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Luna Papa

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Luna Papa

Apriamo gli occhi e il cuore: questa volta il cinema, con Luna papa, ci porta in una terra a noi ancora lontana (o in cui ritroviamo echi di ciò che eravamo), in un caos quasi pre-industriale, che si colloca nella parte asiatica dell’ex Urss, la transcaucasia, tra un deserto polveroso, piccoli villaggi e un lago dal colore cangiante come lo stato d’animo dei personaggi.
All’inizio questo mondo lo vediamo dall’alto, da uno dei tanti aerei che sfrecciano in quelle lande, e poi scendiamo a terra, tra cavalli al galoppo, dove incontriamo Mamlakat, una ragazza che vive con il padre vedovo e il fratello reduce dalla guerra e in stato confusionale, al punto da credere di essere un aereo bombardiere, ma in grado di distinguere ancora il bene dal male.
Mamlakat è affascinata da un teatro simile al nostro avanspettacolo anteguerra e una notte di luna, inseguendo queste sirene (da Shakespeare a Tom Cruise, ebbene sì), vestita di bianco come una sposa, viene sedotta da uno straniero, in una bellissima scena d’amore, mentre si inoltra in una selva incantata di sospiri e si lascia trascinare, da quello che vuol credere sia un attore, in una discesa senza fine di godimento e sensualità, tra mani, braccia e gambe sconosciute che la stringono.
Trascorre poi la maggior parte del film alla ricerca del padre di un figlio non ancora nato, ed è attraverso i suoi occhi che osserviamo questo mondo affollato ed incasinato di eventi, polvere, suoni e rumori: carri armati di mafiosi con ombrellino parasole, aerei che sfrecciano a bassa quota, per rubare pecore e scaricare tori, treni che sferragliano, pallottole che fischiano ed uccidono (ma salvano il futuro nascituro), traffici di tutti i generi. Lungo questo percorso troverà e perderà (per un intervento…dall’alto) un marito e poi anche il vero padre, ma questi uomini non sono in grado di reggere il ritmo folle della vita di Mamlakat.
Si tratta di un realismo scatenato e fantastico, pieno di umori vitalissimi, energie disordinate, tradizioni ancora forti, gioia di vivere irrefrenabile, con un finale che si solleva letteralmente, in un volo di fantasia che porta lontano, verso altri lidi.
Presentato a Venezia, questo film era stato destinato al concorso, poi Kusturica, presidente della giuria, espresse prima dell’inizio del festival la sua ammirazione e quindi Luna papa fu dirottato in un’altra sezione. Peccato, avrebbe potuto anche vincere, più meritatamente del non travolgente film di Zhang Yimou2: Ma non fatevi ingannare da giudizi affrettati o da un occhio distratto: il cinema di Kusturica c’entra, ma fino a un certo punto, con questo Luna papa, che è più commedia in salsa caucasica che humor nero balcanico. Ciò che accomuna questi film (e anche altri recenti, provenienti dal nostro est, come quelli di Goran Paskaljevic o del rumeno Pintilie) è, dal punto di vista antropologico, un’umanità in ebollizione, piena di vita, non ancora (per quanto?) anestetizzata da un modello di sviluppo basato su consumismo e manipolazione del consenso.
Teniamo anche a mente questo giovane regista, dal nome pur difficile: Bakhtiar Khudojnazarov, di nazionalità tagika, che aveva già vinto un premio a Venezia con il suo film precedente: probabilmente ne risentiremo parlare.


Paolo Baldi


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Vincitore con "Non uno di meno", effettivamente accolto un po’ freddamente ma sicuramente meritevole.

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