KULT Underground

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Intervista con Raffaella Daino

11 min read
PIVIRAMA
Senza Rete
 
Raffaella Daino, cantautrice siciliana ritorna con un nuovo lavoro in cui l’anima alternative rock si fonde a nuovi stili e linguaggi, raccontando la realtà più cruda e la fantasia più libera cimentandosi per la prima volta in un album interamente in italiano. “Senza rete” è il quarto nella storia del progetto Pivirama, attivo da 17 anni tra la Sicilia e Roma.
L’album è uscito il 9 giugno con New Model Label, scruta il mondo tra scorci di realtà e momenti più intimisti, con un tappeto di elettronica e arrangiamenti ora delicati ora più aggressivi, mantenendo un’atmosfera psichedelica, a volte cupa a volte sognante, e un’attitudine rock.
I testi fluttuano sospesi tra la realtà più dura e violenta e il più sognante dei mondi immaginari, raccontando in due brani il dramma dei profughi in viaggio disperato da un Sud del mondo dilaniato da guerre e dittature verso un nord Europa che ha smesso di accogliere e innalza muri e barriere (“Jungle, Frontiere chiuse” e “Dal deserto al mare”), la decisione di dire basta a violenze e soprusi di un uomo padrone (“Arida”). Ma anche la crisi d’identità dei cocci di bottiglia (“Sassi di vetro”) o le strane forme che assumono le nuvole di fumo sulle pareti di una stanza chiusa (“Nuvole”) o ancora il difficile percorso di riscatto da un passato pesante nel tentativo di raggiungere l’agognata libertà (“E ora lei”) o la vita sospesa e a testa in giù di chi non teme una vita funambolica senza punti di riferimento né certezze (“Senza Rete”) e di contro l’eterna indecisione di chi finisce con il perdere tutto per l’incapacità di scegliere (“Asimmetrie”), e , con ironia, lo sdoppiamento d’identità di chi ha un alter ego predominante, che crea caos e confusione, se non una personalità dissociata, (“Alter Ego”). Il disco è anticipato dal video di “Jungle Frontiere chiuse”, girato e montato dalla stessa Raffaella dopo aver visitato i campi profughi nel centro Europa e al confine tra Libano e Siria. Muri sempre più alti e frontiere sempre più rigide. Accampati in tende nel fango d’estate e nella neve d’inverno. Famiglie con bambini piccolissimi tentano una sopravvivenza estrema senza abbandonare il sogno di ricongiungersi con i familiari in Inghilterra o Germania. È Londra la meta più desiderata. E cosi sui muri dei container scrivono le loro cartoline virtuali sperando in una “London calling” che però non arriverà mai. Hanno suonato nel disco, con Raffaella Daino: Nicola Ganci, Patrick Rotolo, Renz, Tony Truncali, Gregorio Indelicato, Totò Grilletto, Nicola Alesini, Domenico Mistretta, Govind Singh Khurana, Generoso Pierascenzi.

Link: http://pivirama.blogspot.com http://www.youtube.com/pivirama  http://www.facebook.com/pivirama  www.newmodellabel.com 

 
 
Precedente intervista:

Davide
Bentornata Raffaella e bentornati Pivirama su Kult Underground. Ma bentornata soprattutto con questo disco particolarmente curato e gradevole. Cambio di rotta dunque dal precedente disco quasi interamente in inglese per un lavoro tutto cantato in lingua italiana. Cos’è cambiato, ma lo avevi già anticipato, da questo punto di vista? 

Raffaella
Grazie Davide! Sono molto contenta che il disco ti sia piaciuto e che stia avendo riscontri così positivi. Ho sempre lasciato che fosse la musica, in fase compositiva, a “scegliere” quale lingua fosse più adatta alle sonorità e al sound di ogni canzone. Queste, venute fuori negli ultimi due anni, sono per lo più ballate psichedeliche in cui la narrazione ben si prestava alla lingua italiana, più di quanto lo fosse il rock dei miei precedenti dischi. Oltre a questa scelta stilistica c’è quella, predominante, del desiderio di raccontare, nella mia lingua, e quindi in modo più completo e compiuto, quello che mi sono trovata a vedere, a vivere, ad affrontare e a sognare negli ultimi tempi. Il passaggio alla lingua italiana è stato dunque spontaneo, non premeditato, e ne sono talmente felice che sono certa che non scriverò mai più una sola strofa in inglese. E la soddisfazione di vedere il pubblico che al primo ascolto, impara il ritornello e poi mi chiede il bis ripetendo quelle liriche anche se non ricorda il titolo della canzone, credimi, è impagabile. 

Davide
La formazione dei Pivirama si è stabilizzata o ci sono stati ulteriori cambiamenti? 

Raffaella
“Stabilizzarsi” non è parola per me. Trasformarsi, si. Pivirama da tempo non è più una “band” nel senso stretto del termine ma un collettivo allargato, una famiglia di musicisti che mi seguono dal vivo, mi accompagnano e collaborano con me tra la Sicilia e Roma passando per altre città come Bologna, Milano o Ferrara. Dal vivo mi muovo a volte con i miei storici musicisti che fanno base a Roma, Renz, Pietro Mammone, Joe Nak e Davide Roberto, ma spesso suono anche da sola e in varie occasioni mi faccio accompagnare, anche improvvisando, con musicisti appena conosciuti sotto il palco di un festival poco prima di una esibizione, come è accaduto di recente con il sax di Nicola Alesini o le percussioni di Pasquale Augello, e spesso mi muovo con la band palermitana degli Nkantu d’Aziz. Il disco stesso è nato da una collaborazione a distanza con tanti musicisti sparsi per l’Italia.
 
Davide
Echi di Bristol Sound… C’è un maggior uso di suoni sintetici/elettronici negli arrangiamenti rispetto al passato?
 
Raffaella
Si, decisamente. Quando ho scritto le canzoni non ero certa di come volevo che suonasse, sapevo però che desideravo allontanarmi dal rock “vecchio stampo”, e avvicinarmi ad un sound più soft, etereo, sospeso, sostituendo la batteria con le percussioni e facendo un maggior uso di elettronica e synth per creare una atmosfera sognante e lisergica. Ho così affidato le mie “creaturine” a Nicola Ganci, polistrumentista di Santa Margherita Belice, e Patrick Rotolo, chitarrista di Sciacca, che basandosi sulle mie tracce di voce e chitarra hanno arrangiato 6 canzoni su 10. Il resto è stato poi completato a Roma, con 3 tracce arrangiate dal pianista Renz e una è stata composta dal mio editore, Govind Khurana, con Gino Pierascenzi.
 
Davide
Come riassumeresti oggi con poche parole i primi tre dischi e come il quarto a seguirli?
 
Raffaella
“Cosa Sembra”, il primo, del lontano 2004, metà in inglese e metà in italiano, un po’ immaturo, con testi ingenui ma con un sound di forte impatto. “In My mind”, il più folle, senza regole, composizioni fluttuanti, a volte senza inizio nè fine, completamente psichedelico e con tratti dissonanti, con l’impronta decisiva del suo produttore, il geniale violinista e Maestro di Musica elettronica palermitano Mario Bjm Bajardi.  Il terzo, “Fantasy Lane”, a metà tra il pop e il post rock, testi più maturi, belle code psichedeliche, alcuni pezzi come War o Calling, molto intensi, e una gran botta sonora; adrenalinico da suonare dal vivo in formazione elettrica. “Senza Rete” è quello che – e me lo dicevano già in fase di lavorazione – mi avrebbe dato più soddisfazioni. Lo amo e mi fa sentire una musicista cresciuta, che riesce a comunicare meglio con chi mi ascolta. È la conclusione di un percorso durato 17 anni. Non credo che dopo questo farò altri dischi.
 
Davide
Sono molte le tematiche presenti nei tuoi testi. Cosa succede in te prima e durante la scrittura, cosa ti muove in questo senso, come lo affronti?
 
Raffaella
Non so. Nulla di deciso a tavolino. Tutto vissuto o immaginato. Ho scritto di quello che mi faceva stare male o mi faceva sognare. È un disco dalle diverse anime. Eterogeneo, se vuoi. C’è l’attualità, drammatica, del dramma dei profughi respinti da muri e frontiere, la ribellione alla violenza subita da un uomo padrone. Ci sono le canzoni che parlano dell’incapacità di decidere, che porta a perdere tutto, o del cambiare strada verso una felicità che secondo me è un dovere cercare di raggiungere, senza compromessi. Ma nel disco ci sono anche canzoni sognanti che con un approccio naif guardano il mondo al contrario, raccontando gli oggetti come se avessero un’anima, e poi ci sono le canzoni che senza freni e senza rete si immergono in una dimensione intimista che guarda a sé e ne raccontano i percorsi. Ma la lettura di se stessi o il viaggio nel mondo onirico e immaginario viene inevitabilmente spezzato da crudi racconti di realtà. Come a ricordare che c’è spazio nella nostra vita per la fantasia ma poi è la realtà quella che brutalmente emerge e ci riporta con i piedi per terra.
 
Davide
Diversi brani e un video sono dedicati al dramma dei profughi, ai quali spesso ti capita di assistere e di cui parli anche in qualità di giornalista. Ogni volta che ne incontro, mi assilla una frase di Dostoevskij: Io mi sento responsabile appena un uomo posa il suo sguardo su di me. Cosa apprezzi e cosa deprechi al riguardo, e infine cosa auspichi?
 
Raffaella
Ho pianto spesso, dopo l’intervista ad una famiglia siriana in fuga dalla guerra che ha portato via loro da un giorno all’altro tutto ciò che avevano in una vita un tempo normale, o dopo aver incrociato lo sguardo di bambini, donne, uomini sopravvissuti al mare che aveva portato via i loro cari. Siamo noi, occidentali, i responsabili di questa diaspora dal Sud del mondo impoverito da sfruttamento e dilaniato da guerre che noi abbiamo scatenato e adesso pretendiamo di voltarci dall’altra parte, chiudendo le porte, sbarrando le frontiere, alzando muri. Credo che dovremmo invece costruire ponti e corridoi e non lasciarci contagiare da questa epidemia di egoismi, da una pericolosa deriva nazionalista che antepone concetti come l’identità e la nazione a parole belle e sane come integrazione e accoglienza. È tutto molto preoccupante.
 
Davide
“Senza rete” mi ha fatto rievocare questi versi di Yves Bonnefoy: Quest’oggi la distanza tra le maglie | Esiste piú delle maglie. | La rete che gettiamo non sa trattenere. Quali sono i tuoi punti di riferimento, le tue certezze?
 
Raffaella
La mia terra, la mia famiglia. Senza l’affetto dei miei sarei persa. Ma anche la mia indipendenza, che mi ha portato a cominciare a lavorare già ai tempi della scuola e poi durante l’università, e la mia libertà. Fondamentali come l’aria. Contraddittorio, forse, ma lineare non lo sono mai stata.
 
Davide
Come si fondono la tua musica, ma soprattutto i tuoi testi, e il tuo lavoro di giornalista di Sky Tg24?
 
Raffaella
Sono sempre state strade paralleli, e distanti. Con “Senza Rete” invece ho messo in musica per la prima volta testimonianze e sensazioni provenienti da esperienze vissute “sul campo”, durante il lavoro da inviata che m’ha portato fino ai confini con zone in cui si combatte e si muore, come nei campi profughi tra Libano e Siria, dov’è nata “Dal deserto al mare”, dialogo immaginario tra mamma e figlia in procinto di compiere la più pericolosa delle traversate, o nel cuore di un’Europa che dovrebbe essere approdo sicuro di chi ha sofferto e rischiato tanto e invece si lascia vincere dalla paura e sbarra le porte a chi chiede disperatamente aiuto. Negli accampamenti tra Francia e Belgio ho visto centinaia di famiglie che tentavano una estrema sopravvivenza in capanne di fango immerse nella neve, e lì è nata “Jungle Frontiere chiuse”, accompagnata da un video che io stessa ho girato e montato. In questo disco ci sono quelle che io chiamo “canzoni reportage”, che affrontano altri temi di attualità, come Arida che descrive la ribellione di una donna alla prepotenza di un uomo.
 
Davide
Viaggi molto per il tuo lavoro, sia musicale, sia giornalistico. Che significato ha per te il “viaggio”, cosa cerchi di portare sempre con te in una valigia ideale e simbolica, cosa al ritorno?
 
Raffaella
Partire, dicono, è un po’ come morire. Viaggiare forse è come risorgere, ogni volta con nuovo animo e rinnovato spirito. Ho iniziato a viaggiare quando avevo 6 mesi, in roulotte, con i miei, dalla Sicilia all’Austria. Ho viaggiato con loro, cosi, nei campeggi d’Europa, per i miei primi 15 anni e ho continuato, da sola, nei successivi 30, soprattutto per lavoro e per musica, perché essendo sempre in giro i miei viaggi per vacanza sono stati sempre mono destinazione, cioè casa, Sicilia. Adoro perdermi nei posti nuovi, fondermi con la realtà locale fino a sparire e diventarne parte. Scrivo molto quando sono in viaggio. Se non scrivo, cosi come se non scatto foto, mi sembra di perdermi buona parte di quello che vedo e vivo.
 
Davide
Al pari delle altre arti, anche la musica incorpora una dimensione sociale. Quali funzioni, scopi o usi anche sociali pensi debba avere la tua musica o la musica tutta?
 
Raffaella
Far sognare, regalare un momento di gioia. Sensibilizzare, far conoscere, far riflettere, aprire le menti. Cercare di suggerire all’interlocutore, o all’ascoltatore, soluzioni diverse, alternative a quelle che aveva in mente. Presuntuoso?
 
Davide
Cosa seguirà?
 
Raffaella
Monterò il video di E ora lei, che ho girato io stessa, ambientato nello stesso luogo in cui abbiamo scattato le foto di copertina, un luogo ricco di storia, in generale, e di ricordi, per me. Poi, concerti in giro per la Sicilia, dove sto per trasferirmi, dopo 20 anni da esule tra Milano e Roma. Pochi concerti, per la verità. Preferisco ormai partecipare ad iniziative che abbiano un senso e uno scopo. Un festival per dividere il palco con musicisti che amo e stimo. Una serata per l’integrazione in un Centro sociale. Una raccolta fondi per le popolazioni colpite dal terremoto. Qualche canzone nel reparto pediatrico di un ospedale. Serate, come quelle a cui ho partecipato nell’ultimo anno, che mi lascino un sapore dolce, la sensazione di tempo speso bene e non sprecato davanti a chi ha voglia di bere birra e chiacchierare piuttosto che ascoltare.
 
Davide
Grazie e à suivre…
 
Raffaella
Grazie a te, davvero. Buona vita 🙂
 

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