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Triguna

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Triguna
(Antonio Piras – Delos Books)

Quando leggo un romanzo che mi colpisce, mi capita spesso di fare una sorta di gioco a distanza con l’autore, una specie di "caccia al riferimento", alle relazioni, o alle somiglianze con altri testi. Un modo per cercare di incasellare magari qualche pezzo particolarmente significativo, o per vedere se riesco a sezionare meglio qualche brano. Gioco in questo caso ancora più interessante perché la lettura del romanzo
Triguna, di Antonio Piras, giungeva dopo la stesura di una lunga intervista con l’autore, proposta mesi or sono, e dopo la pubblicazione di un e-paperback che ne conteneva (oltre ad un altro racconto) l’inizio. L’insieme di queste due cose era in effetti servita non poco a far crescere una particolare curiosità, in primo luogo, stimolata dalla dichiarata passione dell’autore stesso per l’esoterismo e la filosofia orientale, e poi ulteriormente consolidata dal complesso brano introduttivo, durante il quale, nell’altro luogo-jagat, assistiamo ad uno strano rituale. Ma la capacità stilistica dell’autore in queste prime pagine mi aveva, a dire il vero, piuttosto spiazzato, e solo con il libro completo tra le mani ho iniziato ad immergermi nell’oltremodo ben tratteggiato futuro-Piras riuscendo ad apprezzarlo, e, almeno in parte, a coglierlo, collegando con la mente man mano immagini, personaggi, dialoghi, prima tra di loro, all’interno del contesto della storia, e poi con altre "esperienze" letterarie che già conoscevo.
Non voglio dire con questo che le prime pagine di Triguna siano illeggibili o fuorvianti, ma solo, e ne converrà il lettore, che l’ambientazione in cui Antonio Piras ha deciso di collocare la sua vicenda è talmente articolata che non bastano alcuni accenni per coglierne il quadro completo. Siamo infatti in un futuro (relativamente prossimo) con mutamenti fisici (piogge acide, innalzamento delle acque), politici (cambiamenti dei confini degli "stati" e degli agglomerati urbani, con figure di potere diverse dalle attuali), sociali (separazione/isolamento di gruppi "etnici" dagli agglomerati urbani, centri distaccati per la "cura" di malati da radiazioni, riconoscimenti da esperti a "quizzologi" televisivi) e religiosi. E quest’ultimo aspetto è forse il più interessante ed originale. Ci troviamo infatti in una realtà che vede sia il Brahamapapa a capo di una struttura religiosa fusa tra il cristianesimo e l’induismo (che conserva alcuni dei punti "temporali" ed esteriori delle pratiche cristiane, mixate con concezioni orientali – e l’uso, in certi casi, del sanscrito al posto del latino) sia un insieme di misteriosi tecnomonaci (abati-purusa cremisi o dal saio giallo-cromo, con mandala tatuati sul capo) che osservano(?) conducono (?) pianificano (?) trame quasi al di fuori del tempo in quel non luogo accennato prima, dove "draghi di tenebra" volteggiano in mezzo a loro.
E tutto questo, breve ed incompleto riassunto della "base", è, potremmo dire, appena il paesaggio sullo sfondo in cui più vicende si sviluppano e si intrecciano. Un paesaggio nel quale incontriamo Nina (il cui cognome è tutto un programma), una drove (gente che vive al di fuori dei centri urbani) alla ricerca di So, il Grande Veggente, il Governatore Blind che assume il quizzologo Swan perché trovi una soluzione per "la sindrome della buonanotte" (che fa piombare la gente in una sorta di sonno da cui non è in grado di svegliarsi), e Ludwig Van Lanchausen, esperto di cibernetica, da tempo intrappolato in una struttura da lui progettata che lo mantiene in vita, forza trainante del Progetto Icarus, che aspira a diventare l’amalgama di sintesi. Poi Nina incontra Ludwig, Swan incontra Andreas e Sunny (una ragazza affetta dalla sindrome della buonanotte nei cui sogni faremo la conoscenza di altri strani individui) e una sequenza sempre più incalzante di avvenimenti (tra cui omicidi) inizia a tenere con il fiato sospeso l’attenzione di chi legge, avvenimenti ricamati con una capacità descrittiva di tutto rispetto, una fantasia sicuramente accesa ed intrigante, e una cura per una certa ironia nei dialoghi che rende piacevole e fluida la lettura.
Tutto si incastra in tutto con un ritmo e una precisione da libro giallo, che gratifica i tentativi di intuire la sequenza narrativa con qualche passaggio prevedibile, in mezzo ad una trama che non lo è affatto, quasi a dare di tanto in tanto un "contentino" al lettore, che riesce in questo modo a non sentirsi completamente in balia della fervida costruzione dell’autore.
Ma come accennato all’inizio, l’ulteriore aspetto gradevole per chi legge è costituito, a mio parere, dal tentare di riconoscere (o di inventarsi?) i richiami e i tributi disseminati tra le righe. E, così, a ruota libera, si comincia a congetturare sui più o meno evidenti parallelismi tra il viaggio nella mente addormentata di Sunny a The Cell, il mago di Oz, il fantastico mondo di Paul o ad Abarat di Barker, o su quello tra il preveggente (e innestato) Ludwig e certi personaggi di Gibson o Dick, per poi scivolare su piccoli "accenni" anche alla fantascienza italiana (dalla Sicilia-"ospedale" alla Sardegna del futuro di Evangelisti, ad una vaga somiglianza con lo stile di Masali in alcuni dialoghi). Ma è chiaro che al di là dei "fatti" specifici (all’interno dei quali citerei anche la somiglianza tra il suicidio mentale di un tecnomonaco e il suicidio-rifiuto della realtà in un opera di Van Vogt) l’aria che si respira è pura SciFi e quindi Dick, o James Blish (ne L’alternativa) ci aspettano, almeno nella nostra mente da fan, praticamente dietro ad ogni angolo.

Complessivamente un’opera piuttosto valida. Duecento e passa pagine dalla trama originale e ben studiata nei tempi. Uno di quei testi da rileggere più volte per cercare di scoprire particolari nascosti, e su cui scambiare opinioni. Molti personaggi da ricordare (il profetico e mistico Ludwig è a mio parere il migliore) e ambientazioni veramente spettacolari (il laboratorio sotto il gran Sasso – che tra l’altro ho avuto modo di visitare – è azzeccatissimo, come la Venezia subacquea). E se alla fine si vuole per forza trovare qualche aspetto negativo non ci si può che soffermare sui pochi passaggi troppo "strani", su quei personaggi troppo fuori dagli schemi, ma lo si fa quasi più per rivalsa nei confronti della cripticità dell’autore, che fin quando non scriverà una piccola guida a Triguna, ci lascerà con la spiacevole sensazione di essersi tenuto per sé qualche piccola perla che non siamo stati in grado di trovare.
Anche l’oggetto Triguna (intendendo il libro, come entità fisica) è abbastanza gradevole: buona la copertina a colori e interessante l’uso di un font inconsueto per i titoletti.

Marco Giorgini

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