronunciarle e forse accade questo perché ci siamo lasciati avvincere dall’opera e ora siamo in lei, camminiamo sul selciato del foro, ascoltiamo le gare poetiche di Orazio e di Virgilio, siamo accanto ad Augusto nei rari momenti di gioia con la moglie e la figlia, lo seguiamo in punta di piedi mentre con passo sempre più stanco si avvia verso la soglia dell’Ade.
Augustus non è stato di certo un ripiego, visto che lo considero un capolavoro.
John Williams (Clarksville, 1922 – Fayetteville, 1994)
Romanziere, poeta e accademico statunitense, dopo la Seconda guerra mondiale, alla quale prende parte in qualità di sergente dell’aeronautica in India e in Birmania, studia all’Università di Denver. In questo perdio pubblica i suoi primi lavori: il romanzo Nothing But the Night (1948) e il libro di poesie The Broken Landscape (1949), che sarà seguito nel 1965 da una seconda raccolta: The Necessary Lie. Nel 1954 ottiene il dottorato di ricerca in letteratura inglese all’Università del Missouri e, nel 1955, torna all’Università di Denver come docente di scrittura creativa. Nel 1960 pubblica il suo secondo romanzo Butcher’s Crossing, seguito nel 1965 dal celebrato Stoner. ha curato le antologie English Renaissance Poetry (1963). Ha fondato e diretto fino al 1970 la rivista «University of Denver Quarterly». Muore nel 1994, lasciando incompiuto il suo quinto romanzo, The Sleep of Reason.
Nasce a Mantova l’8 maggio 1947. Laureato in economia e commercio, dopo aver lavorato per lungo tempo presso un’azienda di credito ora è in pensione e vive con la moglie Svitlana a Borgo Virgilio (MN). Ha vinto con la poesia Senza tempo il premio Alois Braga edizione 2006 e con il racconto I silenzi sospesi il Concorso Les Nouvelles edizione 2006. Sue poesie e racconti sono pubblicati sulle riviste Carmina, Isola Nera, Prospektiva e Writers Magazine Italia, oltre a essere presenti in antologie collettive e in e-book. Ha pubblicato le sillogi poetiche Canti celtici (Il Foglio, 2007) e Il cerchio infinito (Il Foglio, 2008).
E’ il dominus del sito culturale Arteinsieme (www.arteinsieme.net)
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