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Voci che sussurrano

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Voci che sussurrano

In questo nebbioso novembre eccoci con la prima “puntata” di SUSSURRI, anno terzo. Ebbene sì, questa rubrica ha festeggiato degnamente i due anni di vita: mai, dall’ottobre del 1994 ha “saltato” un appuntamento, nè, tantomeno, si è mai presentata a voi con meno di quattro articoli.
Un piccolo record?
Forse sì, o forse no.
Probabilmente più che un merito da parte nostra, questo dato rappresenta un particolare interesse, non solo di pubblico, ma anche di collaboratori.
Non centinaia, purtroppo, sono infatti coloro che mensilmente ci inviano materiale da pubblicare, ma, ugualmente, mai abbiamo assistito ad un totale “calo di forma”, tale da farci anche solo considerare l’ipotesi di un’autanasia di questa sezione.
Cosa vuol dire questo? Che siete in molti, “là fuori”, ad avere, nei cassetti della vostra mente, poesie o racconti che volete rendere pubblici, ma che, allo stesso tempo, molti di più sono quelli che, pur avendone desiderio, non trovano tempo, stimoli necessari, oppure il coraggio, di esporsi.
Che fare per loro, se non rinnovare l’invito a “farsi giudicare”, a mettersi in piazza, provando a contattarci? Che fare, se non ricordare i due concorsi attivi in questo momento, ed invitare chi esita a leggere ciò che altri hanno proposto?
Niente più di un invito, come al solito. Le “regole” sono quelle di sempre; il desiderio di creare qualcosa insieme a voi, se lo può essere, ancora più grande.
Ricordo a tutti che, anche per brevi poesie, o racconti, è consigliabile che usiate KTEXT, in modo da avere già un idea dell’impatto “tipografico” finale… e poi, magari, avendo uno strumento in grado di creare non solo testi, ma ipertesti, a qualcuno potrà venire in mente di comporre qualcosa “a più dimensioni”. Magari corredato di grafica, magari anche di una musica che renda l’atmosfera ancora più piena.

Sappiamo che, purtroppo, contattarci è particolarmente duro per chi non ha accesso ad Internet: non abbiamo un recapito telefonico, e riusciamo ad evadere la corrispondenza ordinaria con tempi degni della più stantia burocrazia; ma se questo non riesce ugualmente a spaventarvi, sappiate che in questo “salotto” potreste essere i benvenuti. E di “spazio” può darsi che ce ne sia più di quello che potete immaginare: si stava infatti pensando di affidare a qualche volenteroso Rapidi pensieri, non più seguibile dal sottoscritto.
Ovviamente, se in concomitanza, o in alternativa, con la ripresa di questa parte di SUSSURRI, qualcuno volesse poi gestire qualcosa di costante e particolare, non ha che da proporsi…

Pensateci. E mentre cercate di risolvere dentro di voi l’angoscioso dubbio se collaborare o no, approfittate di quello che il “convento” passa anche questo mese.

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E’ nostra ferma intenzione tentare di ampliare più possibile le opportunità offerte da SUSSURRI. E per fare questo, oltre ad ipertesti, musica o altro, si sta cercando di coinvolgere in questo
“angusto spazio” non solo compatrioti tricolori, ma anche persone di culture e di nazionalità differenti. Non è detto che questo compito risulti gradito, nè forse, che sia possibile fondere in queste pagine molto materiale estraneo alla letteratura italiana “underground”.
Comunque, forti di qualche contatto, e dell’ormai iperdiffuso
Internet, proveremo lo stesso a presentare con regolarità (come del resto avrete già notato in vicino passato) anche materiale in lingua inglese.
Colours of love del pakistano Asif Khan è una poesia in rima, composta da cinque quartine. Di veloce lettura, è una spontanea e “primaverile” esaltazione dell’amore più immediato: estasi per l’amata, vita per il suo sguardo, nuove ragioni per essere felice. Inno ad una vita intensa dedicata al oggetto-soggetto della propria passione, passione aulica ed eterea, che vede la donna come “luce”, come colei che apre la mente e completa una vita altrimenti a metà.

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Nausea di Caterina Sonzogni (terza poesia da lei proposta), è un breve componimento dal sapore intenso che si abbina ottimamente alle sua precedenti pubblicazioni. Più lenta sia di Inferno sia di Febbre ha un ottimo crescendo nella descrizione di stati d’animo che sconvolgono l’io narrante, e un ritmo narrativo atipico (la scelta dei termini sembra quasi “stonata”); significativo il finale, che contrappone al climax che viene raggiunto poco prima dell’ultima riga, un concreto senso si spossatezza interiore, che sembra siglare una capitolazione del personaggio nel senso di (appunto) nausea.

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Untold Evening Tales, che negli ultimi due numeri, si era proposto con poesie in lingua inglese, presenta questo mese Colle romito. Ardito, e forse non del tutto inadeguato tributo a Leopardi. Il colle a cui questa breve “ode” è dedicata, è ovviamente quello dell’Infinito, reso immortale e sacro dalla presenza, reale o immaginaria che fu, di un grande poeta, nell’atto di comporre un pezzo considerevole del nostro patrimonio culturale comune. Il tempo è mutato, tutto è diverso, ma in ogni caso, nulla, neppure l’eventuale deperimento fisico del colle stesso, può alterarne il valore simbolico, e renderlo meno “vivo” ai nostri occhi. Buona scelta di lessico, inguainato in una struttura volutamente arcaica, che rendo l’opera sicuramente degna di essere letta.

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Matteo Ranzi, detentore dell’inesistente titolo di “poeta del mese”, nei due precedenti mesi, si ripropone con una intrigante e complessa architettura narrativa: Poesia del giorno. Non gli vale la conferma del suo precedente ruolo (che questo volta non ritengo di potere assegnare ad alcuno), ma ben più di un commento positivo è inevitabile levarlo a suo favore. Il tema è semplice e splendido: il tempo scorre monotono, lento, uguale, ma in un sabato, uno spiraglio si apre; appare un viso, illumina per un istante il mondo intero, e poi tutto scompare di nuovo, lasciando semplicemente una scia di profumo.
Ottimo il linguaggio usato, ottimo il ritmo pacato e mutevole, gradevole il soggetto. Sicuramente lo stile di Matteo appare in crescita, e non possiamo che augurarci che, coerentemente a quanto sta accadendo negli ultimi mesi, continui a proporsi con costanza.

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Sea and sky dell’inglese Anita Gooda, apre la parte dedicata ai racconti di SUSSURRI. Questo mese, e questo testo ne è un esempio, sono stati riuniti in questo spazio non solo racconti di fantasia, ma anche opere di difficile collocazione narrativa.
Anita, già conosciuta mesi or sono (se non ricordo male il suo primo testo è stato pubblicato in giugno), propone, come la volta scorsa, una “biografia letterata”. Pagine di un diario che non esiste, arrotondato da un desiderio di sfuocare fatti ed eventi con la luce imperfetta della prosa: ecco cosa possiamo vedere tra le righe di questo piacevole racconto di riflessione su sè stessi, in cui le parole hanno una valenza sonora che viene inevitabilmente ridotta se non lette nella loro lingua d’origine. Un buon lavoro, stilisticamente più curato di “Italian therapy”, che fa desiderare di leggere, della stessa autrice, magari qualcosa di ancora più introspettivo.

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8.11 a.m. – 18.16 p.m. di Francesco Venturi è un ulteriore prova di quanto anche questo autore – che sembra trovarsi a suo agio sulle nostre pagine – sappia essere in grado di cimentarsi in ambienti narrativi diversi, ottenendo risultati non identici, ma sempre piacevolissimi. L’elemento comune della produzione che ci è dato conoscere (l’introspezione personale), che, a mio parere, ha un picco con l’ottimo “diario di un visionario”, non viene meno in questo scritto “senza pause”. Anzi, ripreso con un tono totalmente differente, in questo testo che descrive una paranoica giornata “come tante”, diventa quasi più importante della vicenda in sè. E così gli umori alterni, il senso di claustrofobia che la vita a volte da, il susseguirsi di frasi sentite, di avvenimenti banali (ma solo perchè comuni, non perchè effettivamente privi di valore), tutto, insomma, si trasforma in una sorta di “zapping mentale”, che si placherà in un finale improvviso e di insicura interpretazione, senza dare al lettore alcuna certezza, alcun punto fermo, se non che, a volte, la calma può essere più vicina di quanto si immagini…
Tecnicamente buono come i precedenti, questo racconto dovrebbe senza dubbio piacere anche a chi aveva cominciato a classificare Francesco come “scrittore solo di fantascienza” (come se questo dovesse, in ogni caso, essere un difetto).

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Le scale di Marco Giorgini, è un racconto “cinematografico”, dedicato a quelli che stanno vivendo in zone a rischio terroristico, o in luoghi di guerra. Pochi minuti in cui il passato prossimo e il presente si fondono lentamente fino a rivelare la breve trama, chiudendo un cerchio, già segnato in principio.

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Altro racconto non-racconto, Modena: il terremoto di Marco Cristiani,
è una specie di cronaca di uno dei momenti che si sono vissuti a
Modena e a Reggio a metà di Ottobre. Un terremoto, inusitatamente forte per queste zone normalmente tranquille, ha trasportato in un istante solo tutti noi in un altro universo: il mondo, stabile normalmente, perdeva punti fermi, certezze, creando quel genere di panico che non si vince, quel panico che è dovuto al constatare quanto l’uomo sia piccolo di fronte a ciò che lo circonda.
Marco descrive, con buona capacità di coinvolgimento emotivo, la sua personale esperienza. La scuola, suo teatro, ha offerto a lui più di un motivo di riflessione; i compagni, il professore, i vetri che si infrangevano, tutto viene riproposto con un ottimo ritmo, ottenendo una narrazione che risulterà gradevole anche a chi di voi non è stato coivolto in prima persona, non solo per la realistica descrizione degli eventi, ma per soprattutto per il tono ed il “colore” di tutta la vicenda.

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Buona lettura!

Marco Giorgini

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