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Esperienze di Scrittura 8: Scrittura Dentro

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Esperienze di Scrittura 8:

Scrittura dentro

(ovvero, Scrivere in carcere)

 

Claudia è una donna forte. Ha costruito ideali, pensato strategie e osato avventure.

Claudia ha creato a Cesena, nella mia Romagna di dritti e rovesci, le Edizioni Farnedi, una casa editrice piccola ma piena di virtù.

Claudia racconta, edita e va in giro ad invitare alla scrittura ed alla lettura.

In tutto questo, il suo percorso ha preso una svolta particolare. I laboratori di scrittura in carcere.

Un desiderio covato nel fondo da parecchio ed una Istituzione, quella della Casa Circondariale di Forlì, disposta ad accettare un’incentivazione delle attività culturali tra le pareti del carcere.

Claudia mi dice che tutto si è realizzato molto velocemente. La voglia, l’idea di agire, la proposta fatta alla Direttrice e l’invito di quest’ultima a concretizzare l’esperienza con i detenuti. Una corsa a cominciare.

Il laboratorio di Claudia è suddiviso in due parti. La prima, dedicata alla Lettura e la seconda, alla Scrittura Creativa. Un unico incontro settimanale, al quale i carcerati hanno la possibilità di iscriversi, qualora lo desiderino.

Nelle “sue” due ore, la biblioteca del Carcere di Forlì finisce per ospitare un nutrito gruppo di individui attenti, interessati alle parole, per i quali il Laboratorio diventa una specie di dogana, una sorta di spazio “altro” nel quale una certa libertà può essere compagna del cammino.

Insomma, un luogo in cui la comunicazione, scritta e verbale, diventa occasione di riflessione.

La prima ora è dedicata alla lettura. I partecipanti portano spesso un libro in cella e nella prima parte del laboratorio ci si concentra proprio sulle riflessioni che il testo può far nascere, si legge ai compagni, discutendo il filo del volume. Altre volte si approfondisce un libro in particolare, al quale i carcerati sono invitati alla lettura.

Un’operazione preparatoria al momento successivo. La scrittura.

Claudia propone un tema con il quale ciascuno si può confrontare. Poi, si legge ad alta voce ciò che viene prodotto.

Se è vero che il detenuto ha da sempre uno stretto rapporto con il foglio e la penna, si pensi ai diari, è altrettanto reale il fatto che scrivere, leggere, raccontare sono elementi che consentono una certa libertà, un’uscita alternativa, perchè rappresentano anche un modo per “parlare” alla famiglia, agli amici, a se stessi. Quasi un atto dell’io necessario a non lasciare andare troppo le cose.

Così finisce che ci si ritrova a parlare e scrivere di parenti, di amori di bambini abbandonati, di ingiustizie e solitudine, ma anche di futuro. Il presente e il passato si muovono e mischiano all’unisono.

Claudia mi racconta che c’è una grande voglia di confronto e di scambio. Queste, che scelgono il laboratorio, sono persone, uomini e donne, che avvertono la necessità di esprimersi nel confronto reciproco e nel rapporto con chi viene dall’esterno. Domande e risposte per capirsi e capire.

 

Il dialogo è stato, nel tempo, molto intenso, così intenso che ha creato una vera e propria rete umana tra Claudia e i detenuti, un rapporto che dura da due anni.

 Si capisce che le difficoltà non sono poche. Si capisce che Claudia ha a che fare con un gran nodo alla gola di emozioni e sensazioni. Perché quando ci si confronta con ambienti, pieni sino all’invero simile di storie, diviene impossibile non mettersi in discussione, non fermarsi a pensare.

Scrive Claudia a proposito della sua attività: “Oltre qualsiasi tipo di aspettativa! Oltre qualsiasi racconto! Oltre qualsiasi tipo di umana perplessità! Oltre, decisamente oltre!”

E noi le crediamo. Crediamo che la sua sia un’esperienza formativa di “Lettura e Scrittura umano-creativa” di grande intensità.

Quello che mi colpisce, però, è un fenomeno lontano dalle “leggi del fuori”, da giudizi e pregiudizi, ed è l’estraneità di Claudia nei confronti dei reati commessi, delle colpe effettive.

Conoscendola, e sapendola non falsa e neppure ipocrita,  penso che ci deve essere qualcos’altro a cui, quasi, mi sembra di giungere: ad essere in questione, durante i laboratori, non è il “cosa” si è fatto, ma solo il “chi”.

In quei minuscoli ritagli di tempo, si pensa alla persona.
Si cura, di lei, la parte incatenata. Si cerca di leggere e di scrivere per trovare una voce per dire o un orecchio per ascoltare.

 

Penso che, dopo tutto, quello che emerge a tinte forti e nette è che in carcere si scrive per provare a sopravvivere al meglio. Quando si dice che le storie salvano la vita, ritengo sia anche questo che si intenda. Come ad ognuno di noi che, mentre scrive o legge, gli accade di partire verso rotte più calde o, almeno, verso luoghi che sogna e desidera e vuole vedere “come va a finire”, posti che gli appartengono, nel bene o nel male, penso che “i detenuti di Claudia” abbiano fatto bei viaggi insieme. Non facili, non comodi ma – come si dice in questi casi? – ad ogni costo, si doveva provare ad andare.

 

Elisa Rocchi

 

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