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Arancia meccanica?…

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"Arancia meccanica"?
C’è per la PlayStation?


Non l’ho sentita proprio con le mie orecchie ma il tono del pubblico del "Principe" era più o meno simile. D’altra parte come dare torto a dei ragazzini nati dopo il 1980, venuti al cinema per vedere un film oscurato dalla censura per oltre 15 anni, di cui si conoscono solamente le immagini più violente e iconiche, attratti da un promo (originale) incalzante e seducente? "Tutto qui?" sembrano chiedersi alla fine del primo tempo, dopo aver visto comunque 70 minuti di violenza gratuita, vorticosa e ipnotica come Kubrick può farcela vedere. Dal libro di Anthony Burgess Kubrick estrae un vero e proprio spettacolo per gli occhi e per le orecchie, come a completare con le armi del cinema quello che (forse) il libro non riesce a trasmettere, non almeno in modo così esplicito e dirompente. Cosa rimane però di "Arancia meccanica" ben 27 anni dopo la sua prima scandalosa uscita, quando fu addirittura bollato di fascismo? Se allora le scene di violenza e di sesso erano un vero pugno nello stomaco dello spettatore adesso si mescolano tra la quotidianetà del reale e la finzione dell’effetto speciale cinematografico o del videogioco. Le bastonate di Alex Drugo o i calci nelle reni non fanno più impressione a nessuno, tantomeno ad un pubblico di 16enni. Come riconsiderare quindi "Arancia meccanica"? L’occasione è ghiotta per valutare l’impatto dello stesso film a distanza di due generazioni, un lasso di tempo che è praticamente un eternità se si considerano le differenze sociali, culturali ed economiche delle due epoche (addirittura!).

"Arancia meccanica" nel ’71 esce, in Italia, sul finire del cosiddetto boom economico quando il ’68 ha squarciato quell’istituzione antica ed omertosa che era la famiglia. "Arancia meccanica" apre la stagione cinematografica della libertà, del dissenso e della trasgressione che si chiuderà, anche per la legge, con l’"Ultimo tango a Parigi" di Bertolucci. Allora il film non poteva che fare scalpore. Indeciso tra condanna e spettacolarizzazione della violenza, espressione di un sesso denaturalizzato tanto da consumarsi "accelerato" con sottofondo classico, alfiere o denigratore di una tecnica di riabilitazione dei criminali che stordisce lo spettatore stesso, lucido accusatore della società dell’effimero e della nevrosi dove i più violenti si sfogano facendo i poliziotti. "Arancia meccanica" è un film sulla violenza in tutte le sue forme certo, ma è soprattutto un film sulla vista e sull’udito. Kubrick mescola sapientemente colori e suoni in modo tale da rendere tutto il film una sorta di opera post-moderna. Non c’è vera tensione in "Arancia meccanica", non c’è il rapinatore col coltello che luccica nella penombra ad aspettare la maestrina che rientra sola a casa. L’azione è lineare, continua, non c’è interruzione alla violenza come non c’è continuità. Alex , leader per l’intelligenza, non ha bisogno dei Drughi per esistere. Ad Alex basta indossare la tuta bianca e le ciglia finte (occhi…) per esternare la sua aggressività, cosa che non può fare tra le ovattate pareti domestiche se non ascoltando (…ed orecchie) Beethoven a tutto volume. Il film è, tecnicamente, una girandola di suoni, false prospettive, carrellate ostinate, macchina a mano. La tensione è nelle immagini, non nel loro contenuto. Gli occhi di Alex sono prima resi riconoscibili dalle ciglia posticce poi sono in perenne rotazione, loro stessi violentati dagli apri-palpebra. La violenza non è semplicemente nelle azioni dei Drughi ma anche nel loro linguaggio gergale, nel cemento delle loro abitazioni, nella sodomia repressa dell’ispettore scolastico che tenta di redimere Alex o nell’ostentata differenza culturale dei giornalisti-chic che bevono lo stesso "latte+" dei Drughi per un vano desiderio di trasgressione. Riprendo solo ora il filo dell’articolo, dopo una personale disquisizione sui contenuti, per confermare ancora una volta la palpabile "inefficacia" di "Arancia meccanica" sull’ultima generazione.
A chi si aspettava un film violento "anni ’90" non si possono far mancare esplosioni, spari, inseguimenti e altre nefandezze del genere. Anche durante la seconda parte del film, interamente dedicata all’umiliante "cura Ludovico" cui Alex si sottopone volontariamente, quando è lo spettatore stesso a subire l’assurdità del trattamento che si propone di curare il Drugo come Pavlov fece col suo cane e cioè associando alle immagini violente un dolore provocato chimicamente, il ragazzino sbadiglia, si annoia, non ci sono più nemmeno stupri! La riedizione del film sarebbe comunque l’occasione perfetta per inoltrarsi al di sotto della pura fruizione del film per esplorare la visione di un grande regista come Kubrick di un libro così crudo, preso come metafora della società.


Michele Benatti

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