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Vittoria al Dadà

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"Vittoria" al Dadà

Sabato 8 aprile al teatro Dadà di Modena circa trecento eletti hanno potuto assistere alla nuova produzione di "Il Nodo", una compagnia1 che si autudefinisce "gruppo teatrale di arcoscenico" e che da tempo ci sta regalando rappresentazioni mature e ben strutturate.
Vittoria – una storia delle isole (libero adattamento da Joseph Conrad dell’ottima Milena Nicolini, per la regia sempre della Nicolini insieme a Pierluigi2 Cassano2) è sicuramente, tra le cose che abbiamo potuto vedere, quella in qualche modo più "lineare", accrescendo in questo modo la propria fruibilità da parte del pubblico, che si trova, fin dalla prima scena, immerso in una atmosfera da inizio secolo, impossibile da non riconoscere per chiunque abbia avuto tra le mani in gioventù uno dei tanti romanzi su quel periodo.
E il piccolo tocco di surrealità dovuto al brano introduttivo, tetro e emozionante, cantato dalla splendida Daniela Briganti senza l’ausilio del pianoforte, assente per cause tecniche, apre ancora di più lo spettatore ai ritmi blandi di una esistenza ai confini del mondo: una colonia inglese, vicino ad un’isola chiamata Samburan, un albergo che fa da salotto per i pochi bianchi gestito da Mister Schombeg (Euro Bertesi), qualche ubriaco, un capitano e le voci, prima quasi di contorno, poi sempre più pressanti, sulla vita lontano da tutti dello svedese Axel Heyst (interpretato dal davvero bravissimo Graziano Arletti).
Avvincente il ritmo sia pur lento della vicenda nella prima parte: con qualche sapiente gioco di regia, e un paio di piani di narrazione, la storia man mano prende colore, svelando i piccoli intrighi, e le passioni che stanno dietro al velo di apatia iniziale; si spiega così la profonda tristezza della moglie di Schomberg (una convincente Erika Frigeri, incanutita ad arte) e l’astio di Schomber stesso contro Mr.Heyst, colpevole di aver salvato dalle sue grinfie la giovane Alma3 Lena3, violinista sulla carta, ma "schiava" dell’orchestra per cui lavora. E si comincia a capire quindi quale sia la fiamma mischiata alla noia che anima tutti i personaggi. Fiamma che diventerà fuoco all’arrivo di Mr. Jones (Pierluigi Cassano) e del suo fedele Martin Ricardo (interpretato da una Maria Giovanna Vannini coi capelli corti e la voce impostata da uomo), coppia dal losco passato, e dai modi che vogliono sembrare "Inglesi" ma riescono solo a mostrarsi violenti.
Il finale, sull’isola di Samburan, dove Heyst e Alma si sono sottratti al mondo, aiutati dalla strana Wang-Li (Daniela Dallari) – rappresentante di una cultura che nessuno dei "coloni" riesce o vuole a comprendere del tutto – è un gioco sottile e forte insieme di tensioni, ben rappresentato dai dialoghi e dai brevi silenzi tra un passaggio e l’altro. I rapporti di tutti cedono di fronte allo svolgere degli eventi, fino a vedere incrinato perfino il rispetto servile di Wang-Li per Heyst, e quello "mafioso" di Martin Ricardo per il suo "capo" Mr. Jones, che arriva a tradire. E il personaggio triste di Alma Lena, vittima dall’inizio, non si svela del tutto neppure con la morte, e l’unica cosa chiara alla fine è che in un mondo come quello non c’è spazio per nessuna forma di vittoria, neppure per chi, come Heyst vorrebbe solo rimanere fuori da qualunque situazione.
Complessivamente una buona rappresentazione, caratterizzata da bravi attori (tra i quali spiccano Arletti e Cassano), dignitose scenografie, bei costumi, e da scelte di regia, potrei quasi dire "come al solito", molto azzecate.

Marco Giorgini

1
…forse qualcuno dei nostri lettori ricorderà un altro paio di rappresentazioni, che hanno avuto spazio sulle nostre pagine in forma di breve comunicato stampa: "L’oscuro", opera di fantascienza, piena di riferimenti e carica di potenti immagini e "Le streghe", andata in scena lo scorso anno, che si distingueva per la complessità di "sequenze" e per la forza della trama…

2
…vincitore per la sezione testi del primo Holden e autore sulle nostre pagine di alcuni splendidi articoli di pensiero…

3
Alessandra Michelini, protagonista femminile della seconda parte della storia, che ci fa rimpiangere di non esserci mossi con sufficiente rapidità perdendo così l’occasione di fotografarla…

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