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Storia di un ragazzino elementale

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Storia di un ragazzino elementale
IV
Leggero come l’aria

Seguo la scia della fiamma di una candela come per ipnotizzarmi, mentre un vecchio me la agita davanti sussurrando parole incomprensibili nella sua lingua dimenticata dall’umanità. Nella piccola grotta dove il vecchio mi ospita, le ombre che la candela crea mi circondano di personaggi immaginari. Mi sta leggendo dentro: non gli farà bene. Ci sono universi dentro me e questo vecchio con l’animo stanco non sa che domani mattina sarà morto, senza neppure bisogno che io lo tocchi. Sarà lui da solo a dare il colpo di grazia alla sua mente stanca, leggendo i miei ricordi, le mie imprese, i miei viaggi. Saprà della mia Strega, e dell’odio smisurato che provo per lei. Odio grande come immensi oceani neri in tempesta senza rive a cui approdare, come solide luci assassine in fondo agli occhi a bruciarti il cervello. E’ troppo odio da capire. Il vecchio ne morirà appena lo sente.
Ero partito libero da Setra sapendo già che la direzione era quella di casa. Ho riattraversato con emozione crescente i luoghi che mi hanno fatto crescere, che mi hanno accolto entusiasti: ho letto l’anticipo della mia grandezza negli occhi di ogni passante che ho incontrato. Molte città mi hanno visto camminare, molti deserti mi hanno visto sopravvivere, molti fiumi mi hanno rinfrescato. Sono passati pochi mesi dalla battaglia di Setra, e con la fretta incontenibile di un bambino alla ricerca di regali mi sono precipitato verso i luoghi antichi della mia disperazione. Da qui, mancano una decina di giorni di cammino, al massimo. Ma ho deciso di calmarmi, di rallentare la mia passionalità, di assaporare il dolce gusto di un’esistenza completa e adornata dalla realizzazione dei propri desideri. Fermarsi e pensare a quanto è bello ciò che ho fatto, a che essere straordinario sono diventato. Sono arrivato in questo luogo per cercare la pace dell’anima, il vecchio mi ha accolto con disponibilità e sono già passati tre giorni. Tre giorni a levigare ogni graffio di stanchezza, ogni minima smussatura dubbiosa del mio spirito. Tre giorni per ricordarmi la perfezione che mi attende.
Io finisco la mia cena e come ogni sera mi stendo ad ascoltare i rumori della foresta. Gocciolii. Quasi impercettibili i passettini dei roditori, furtivi abitatori del sottobosco. Crepitii di alberi che si parlano nella notte, si raccontano la propria nostalgia del sole. Il vento che soffia tra di loro dispettoso a disturbare i loro discorsi. Il vento, gli alberi, la natura. Mi ricorda dove sono nato… mi ricorda dove giace lei.
Sto dimenticando le vicende del mio passato. Cominciano già i palazzi di Setra a svanire nella mia memoria, ricordo di aver amato una donna che non era la Strega ma non ne ricordo né il nome né il volto. E prima della donna che non era la Strega, non riesco a ricordare nulla se non me stesso bambino che attraversa un fiume stregato da anni e anni di maledizioni silenziose con addosso stracci e una paura cattiva, rabbiosa. Ricordo la mia piccola pietra… e improvvisamente infilo una mano in tasca e la ritrovo. Anni e anni di silenziosa fedeltà. Non credevo di averla ancora insieme a me, non l’avevo più cercata, non l’avevo più custodita, rapito dall’incantevole frenesia degli eventi che ho vissuto. Ma la mia direzione, a quanto pare, era quella giusta ed ora il serpente sta ritrovando la propria coda. La mia pietra sta ancora vegliando su di me.
Di tutti gli eventi passati e sbiaditi tengo solo la forza del corpo e dello spirito che mi hanno donato. Ho abbandonato le battaglie per far confluire il tutto nella vendetta che mi attende, nel tributo all’immortalità che devo compiere per odio della Strega. Sento l’euforia crescere di giorno in giorno, fatico ad addormentarmi al pensiero.
Ma in questa tiepida caverna i discorsi languidi degli alberi mi cullano e d’improvviso sto sognando.

Un bel sogno dove mi trovo in mezzo a gente costantemente inferiore… passeggio impavido in un’atmosfera tenebrosa a luci basse che s’intimorisce al mio passaggio… ma io non ho intenzioni ostili, vorrei solo riposarmi, riposarmi un poco dopo tutta questa fatica, sono così stanco, così stanco e sorridente che posso sembrare ancora un ragazzino, anche se i miei occhi profondi mi tradiscono, svelano il mio segreto: chi mi guarda capisce che sono un ragazzino elementale. Ma non ci voglio pensare nella quiete di questa coperta buia in questa stanza affollata di sentimenti deboli e una vita povera che, pure, vale la pena di essere vissuta. Prendo il mio pasto e mi sposto, cercando un tavolo per sedermi, in un’improvviso labirinto, sento eccitazione provenire dal pericolo, i sensi all’erta: per niente. Perché continuo a girare in questo labirinto con una borraccia e un pasto freddo, senza potermi riposare, fino a dimenticarmi del perché, fino a far dimenticare la mia presenza. Sono sempre più stanco, sempre più sorridente, finché mi dissolvo

e mi sveglio.

Una mattinata serena mi accoglie nella città dove il mio viaggio è partito, tra gli sguardi di chi non mi potrà mai riconoscere: gli anni di distanza valgono secoli sul mio volto e sono un’altra persona. Il trambusto è quello solito di un giorno qualunque, un giorno perso granello di sabbia caldo in mezzo al deserto, sollevato dal vento e capitato per caso nelle nostre vite, e accettando il caso queste formiche si affaccendano in mestieri e costruzioni.
A un angolo di una strada vedo alcuni musicisti e dei ragazzini che ballano scomposti alla loro musica. I musicisti trasmettono un messaggio che, a quanto pare, solo quei ragazzini riescono a cogliere. Gli uni e gli altri sorridono. Altri personaggi sembrano intuire questo armonioso segreto e si fermano un momento ad ascoltare, ma non riescono a sfornare altro che un sorriso idiota.
Anch’io sto sorridendo. Ma mi rendo conto che non basta: devo rendere omaggio alla generosità dei musicisti. E così mi unisco ai ragazzini e ballo, dapprima con piccoli saltelli buffi, patetici, e poi man mano che la musica mi cresce dentro, sempre più agitato, con grandi salti avanti e indietro e in tutte le direzioni, con una mano stretta sulla mia sacca per non perdere i miei averi. Alcuni passanti mi guardano diffidenti, ed io per tutta risposta, sorrido e tendo la mano. Ecco, una giovane si è convinta. Con l’imbarazzo cucito addosso come un vestito troppo stretto, si dondola vicino a me con lo sguardo indeciso tra il mio viso, i bambini e i musicisti. Un’altra coppia di ragazze si unisce alla danza. E poi altri bambini. E una coppia adulta, probabilmente marito e moglie.
Mmmmh… è un atto di generosità che stiamo compiendo io e i musicisti. Non è la sola allegria che la danza porta con sè. E’ la fiducia. E’ un rito di liberazione, saltando a tempo di musica si calpestano i cattivi pensieri, i fallimenti, le nostalgie. I sorrisi crescono secondo dopo secondo.
La piena defluisce presto, l’attimo di euforia collettiva lascia pian piano la presa e mi regala la vista di splendidi volti arrossati, gioiosi, stanchi e felici. Sono pieno di queste persone. La mia generosità viene ripagata da questi splendidi attimi di muta gratitudine, di confidenza inaspettata. Vorrei ringraziare tutti quanti gli abitanti che hanno partecipato alla nostra festa, ma esce solo uno sbiadito e inavvertibile "grazie" dalle mie labbra.
Più tardi, mentre nel pieno pomeriggio mi incammino fuori città, verso i boschi, verso la casa della Strega, mi rendo conto di aver dato con quella danza uno splendido addio all’umanità. Ora sono di nuovo solo. Con la certezza nell’animo che lo sarò per sempre.

Cammino spedito tutta la notte. Mentre l’alba si avvicina, una sensazione di brividi sulla pelle e un pulsare sordo nella testa mi avverte che sono vicino. Sì, ecco, questi posti cominciano a diventarmi familiari. Siamo ancora lontani dalla casa maledetta che mi vide crescere e fuggire, ma già qui qualche volta ci sono stato con Lei… sono attento ad ogni rumore. Sono sicuro che non mi aspetta. Sono sicuro che non mi sentirà arrivare. Mi fermo e guardo in alto: il cielo comincia a colorarsi appena, le stelle cominciano a spegnersi. Qui in mezzo agli alberi l’oscurità sarà più dura da scacciare. Aria fredda accompagna i miei passi, scif sulle foglie, sciaf sulle foglie, tump sulla terra nuda, crek sul terriccio, avanzo lentamente inspirando a fondo per calmare i battiti del mio cuore.
Il fruscio là in fondo mi è sembrato umano, là dietro un grosso albero il cui tronco deforme regala cavità comode dove accucciarsi.
Ci sono attimi di silenzio che ascolto a fondo come non ho mai fatto. Sono solo un organismo muto nel bosco in mezzo a discussioni segrete.
Mi avvicino al grosso albero e scruto con occhi attenti ogni cavità.
Nessun rumore. Il segno tipico di un cacciatore in attesa.
Il cacciatore balza fuori.
Ma non è Lei. Un pipistrello sguscia fuori e mi passa vicino prima di andare a scegliersi una postazione più tranquilla.
Non ho fatto in tempo a tirare il fiato che ho sentito la sua voce alle mie spalle.


Alessandro Zanardi

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