KULT Underground

una della più "antiche" e-zine italiane – attiva dal 1994

Un Racconto

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Un Racconto

Parte Prima

Samantha aveva lunghi capelli biondi e il sorriso del sole. La conobbi il giorno del mio compleanno il 16 agosto del 1997 nella stazione di Budapest Keleti sul treno che da Budapest portava a Venezia. Era il giorno del mio compleanno ed ero da solo a Budapest alle 17.30 quando conobbi Samantha che era da sola nella stazione di Keleti sul treno che andava a Venezia. 5 giorni di fuga a Budapest per scappare, scappare dai fantasmi che ognitanto mi perseguitano. Anche quel giorno ero in fuga, in fuga dal Danubio, dal Bastione dei Pescatori dalla cittadella perché anche quel giorno il giogo della mia ombra mi appariva troppo pesante. Samantha mi passò davanti mentre sulla pensilina aspettavo di lasciare Budapest. Non lo sapevo ma anche lei era in fuga. Entrai nel mio scompartimento e vidi Samantha che aveva lunghi capelli biondi e il sorriso del sole, e vidi che mi sorrideva chiedendomi se ero io quello che aveva prenotato il posto davanti al suo, si ero io le risposi e sorrise di nuovo. Eravamo da soli alle 17.30 del 16 agosto quando il treno lasciò Budapest Keleti. Era il giorno del mio compleanno, e allora lei prese il suo accendino, una mela e un tovagliolo, io tirai fuori un panino al salame comprato poco prima in un baracchino in stazione e apparecchiamo su quei tavolini estraibili che si trovano sui treni appena sotto i finestrini. Accese l’accendino e mi disse di esprimere un desiderio e di soffiare forte forte, io soffiai forte forte e lei mi sorrise di nuovo. Il sorriso del sole. Aveva la fede al dito, vide che l’avevo notata e mi sorrise dicendo che era per legittima difesa. Non voleva conoscere degli uomini, perché stava fuggendo dagli uomini e quella fede era un cancello che la difendeva, ma io ero diverso e lei non sapeva perché.
Eravamo da soli mentre l’ultimo sole ballava sul lago Balaton, eravamo da soli quando lei unì i sedili per poterci sdraiare. Eravamo da soli quando entrarono un uomo e una donna a prendere posto.
Ci sdraiammo allora uno opposto all’altro e parlavamo e ridevamo ma qualcosa era cambiato
e lei mi chiese di venire sul suo stesso lato, vieni tu le risposi e lei si sdraiò accanto a me.
Aveva un anello a forma di gatto e gli occhi che sorridevano come la bocca il sorriso del sole e allora le baciai quelle labbra calde come raggi del sole, del sole che sorride.
La baciai, mi baciò tutta la notte e la luna le illuminava tutto il viso, non ci staccammo mai, le nostre mani dai nostri corpi non si staccarano mai. Mi chiese dopo quanto tempo si può dire ti amo a una persona le dissi che non era il tempo ma l’intensità, la baciai, ansimavamo, non la penetrai ma eravamo comunque l’uno dentro l’altro avvinghiati nel treno che la notte del mio compleanno ci portava da Budapest Keleti a Venezia.
Era Trieste la città che all’alba lottava contro la pioggia e le onde impazzite del mare, dopo due ore arrivammo a Venezia S.Lucia. Pioveva e io salutai Samantha che prendeva il treno per Brescia.
Tornava a casa, in riva al lago di Iseo, mi lasciò il suo indirizzo e il suo numero di telefono. Mi disse che non lo faceva con nessuno ma io ero diverso e lei non sapeva il perché. Non li dava a nessuno perché non voleva che nessuno entrasse dentro ai suoi cancelli perfettamente chiusi che la proteggevano dai suoi amori finiti male, dai suoi genitori che si erano separati quando lei aveva 17 anni, dalla sua vita che era cambiata perché a 18 anni lei viveva da sola e tirava avanti una casa come avrebbe dovuto fare solo una donna più grande di lei, dalla morte di sua nonna che era l’unica forse che era davvero rimasta, da un convivente che era crollato in una crisi di nervi e aveva rischiato di farci cadere pure lei, dalla sua incipiente bulimia. Ma io ero diverso e mi diede il suo indirizzo di casa a Monticelli Brusati, in provincia di Brescia, a due passi dal lago di Iseo.


Parte Seconda


Il treno aveva mezz’ora di ritardo quando arrivò alla stazione di Verona. 30 agosto 1997 e di nuovo dentro una stazione stavo per incontrare Samantha. Era diversa, erano diversi i vestiti non più quelli da viaggio bensì un vestito elegante, sembrava ancora più alta. La baciai su una guancia come due vecchi amici che si incontrano di nuovo dopo tanto tempo. Incominciammo a girare per Verona e dopo poco tempo eravamo di nuovo Matteo e Samantha del treno. Del treno che da Budapest ci portò a Venezia il giorno del mio compleanno. Ci baciammo e io sentivo come qualcosa che mi entrava dentro al petto che mi prendeva il cuore in una stretta soffocante. Era così anche quando parlavamo, era così per me e per lei.
Era così quando per ore stavamo al telefono, io parlavo e il suo respiro s’ingrossava, sentivo le mie parole raggiungere le parti più intime del suo cuore, sentivo le mie parole arrivare la dove solo le parole dell’amore sanno arrivare.
Facevamo l’amore per telefono, è stata la cosa più esaltante della mia vita riuscire a parlare così con una donna, mi commuovevano i suoi respiri al telefono.
Monticelli Brusati è un piccolissimo paese sulla strada che da Brescia porta al lago d’Iseo, era il 27 di settembre quando vi arrivai per la prima volta.
Raccontai la storia di un piccolo principe rapito quando nudi sul letto ci strappavamo il cuore raccontandoci le nostre anime.
Io la guardavo e vedevo le profondità del suo cuore.
Era il 31 ottobre 1997 quando c’incontrammo alla stazione di Modena (per Suzzara Mantova si cambia), avevamo l’appuntamento con il mio amico Marco e altra gente per andare alla festa di Kult Underground in via Einstein (ma questa è un’altra poesia).
In pizzeria mi chiese secondo me che cosa io e lei fossimo, rimasi senza fiato, aspettavo il peggio.
Mi disse che ero entrato dentro ai suoi cancelli, che ero entrato dentro casa sua e mi ero appropriato delle sue cose, e che mi aveva avvertito che questo poteva essere pericoloso, che si sentiva oppressa.
Mi disse che vivevo in un mondo che non era il suo, io che vivevo in casa ancora con i miei, io studente a vita, io poeta, che scrivevo cose bellissime ma che non sapevo che cosa fossero concretezza e vita di tutti i giorni, io che mi facevo vincere da un tramonto o da un fiore, io che quando la guardavo mi commuovevo, non sapevo che lei in fondo era diversa e aveva bisogno di qualcuno che si occupasse di lei, che la prendesse per mano e portasse via, io invece uomo senza responsabilità non potevo prendermi la responsabilità di lei.
Il giorno di Natale, il 25 dicembre del 1997, a Parma sotto casa di sua madre lei mi disse che a uno come me non si poteva non voler bene.
Fu l’ultima volta che la vidi.



Parte Terza


Molto tempo fa ho visto un film, July Delpy e Ethan Hawke s’incontrano sul treno che da Budapest va a Vienna, si amano e poi il giorno dopo ognuno va per la sua strada solo dopo che si sono ripromessi di vedersi nello stesso posto esattamente l’anno seguente, penso che non si siano più rivisti.
Penso se ne è valsa la pena andare a Monticelli Brusati, entrare dentro ai cancelli e adesso che sono passati due anni essere ancora qui a parlare di lei, con il cuore in mano e le lacrime che vogliono uscire.
Penso di poter però raccontare lo sguardo dello struggimento sotto i raggi della luna che danzava sul lago Balaton, penso di poter raccontare l’affanno dei respiri senza fiato, il volar delle parole che arrivano al cuore, il sorriso del sole di Samantha che conobbi il giorno del mio compleanno, il 16 agosto del 1997 a Budapest keleti

Aveva ragione Samantha so solo scrivere e adesso infatti ho scritto per Barbara che non mi conosce.
Barbara che ha capelli neri con riflessi biondi che le cadono lungo il viso furbo scostante della luna, Barbara che sorride oppure che fa fatica anche solo a salutarti ma che quando la guardi non puoi fare alto che provare qualcosa di speciale per lei, dolcezza e voglia di coccolarla.
Ma questo è un altro racconto che forse mai verrà scritto


Matteo Ranzi

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