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Sonntag (1)

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Sonntag (1)

Testo digitato a quattro mani. Parliamo da ignoranti di teatro, parliamo solo delle nostre impressioni.
Sonntag 1.3 è simbolo e medium, una caricatura eccitante e demente della nostra cara società postmoderna. Sonntag parla della distruzione del vecchio mondo, parla delle vecchie credenze e convinzioni che sono state tagliate e rincollate tra di loro per far comodo ai nuovi potenti. Parla di un ambiente umano, sociale e diretto, dell’essere giovani e sull’orlo del baratro del futuro. Parla dell’amore. Ma parla di tutto questo pochi istanti prima della fine, uno spiraglio di luce prima di essere travolti dal buio. Sonntag mi sembra la testimonianza della costante e progressiva distruzione dell’ambiente sociale, diretto e umano, a favore del Grande Mostro Tecnologico, la contraddittoria voce dei nuovi ribelli che sono passati di moda prima di diventarlo veramente. Un ricordo melanconico di tempi cari e passati che unisce come un filo continuo il presente e il passato. Lo scorrere del tempo, il consumarsi degli Uomini e della materia.
Sonntag è medium, come detto. La comunicazione non è diretta, ma fatta di allusioni, metafore, libere associazioni, simbologie interne all’opera il cui significato si impara guardando e ascoltando. Di cosa parla Sonntag? Della morte di un manifestante in una protesta del 1978 a Bologna, in teoria. A me sembra di più la scusa per parlare d’altro, per scavare più a fondo. Si potrebbe pensare all’analogia tra Bologna e Genova, alla morte di chi manifesta il proprio pensiero e alla violenza della repressione che, a quanto pare, non passa mai di moda. Ma non credo che tutto si esaurisca lì. Anzi, arrivare alla fine della pièce e capire (almeno in parte, spero) quei 40 minuti di delirio teatrale, è stata quasi una delusione. Come rendersi conto che Christian del Monte ha costruito un bellissimo castello per nasconderci dentro un baule vuoto. Mi sono sentito depistato. Preferisco pensare che gli scontri di piazza siano stati il pretesto per poter scrivere Sonntag 1.3. Preferisco pensare che il castello fosse già stato progettato, e che il baule vuoto sia solo un occasionale occupante. La cosa importante, in Sonntag, non è di cosa si parla, ma come lo si dice. Una volta capito come lo si dice, l’argomento del pezzo diventa solo una chiave per poter leggere tutto il mondo.
Sedevo nel TPO di Bologna accanto ad adolescenti alternativizzate che mi guardavano stranite. Non capivano. Aspettate, vedrete che alla fine capirete tutto, e che ne sarà valsa la pena. Ma non credo abbiano capito.
La prima parte della pièce sembra un’acida descrizione della Spassgesellschaft, dell’illusione che, se tutti fossimo felici, drogati e soddisfatti, allora non ci sarebbero più problemi. E’ uno specchio della superficialità, dei finti miti, del nostro bisogno di credere nei finti miti perché quelli veri ce li hanno tolti. Una ironica e disarmante messa a nudo della menzogna organizzata. Tutto il pezzo sembra la cinica riproposizione dei problemi che esistono e continuano ad esistere nella società del divertimento, la prova che così non funziona. La grottesca consapevolezza che quei problemi esistono e che si chiamano Vita.
La pièce procede demolendo pezzo a pezzo l’eccitazione iniziale attraverso la brillante poetica di Christian del Monte, fino alla rivelazione finale, la consegna delle chiavi interpretative dell’opera. L’ultima parte, "il celerino che carica" potrebbe essere un ritorno a terra, lo svelamento dei lati materiali della dittatura semiotica, la Morte come ultimo modo di fare Arte e di unire in un frangente la grande massa di finti dati sensoriali con la verità in se. Rimango nella mia posizione di ignorante teatrale, ma se posso indicare un parallelo letterario, sarebbe "Delitto e ornamento" di Loos. O forse sono solo le mie concezioni del mondo che mi spingono a vedere Sonntag in questa luce. Da qui non si esce: il linguaggio dell’opera è libero e di proprietà del solo Christian, nessuno può capirlo fino in fondo perché l’autore non ci dà molti appoggi che possiamo sfruttare.
Sonntag si adatta a tutti gli scenari e a tutti gli sfondi. Al TPO nelle cantine di una ex fabbrica di acquari, al Leonka. Prima dello spettacolo si è anche parlato di recitare davanti ad una chiesa di Bologna. Sonntag non ha un’ambientazione, ha una non-ambientazione, ha valore in tutti i luoghi perché, onestamente, i luoghi non hanno più valore, oggi.

Diego Schiavon

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