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Il cantico delle cicale nell’estate dei briganti

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Il cantico delle cicale nell’estate dei briganti

Abbiamo lavorato una giornata intera. Stanchi ritorniamo da Sapri in macchina. L’estate è fuori di noi, al di là del vetro della macchina. Beata spensieratezza di quella folla di giovani che passeggiano per il lungomare. Arriviamo a Scario. Il tramonto, con la sua dolcezza, c’invita al riposo, ma non possiamo fermarci. L’amico che guida non parla; l’altro parla continuamente. "Io della vita sono contento, – dice – alla morte non ci penso. Non è importante la morte, ma la vita. Basta saperla gestire. Se si ha una vita piena, la morte perde ogni importanza. Io sono felice; lo sono dopo aver realizzato con precisione un lavoro, lo sono quando faccio il mio dovere, lo sono quando mi diverto e quando ho un interesse. La morte fa paura a colui che conduce una vita vuota. Io non sono una vittima di pensieri lugubri, perché la mia vita, il mio lavoro, il mio tempo libero sono interessanti". La strada ora è in salita. Il mare è sotto di noi. Alla nostra destra ci sovrastano le montagne. Su quei monti e quei colli si rifugiavano i briganti. Quel mondo è chiuso sotto quelle pietre. Ai piedi dei monti numerosi villaggi turistici, ristoranti, bar, night.

Si accendono le luci nei locali e nelle case. A quest’ora la gente si fa bella per poi uscire. Nei night già si sente la musica. Fra poco i turisti e gli abitanti del luogo affolleranno le piste da ballo, siederanno a un tavolo sotto i rami di ulivi e sorseggiando una bevanda ostenteranno la loro bellezza, la loro singolarità, la loro raffinatezza, la grazia, la "strafottenza", la malinconia, l’intelligenza, l’allegria, il silenzio; insomma la loro unicità. Intanto, fingendo disinteresse, spieranno gli ammiratori, i "campatori", i futuri dottori. Tutti partecipano alla recita. Il gioco è stuzzicante: nascono così i fuochi dell’estate: a un ritmo lento e uniforme o assordante e travolgente, al pungente profumo di colonia misto al lezzo del sudore, nella penombra, in mezzo al baccano. Lei diventa l’idolo, a volte buono, a volte maligno, ma continuamente ammaliatore. Le mani stringono la morbida pelle di lei, i corpi si avvicinano nel tentativo e nel muto messaggio per infrangere le convenzioni, per saltare i preliminari, per fare a meno delle stupide parole. Il silenzio dice tutto e non promette niente: è sincero. Magica notte! Son felici i muti fantasmi dei briganti, spettatori del delirio, e rivivono forse i fuochi ardenti delle estati polverose e violente, quando, premendo il grilletto, si rifacevano della loro nullità e delle immense umiliazioni. Rivivono così le attese, gli agguati, la sorpresa, il boato delle loro pistole e il miracolo di vedere le carogne contorcersi nel sangue, tra macabre smorfie. E la fuga. Quanta felicità! Le adunate notturne alla fievole luce della luna. Il processo in contumacia. La sentenza. Il piano. Le laceranti pallottole. Giustizia è fatta ancora! La vigliaccheria è trionfata. Domani i poeti coroneranno di alloro i vigliacchi.

E’ strano viaggiare di notte, al chiaro di luna, parlare, pensare, ricordare, trasfigurare. E’ come vivere in un’altra dimensione. Le cose e le persone si scoprono in un fascino nuovo, in un magico mistero. Con la donna in queste circostanze non c’è dialogo, ma solo conversazione. Bisogna saper conversare, al chiaro di luna, con arte, con misura, un po’ affondando i colpi, un po’ restando in superficie, con compostezza, lasciando e non lasciando intuire, senza qualificarsi e senza neppure cadere nella banalità. Qui l’armonia: alternando silenzi e parole. Lui diventa così ciò che vorrebbe essere e finisce per amare la propria maschera, godendo di quell’immedesimazione. Lei fa lo stesso. Ognuno ama la propria maschera e quella altrui, ma non se stesso, né l’altra. E intanto s’insinua una gioia, una dolcezza profonda, un’euforia. Si vorrebbe fermare il tempo, a costo di perire lì, in quel momento, insieme.


Ciascuno si libera della propria prigione, per vivere in questi attimi una vita nuova. Lui la stringe: miracolo: si sente stringere a sua volta: è proprio vero. Incredibile. Allora una promessa. Si torna a casa con qualcosa dentro, un tesoro nascosto. Al mattino si è sazi. Non si desidera nient’altro. Poi, a poco a poco la voglia di rivederla. E’ come una febbre, una smania che ci distrae da ogni occupazione e ci affanna e ci spinge a dissetarci. Il germe, quando penetra, non fa male. Poi, a poco a poco la febbre, il bisogno di rivederla, di parlarle. Così finisci per ritrovarti solo con lei, la donna dei tuoi sogni, il tuo ideale, il tuo completamento. Ti accorgi di vivere per lei e di niente hai bisogno. Nella chiara notte lei ti sussurra:"E’ una strana forza quella che ci spinge l’uno verso l’altra".

– Non essere superstiziosa.-

– Non lo sono; ma le circostanze sono state molte. Stamane un gatto nero mi ha tagliato la strada. – Ma è superstizione! – No, senti: in ufficio un signore aveva lasciato delle carte e un collega lo ha chiamato a voce alta, più volte, con il tuo cognome. Non è strano?-

– Sì,è strano.

-Allora mi sono detta: perché oppormi? Perché non accettare?-

Intanto la stringi, la copri di baci, lei ti bacia più volte e rotolate stringendovi fino a farvi male. Stanco, ti stacchi e ti metti a parlare: lei ti guarda con gli occhi lucenti, ti accarezza la faccia, le braccia, ti scompiglia i capelli, l’attiri di nuovo e restate a baciarvi e a carezzarvi a lungo. Si va via: le fai notare il mare rischiarato dai raggi di luna e lei dice: "E’ galeotto." Quando ci vedremo? -Non programmiamo, perché se mi dovesse capitare di non poter venire, soffrirei molto.

La rivedi. Si siede sulle tue gambe come una bambina, ti butta le braccia al collo, ti bacia sul collo, sulla bocca.

Ma hai l’impressione a un tratto che non sia più lei. Cosa c’è? Non mi va più di baciarti, voglio parlare. Sei diversa. Sì, lo so, io sono sempre diversa.

Dovresti cercare di leggere in te stessa per sapere che cosa veramente vuoi.

Uffà! Io cambio sempre, sono una donna passionale, non l’hai capito ancora?

Questa poi! Un angelo passionale non è cosa di tutti i giorni. – Parliamo, dai, parliamo! – Non mi va di parlare.

-E che facciamo?- Come è possibile cambiare così, da un momento all’altro? Cosa ti è successo? -Niente. – Mi hai pensato? -No, mi ero proprio dimenticata di te. -Scusa, ma mi fai ridere-.

Lei comincia a fare dell’ironia, poi del sarcasmo su qualunque cosa tu dici.

-Risparmiati le parole- "E che facciamo in silenzio? Sai che noia?".

In effetti mi sono trovata bene con te".

-Ciao- "Ciao, grazie", non le rispondi nemmeno e te ne vai mentre il canto delle cicale si fa sempre più forte.

"Erostrato.org"

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