KULT Underground

una della più "antiche" e-zine italiane – attiva dal 1994

L’adepto

7 min read

L’adepto
Fuori concorso (Media: 7,38)

– Vuole veramente andare?
Il professor David Richter non rispose. La luna sembrava enorme e le nubi scure, il vento, i rumori appena percettibili di quella notte avevano minato la sua razionalità più del previsto. Se aveva avuto dubbi durante tutti quegli anni di ricerche, ora non li aveva più.
Il suo assistente era già vestito e lo guardava con il solito sguardo vuoto. Forse non era stato saggio prendere con sé proprio Bob Weems, anche se era molto competente ed era stato l’unico volontario. Forse proprio il fatto che fosse un volontario avrebbe dovuto convincerlo a scartarlo. Ma ormai era fatta. David cercò di calmarsi e appoggiò davanti a sé la pergamena di cui era riuscito a tradurre solo la parola "iniziazione".
– Allora?
Il grande orologio vicino alla finestra segnava quasi mezzanotte.
– Sì, andiamo.

Erano arrivati a Horshel da dieci giorni, che erano serviti tutti per cominciare ad intravedere quello che cercava. Una piccola comunità di seicento anime circa, a due ore e mezza da Londra, quasi senza nessun pendolare. Un piccolo centro che sembrava in qualche modo essere autosufficiente.
Avevano trovato un alloggio con facilità appena fuori dal piccolo borgo. La signora Tellet, un donnone di mezza età che non passava sicuramente inosservato, era stata fin troppo gentile e il prezzo era stato così basso da far cadere ogni esitazione.
– Oh, sa, non riesco mai ad affittare la casa a nessuno. Qui non ci sono mai facce nuove. È un po’ sempre così, no? – aveva detto poi la prima volta che li aveva invitati a cena – i piccoli centri tendono sempre a diventare un mondo per conto loro.
Un mondo isolato, con i propri riti e le proprie tradizioni, aveva aggiunto, con una luce indefinita negli occhi.
David aveva domandato cosa rendesse isolato quel luogo vicino a Londra, ma la signora Tellet si era limitata a sorridere e aveva parlato del tempo, della guerra e di come crescevano bene certe rose selvatiche intorno al cimitero.
Poi nei giorni seguenti c’erano state visite alla piccola biblioteca, al comune e all’archivio della scuola.
In un posto così piccolo erano stati notati subito, ma la maggior parte delle persone sembrava semplicemente accettarli come una presenza normale, o, al peggio, come un fastidio passeggero di cui non valeva la pena preoccuparsi troppo. Solo qualche sguardo strano e qualche conversazione bruscamente interrotta al loro avvicinarsi avevano lasciato nell’aria uno spiacevole senso d’attesa.

– Ogni tanto qualcuno lascia lo stress della città, e si trasferisce qui – aveva detto la signora Tellet, un’altra sera. – Non capita spesso. Ma ogni tanto…
– A dire il vero – commentò David – non sembra proprio che sia capitato. Dagli archivi comunali non si registrano nuove famiglie da almeno cinquant’anni.
– Da così tanto? Oh, non sembrava… ma a lei, Bob, non piacerebbe trasferirsi qui? Lei è così giovane… la vita qui ha prospettive inaspettate rispetto alla città.
Weems non aveva risposto. Si era limitato a guardare fuori dalle ampie finestre della casa della signora Tellet, e a sospirare.

A posteriori doveva ammettere che gli indizi c’erano, se si sapeva dove guardare. Ma gli schemi e la disposizione relativa di alcune piccole cittadine, qualche strana sparizione, o qualche incidente particolarmente anomalo, erano cose difficili da collegare senza aiuto. Eppure aveva studiato Stonehenge per lunghi anni. Aveva studiato la vita dei tanti gruppi druidici che ancora si muovevano più o meno nell’ombra, e in alcuni di questi si era anche infiltrato, ma in nessuno aveva trovato niente di più di un discutibile folklore.
Poi sei mesi prima aveva ricevuto un plico con due pergamene: in una c’erano solo poche righe in runico, e nella seconda un’antica cartina dell’Inghilterra con segnati quasi un centinaio di piccoli insediamenti. Insediamenti disposti a forma di cerchio, che ripetevano in grande la forma di Stonehenge. Villaggi vicini che erano stati collegati da una linea unica, villaggi separati segnati come punti. E il cerchio di pietra era appena fuori, come a formare uno sproporzionato otto.
Come nel piccolo, così nel grande: uno dei fondamenti delle pratiche magiche. Stonehenge era forse un simulacro di una struttura più ampia, costruita chissà come in qualche luogo "caldo" per le pratiche dei druidi? Non lo sapeva. Ma cos’altro poteva significare quanto aveva ricevuto? Oltre, ovviamente, al fatto che qualcuno aveva cominciato a notarlo e che probabilmente lo voleva con loro?
Comunque fosse Horshel era il punto segnato più vicino a Londra. E non aveva saputo resistere all’invito.

Quella era la notte del solstizio d’estate. La temperatura era mite, ma il vento si era alzato e quindi entrambi avevano preso un cappotto per uscire. Un cappotto scuro che, pensava David, forse avrebbe anche contribuito a renderli meno visibili.
– Dove? – chiese Weems una volta usciti da casa.
David aveva impiegato un po’ a capirlo, ma durante le loro perlustrazioni aveva notato un solo posto abbastanza grande e isolato per un rito.
– Al fienile sulla collina. Passando per il sentiero.
Weems non si mosse. Stringeva la torcia spenta come fosse un manganello, ma quando David si incamminò girando dietro la casa lui lo seguì senza fiatare.

Di notte i rumori di un bosco diventano più forti. Ma potevano veramente coprire tutto? David, dopo aver atteso mezz’ora nell’ombra decise che non poteva rimanere nel dubbio. – Stai qui – disse a Weems, poi, con il cuore in gola, attraversò il prato che lo separava dal fienile.
Arrivò ansimante vicino ad una delle porte e accostò l’orecchio. Niente. Attese qualche minuto in quella posizione, e poi si decise a spingere la porta. Il cigolio dei cardini. Poi più nulla. Spinse ancora e la luce esterna illuminò una parte dell’ampio fienile.
Vuoto.
Poi, mentre tornava indietro, guardò meglio l’alta torre per il grano, di lato al fienile.
La forma, proiettata contro il cielo non ricordava forse…?
Si avvicinò di qualche metro e un forte crampo lo fece cadere. Cos’era quella forte elettricità nell’aria? Weems lo vide e iniziò ad avvicinarsi.
Gli fece cenno con la mano, mentre si rialzava.
Con il cuore che sembrava scoppiargli proseguì lentamente fino alla porta d’entrata.
L’aprì e, poco prima che il suo compagno lo raggiungesse di corsa, vide il dolmen.

– Allora avevo ragione – disse tenendosi la mano al petto che cominciava a fargli male – il grande cerchio esiste.
Weems rimase immobile sulla soglia.
– Fammi luce.
Il suo assistente accese la torcia e cominciò ad illuminare la base del dolmen, che riempiva completamente la torre. David si avvicinò ancora, ma appena sfiorò l’enorme pietra gli sembrò di soffocare. E sentì una specie di canto. Un canto di centinaia di voci che sembrava uscire dal nulla.
Come rapito, posò sulla pietra entrambe le mani.
Sentì il suo corpo percorso da brividi e la vista si annebbiò. E vide una miriade di figure incappucciate intorno a tanti piccoli cerchi di pietra che stavano preparando il rito di iniziazione per il nuovo adepto. Un cerchio in un cerchio. E dentro al grande cerchio altri cerchi. Le case disposte intorno alla piazza. Le altre intorno al ponte. Ognuno separatamente in un luogo, ma nello stesso tempo insieme. E le pietre, come diapason, trasmettevano la loro energia, e la moltiplicavano.
– Portami fuori! – gridò preso dal panico, cercando di staccare le mani. Non voleva più finire quello che aveva iniziato. Sentiva che per l’iniziazione avrebbero compiuto un sacrificio umano.
– Weems?
Dopo un attimo di esitazione il suo compagno lo colpì alla schiena con la torcia, facendogli perdere la presa. Il dolore fu lancinante e a David sembrò di svenire. Poi si sentì trascinare lentamente fuori.
Nonostante il dolore e la distanza dal dolmen continuava a vedere i druidi, e il canto diventava sempre più forte. – Aiutami – gridò, mentre la figura del suo compagno si mischiava alle visioni nella sua mente.
– Non voglio diventare adepto – disse terrorizzato.
Scorse forse un sorriso in Weems.
– Non si preoccupi – rispose con la solita voce piatta, buttando di lato la torcia e tirando fuori dal cappotto un lungo oggetto scintillante.
– Non è il suo rito di iniziazione. È il mio.
E lo colpì alla gola.


Marco Giorgini

—-

Giudizi

Raffaele Gambigliani Zoccoli: 10,00
Non c’è che dire. Perfetto!

Matteo Ranzi: 9,00
finalmente! bello, bello! Bella l’ambientazione, il dialogo e il finale, complimenti.

Gabriela Guidetti: 8,00
Horror classico legato ai temi cari a molti autori anglosassoni. Ottimo crescendo di tensione e buon ritmo della narrazione. Finale a sorpresa. Bello.

Walter Martinelli: 7,50
Forse il finale è prevedibile, ma il racconto è coinvolgente e credibile. Atmosfera, simbolismo, folklore che fanno vibrare corde ancestrali.

Francesca Orlando: 7,00
L’autore è capace di condurci lungo la trama del racconto fino alla fine, il cui finale è forse un po’ troppo scontato. La storia è scritta bene, in un italiano corretto e alquanto fluido. Avrebbe potuto essere arricchito con qualche particolare un po’ più trepidante.

Franco Tioli: 7,00
Un lavoro centrato, senza esitazioni, ben scritto, che rende bene l’atmosfera.

Enrico Miglino: 7,00
Buona narrazione e buon colpo di scena finale. Mai fidarsi. Il personaggio secondario all’improvviso diventa l’artefice della storia, in un crescendo troppo veloce per non riuscire a sorprendere il lettore, anche se comincia ad intuire. L’ambientazione e la circolarità del contesto assumono i toni un pò troppo barocchi di una stonhenge degna di un Kolosimo anni ’70.

Giovanni Strammiello: 6,33
Una classica storia ambientata nel classico mondo delle piccole comunità londinesi: già vista, già sentita… come atmosfera della piccola comunità mi ha ricordato un po’ il paese de "un lupo mannaro americano a Londra"…

Doriano Rabotti: 6,00
Scritto bene, ma un po’ prevedibile. Non c’era già in qualche Dylan Dog?

Marco Varone: 6,00
Idea vecchia, scritta in modo anonimo.

Altri articoli correlati

6 min read
5 min read
6 min read

Commenta