KULT Underground

una della più "antiche" e-zine italiane – attiva dal 1994

Intervista con gli Aphelion

10 min read

Cover.jpg
 
Gli Aphelion sono un quartetto progressive metal/fusion formato nel 2004 a Treviso da Alessandro Bertoni alle tastiere, Enrico Pintonello alla batteria, Sebastiano Pozzobon al basso e al basso fretless, Matteo Gasparin alle chitarre. Dopo la registrazione del demo “Demonstructive”, nel 2006 firmano un contratto con l’etichetta italiana  Lizard Records. Verso la fine del 2007 la band si riunisce al Majestic studio di Venezia e registra sette tracce strumentali per l’album d’esordio “Franticode”. Il lavoro, che ospita anche il valente chitarrista Alex Stornello, solista in “Clouds over Tharsis”, viene remixato dal tastierista Derek Sherinian (Planet X, Billy Idol, Dream Theater, Alice Cooper, Yngwie Malmsteen) nei suoi BeachWood Manor studios in California e da Alex Todorov. Il cocktail progressive degli Aphelion è composto da fusion, techical metal e jazz. Le influenze riscontrabili all’ascolto: Planet X, Gordian Knot, Spastic Ink, Allan Holdsworth, Tribal Tech, Chick Corea e i King Crimson più energici (The power to believe). L’artwork della copertina è stato curato da Mattias Norén (ProgArt).
 
 
Davide
Ciao Aphelion. Siete all’afelio o al punto in rotazione più distante nell’orbita di quale sole o di quale stella? O è solo un modo di sottolineare l’eccentricità della vostra orbita?
 
Aphelion
Alessandro: Ciao Davide, da come la metti siamo comunque all’afelio, pare… se del Sole o di altra stella non è dato sapere neanche a noi. L’importante è rimarcare tramite un nome l’impronta, appunto, eccentrica della nostra proposta musicale.
Enrico: Ciao Davide, e intanto grazie per questa intervista.
Diciamo pure che il nostro essere all’Afelio è molto legato a come siamo personalmente e come questa cosa poi una volta che stiamo tutti assieme riesca ad concretizzarsi in una composizione sicuramente non molto comune, almeno in questo paese.
 
Davide
Suonate un genere molto tecnico, fatto di lunghe e complesse sessioni soliste, e non molto praticato in Italia. Tolstoj disse che la musica è la stenografia dell’emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà, che sono quindi direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere e il suo significato. Per questo o per quale altro motivo avete scelto di escludere completamente la voce umana e la parola dal vostro lavoro?
 
Aphelion
Alessandro : La musica è una forma d’espressione artistica in costante bilico tra l’essere una scienza esatta ed essere pura emozione. Il blend di queste due cose la rende la più complessa ed  affascinante fra le arti.
Venendo a noi, il fatto ha un‘origine, possiamo dire, antropologica. Nell’ambito della musica moderna-contemporanea, in Italia, da sempre la melodia e la neomelodia unita ai testi e alla potenza evocativa – eversiva e suggestiva di questi ha giocato il ruolo principale. Anche nella musica classica i maggiori esponenti dell’italianità si distinguono dai geniali russi o tedeschi proprio per questo. La cosa è andata però reiterandosi e marcendo col passare degli anni e l’espressione musicale ha preso la forma di diversivo sonoro, di “sottofondo”… si sente, ma non si ascolta, la melodia e le parole hanno stucchevolmente saturato il mercato tricolore. Con le dovute eccezioni ovviamente.
Il fatto che gli Aphelion siano e saranno una band strumentale lo si deve alla mentalità molto poco ” patriottica”, all’influenza americana nell’attitudine e nella componente armonico-melodica-ritmica molto ricercata ed elaborata, voluta, appunto, per creare quell’emotività estrema e talmente intensa da non aver bisogno di essere spiegata a parole.
Enrico: Si possono considerare molte ragioni che possono averci spinto a non sentire l’esigenza di includere anche lo strumento voce. Semplicemente negli Aphelion ognuno di noi ha trovato il massimo del piacere compositivo, una continua e profonda ricerca personale nel cercare di trovare sempre soluzioni nuove, mai ripetute o già sentite e che cercano di essere attraenti e spiazzanti per chi ascolta e anche per chi le suona.
 
Davide
La musica strumentale non è ancora molto seguita dagli italiani, anche se Mogol, nell’intervista libro con Oliviero Beha, fa notare già dal titolo che “L’Italia non canta più”, che ha smesso di cantare nei molti momenti della giornata. Cosa ne pensate?
 
Aphelion
Alessandro: Penso che sia una cazzata. Mogol è dispiaciuto perché “l’Italia non canta più”? E allora perché la necessità di un intervista libro? Non poteva scrivere, arrangiare e produrre un brano da far cantare? I soldi e gli agganci nell’ambiente li ha… Il fatto è che in Italia cantano in troppi, invece, e cantano male e cantano qualsiasi cosa etichettandola con nomi di generi inventati al momento. Basti guardare al successo dei cantanti neomelodici italiani contemporanei, al successo degli show televisivi dove la dimensione “spettacolo” ha la meglio su quella qualitativo – musicale, a quanto il trittico voce-immagine-parola sia vincente sul mercato e a quanto SIAE e produttori ci mangino sopra.
Si sfrutta l’immaginario, ad esempio, del gondoliere veneziano che canta d’amori lontani nel tempo o del garzone napoletano che emette le sue note dialettali con un romanticume lacrimogeno stucchevole e il tutto per dare alla gente un senso di appartenenza, di patria, di distinzione che ormai ha del ridicolo.
Enrico : Beh diciamo che la musica strumentale non è seguita in generale.
Pensa ai grossi compositori moderni di musica classica che trovano spazio solo nel cinema, vedesi Nyman, Glass, Clint Mansell, Thomas Newman, John Williams, Harry Gregson Williams… ma rischio di non finire.
Da qui nasce anche l’approccio che una persona può avere nella voglia di ascoltare la musica in senso stretto.
Venendo a Mogol, che rispetto tantissimo come artista, vorrei comque farti notare che in italia adesso chi fa il mercato musicale sono i Reality, che bada bene non rinnego, perché comunque possono far capire almeno in parte quanto sia difficile fare musica, ma dall’altra continuano a mantenere vivo un modo di fare musica da Italiani che non funziona più, se non in parte solo nel nostro paese.
Pensa al nostro pop e a quello inglese, sono profondamente diversi nel concetto compositivo. Da noi non si sente la musica, non c’è uno strumento o dei suoni che diano profondamente senso alla canzone. C’è una linea vocale ed un testo che devono essere gli unici punti di riferimento per ragioni di mercato.
 
Davide
Quanto hanno inciso Derek Sherinian e Alex Todorov nei suoni di questo vostro disco? Qual è stato il loro apporto, l’ impronta o il “marchio di fabbrica”?
 
Aphelion
Alessandro: Parlando personalmente con Derek qualche mese dopo l’uscita del disco, ci confessò quanto fosse stato facile e divertente per lui mixare il disco, tanto erano di alto livello i suoni ottenuti in studio. Quindi direi innanzitutto che molto ha inciso la qualità audio che al Majestic Studio abbiamo ottenuto durante le sessions di registrazione. Il merito di Derek è stato quello di aver capito immediatamente di cosa si trattava e di aver agito di conseguenza donando al disco quell’impronta fortemente americana, con molta spinta, suono tridimensionale e pasta di frequenze ottimamente amalgamata in modo da valorizzare le dinamiche dei brani. Cosa che manca al 99% delle produzioni italiane, per una questione di mentalità.
Enrico : A livello di suoni Derek può avere inciso nel senso che i suoi dischi con i Planet X hanno sicuramente influenzato la nostra curiosità musicale e compositiva oltre che sicuramente a qualche scelta sui suoni di tastiera.
Derek, attualmente, è un punto di riferimento mondiale nell’ambito metal/fusion/prog ed è impossibile non esserne almeno in parte influenzati, se suoni più o meno in questa direzione.
Al di là di questo però i suoni sono stati decisi da noi e sviluppati in studio con Marino DeAngeli. Ognuno di noi aveva chiaro il senso che si voleva dare al disco e il tipo di suoni da ottenere, e per ogni strumento sono state fatte scelte che cercassero di restituire un suono aperto poco compresso distante dalle produzioni Progressive degli ultimi 15 anni.
Derek e Alex si sono trovati a mixare un lavoro molto carico di parti dove era facile perdere il filo del brano. Noi cercavamo un mixaggio di impronta americana per prendere le distanze dai suoni troppo europei, troppo standardizzatisi degli ultimi anni.
 
Davide
Oliver Sacks, in Musicofilia, parla tra l’altro del prodigio della neurogamia ogni qualvolta il nostro sistema nervoso “si sposa” a quello di chi ci sta accanto attraverso il medium della musica. Cosa ne pensate della sua conclusiva affermazione che la musica ci restituisce a noi stessi e agli altri?
 
Aphelion
Alessandro: Che è una contraddizione in toto. Come in quasi tutte le cose al confine fra lo psichico ed il neurologico, vige una soggettività, quasi un solipsismo di fondo. Fattori caratteriali, ambientali, cognitivi, antropologici ed altro rendono la percezione emozionale delle onde sonore estremamente diversa da popolazione  a popolazione  da individuo ad individuo e da momento a momento. La musica ha caratteristiche oggettive ma interpretabili a seconda di canoni di gusto estetici o altro. Non vedo quindi nulla di più sfuggevole, trasformabile, plasmabile ed insieme affascinante di questo. Ma queste caratteristiche rendono la musica un sentiero di “allontanamento” e non di ” ritorno”. La novità che può darti un brano nuovo ti fa emergere da te stesso, dalla tua quotidianità, dalla presenza di altri, ti isola e ti dona dignità migliorando te stesso e le tue doti percettivo-interpretative. Le parole di Sacks potranno valere solo se relazionate, per esempio, ad un canto tribale dove ad alcuni suoni corrisponde un messaggio per la comunità, ma questa è comunicazione, non espressione. E’ un po’ lo stesso discorso relativo all’antropologia–melodico-musicale italiana di cui sopra. Ad esempio io non percepisco un assolo di Coltrane come lo percepisce la ragazza con cui faccio l’amore, nonostante le nostre onde cerebrali siano su frequenze sovrapposte. Perché siamo comunque due entità differenti ed uniche ed unico è ciò che singolarmente percepiamo. Ed è questo il bello.
 
Davide
C’è un concetto in “Franticode” che vi porta nei titoli a volare nello spazio tra le sabbie di Mercurio e la vulcanica regione marziana di Tharsis?
 
Aphelion
Alessandro: Nessun concetto, nessun senso, nessun significato nei titoli, solo pura suggestione, estemporanea per giunta, e quindi non esplicabile per definizione. Solo accostamenti di ciò che “si vede” in un brano a ciò a cui si immagina si potrebbe accostare.
 
Davide
Bella anche la copertina… Una cascata d’acqua nello spazio e un pianeta che sembra essere emerso da essa. Sullo sfondo un sole. Dal bello naturale (oggettivo) a quello artistico (soggettivo) e alla techné, quanto ha inciso sulla vostra estetica vivere e suonare nelle due vicine città d’acqua, Treviso e Venezia? Cos’è il bello musicale per voi?
 
Aphelion
Alessandro: La copertina sarebbe dovuta essere tutt’altro inizialmente, qualcosa di molto più “sharp” e post moderno, ma poi da un idea di Matteo (mi pare  che tra l’altro -se non mi sbaglio- non sa neanche nuotare…) e l’interpretazione di Noren è nato un bel soggetto, tutto qui.
Le città d’acqua sono umide, ti si intorpidiscono i muscoli delle mani… non un bene per suonare… Poi Venezia la odiamo per motivi personali ed inoltre il batterista è di Padova e soffre la siccità, per cui direi che la resa di Franticode è totalmente indifferente dai fattori ambientali.
Il bello musicale è l’esposizione corretta, espressiva, accorata di un qualsivoglia segmento musicale, meglio se innovativo e che abbia in sé una forte carica e un  groove personale marcato, indipendentemente dal contenuto stilistico dello stesso.
 
Davide
Cosa farete prossimamente?
 
Aphelion
Alessandro: Non dipende da noi. E’ paradossale dirlo in quanto la nostra personalità musicale imporrebbe un altrettanto forte potenziale decisionale, ma come già detto e ridetto, il mercato, la scena, il paese in cui è nato e da cui proviene Franticode e chi l’ha scritto e suonato, non offre possibilità  – per ora – di portare avanti una qualsiasi attività. Noi siamo musicisti, ci piacerebbe portare su palco Franticode e magari un suo successore, ma in Italia questo non ha senso farlo e non ve ne è la possibilità, e quindi non ha senso neanche cercare di procrastinare un progetto che viene rifiutato con maleducazione, ignoranza e incompetenza dalle agenzie di booking, dai locali, dai settori manageriali di chi si occupa di Live music e promozione.
 
Davide
Grazie. A’ suivre…
 
Grazie a
Francesca Grispello
 
Ufficio Stampa Synpress44 – http://www.synpress44.splinder.com

Commenta