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Turandot al PucciniFestival

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Turandot al PucciniFestival
5 agosto 2001

Ultima opera, peraltro incompiuta, del Maestro di Torre del Lago, Turandot rappresenta in un certo senso una deviazione dai temi cari al resto del teatro pucciniano, sempre in bilico tra realismo e sentimento. Tratto dall’omonima fiaba teatrale di Carlo Gozzi, il libretto fu firmato da Giuseppe Adami, che si occupò della versificazione, insieme a Renato Simoni, ideatore della trama e, fra l’altro, studioso della civiltà cinese. Fu proprio quest’ultimo a suggerire a Puccini un argomento che ruotasse attorno all’«inverosimile umanità del fiabesco». Lo stesso musicista descriveva questo nuovo impegno come molto difficoltoso appunto per le novità rispetto ai successi precedenti, novità che si riassumono nel personaggio che dà il nome all’opera. Dovendola differenziare da Mimì, da Tosca, da Butterfly, occorreva superare tutta una concezione musicale che sta alla base del teatro lirico superamento che, come testimonia il lento progresso dei tempi di composizione dell’ultimo atto, non fu pienamente risolto. Il difficile compito di dare un finale all’opera incompiuta fu affidato a Franco Alfano, che operò sugli appunti e sulle note di Puccini, ma Arturo Toscanini, per l’esecuzione alla Scala del 1926, la fece eseguire solo fino a dove era giunto il compositore, cioè fino alla morte di Liù.

Per riuscire a sposare la bellissima principessa cinese Turandot arrivano pretendenti dai quattro angoli della terra, ma devono risolvere un enigma, pena la decapitazione. Solo uno, il principe tartaro Calaf, riesce nell’intento e, a sua volta, sfida la principessa a scoprire il suo vero nome prima dell’alba: solo così la principessa riuscirà ad evitare il matrimonio, ma, come aveva predetto Calaf nella famosa aria "Nessun dorma", la principessa cederà all’amore. Gli altri personaggi che fanno da contrappeso nella trama sono Liù, schiava del padre di Calaf, innamorata del principe fino ad immolarsi pur di non rivelarne il nome, che si contrappone a Turandot, e i tre dignitari di corte, Ping, Pang e Pong, che a Torre del Lago sono stati risolti semplicemente in personaggi da commedia dell’arte. Ad eccezione di Turandot, peraltro di notevole (per non dire "ingombrante") presenza scenica, e Liù, il resto del cast si è poco distinto. Difficile imputare ciò ancora alle trombe d’aria che due settimane prima, la sera della prova generale, avevano fatto volare le quinte di Tosca nel lago di Massaciuccoli e danneggiato anche quelle di Turandot, costringendo tecnici e maestranze a un tour de force per il debutto del giorno successivo.
L’opera si presta a scenografie sontuose e coloratissime: qui a Torre del Lago prevaleva il rosso, l’azzurro e l’oro. Notevoli le scene d’insieme; molto pazienti i bimbi del coro di voci bianche, costretti a stare sul palcoscenico per troppo tempo rispetto alla loro età; in molti davano segni di insofferenza. Notevole e fascinosa la "quinta naturale" rappresentata dalle ferme acque del lago, il quale, peraltro, si presenta in avanzato stato di eutrofizzazione. Nonostante il paesaggio lacustre, erano incredibilmente assenti le zanzare.

Alessandro Melotti

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