KULT Underground

una della più "antiche" e-zine italiane – attiva dal 1994

PI greco, che passione!

4 min read

PI greco, che passione!

Ben tornati a questo nuovo articolo in cui verrà trattato un altro argomento (questa volta un po’ più tecnico) che ha tenuto impegnati i matematici (e tuttora alcuni sono ancora impegnati) fino dal 1600 a.C.; pensate che da più di 3500 anni decine di studiosi stanno lavorando per determinare il valore di un numero: il PI greco.
Prima di proseguire è però necessario premettere che a causa di problemi di impaginazione e di spazio, si farà un uso molto limitato di formule e disegni, prediligendo una descrizione discorsiva della legge matematica. Detto questo, cominciamo come al solito con un po’ di storia per inquadrare bene l’argomento.
Il PI greco è un numero irrazionale e trascendente ed è quindi un decimale non periodico ed illimitato. Inizialmente il PI greco non era conosciuto come tale; non aveva il nome attuale e non era conosciuta nemmeno una sua approssimazione (l’attuale 3,14); era soltanto definito come quel numero che indica il rapporto fra la circonferenza ed il diametro di un cerchio.
I primi studi provengono dai Babilonesi che, aiutati dalle loro conoscenze nel campo dell’astronomia, stimarono il Pi greco pari a 3; un valore identico viene assegnato nella Bibbia.
Ma è nel Papiro Rhind, il trattato di matematica più antico in assoluto, che viene data una prima approssimazione del valore; senza riportare nessuna dimostrazione viene affermato che “un cerchio ha l’area uguale a quella di un quadrato avente un lato lungo gli 8/9 del diametro del cerchio” da cui si può dedurre che il PI greco ha un valore approssimato di 3,1605… esatto quindi alla seconda cifra.
Senza ancora chiamarlo Pi greco, i matematici greci si interessarono al problema da un punto di vista puramente geometrico: dal 500 a.C. diversi filosofi-matematici si alternarono nello studio utilizzando un approccio basato su considerazioni strettamente geometriche; ricordiamo Dinostrato, Anassagora, Ippocrate da Chio, Eudosso da
Cnido, dopo i quali arrivò finalmente Archimede. Questi trovò un metodo geometrico di calcolo semplicissimo ma nello stesso tempo anche estremamente ingegnoso; inoltre aveva anche il pregio di convergere alla soluzione molto rapidamente tanto che nel 1596 Ludolph van Ceulen riuscì a calcolare il valore di Pi greco fino alla trentacinquesima cifra.
Il metodo consiste nell’approssimare il cerchio ad un poligono regolare con un numero di lati via via crescente. Il cerchio può essere infatti considerato un poligono con un numero infinito di lati
(che, conseguentemente, hanno lunghezza che tende a 0). Il raggio, poi, può essere considerato l’apotema del poligono stesso.
Dato che il Pi greco è il rapporto fra la circonferenza del cerchio e il doppio del raggio, si può anche dire che è uguale al rapporto fra il perimetro del poligono approssimato ed il doppio della sua apotema.
Archimede partì considerando un esagono inscritto in una circonferenza di raggio unitario; si sa quindi che il lato dell’esagono è uguale al raggio cioè 1 e l’apotema è pari alla radice di 3 fratto 2. Raddoppiò quindi il numero di lati in modo da riuscire a calcolare il nuovo valore del lato e dell’apotema con la semplice applicazione del teorema di Pitagora.
Ora il poligono aveva 12 lati e quindi, rispetto al precedente, approssimava meglio una circonferenza. Tornò a raddoppiare il numero di lati calcolando la nuova lunghezza dal lato e dell’apotema; raggiunse così i 24 lati e, conseguentemente, una migliore approssimazione della circonferenza.
Proseguì l’operazione fino a quando le sue conoscenze algebriche e aritmetiche glielo permisero. Calcolò quindi il perimetro moltiplicando il numero di lati raggiunti per la dimensione di un lato che aggiornava ad ogni raddoppio di lati. Divise infine il perimetro per il doppio dell’apotema e giunse ad un valore pari a 3,1428 con un poligono di 96 lati.
Continuando nella storia del Pi greco, si può vedere come nel XVII secolo si verificò una svolta decisiva nello sviluppo dei metodi di calcolo: infatti è in questo periodo che si svolsero le ricerche più importanti sull’analisi infinitesimale.
Senza scendere troppo in dettagli complicati, si possono citare i contributi di tre grandi matematici.
Il primo è John Wallis (1616 – 1703) che espresse il Pi greco secondo il seguente prodotto infinito:

G. W. Leibniz (1646 – 1716) invece calcolò il Pi greco con una serie infinita:

Questa formula deriva dallo sviluppo in serie della funzione arcotangente.
Queste due serie hanno il grosso difetto di convergere verso la soluzione molto lentamente così da non essere convenienti per il calcolo di un grosso quantitativo di cifre. Risulta invece molto utile la formula di Machin che nel 1706 riuscì a calcolare 100 cifre.
Quest’ultima formula è stata attualmente utilizzata per calcolare i primi milioni di cifre decimali. Un così grosso quantitativo di cifre non ha nessuna utilità pratica dato che 30 cifre decimali sono sufficienti ad ottenere una precisione non raggiungibile con nessun microscopio su una circonferenza pari a quella del sistema solare. E’ però di grande interesse teorico potere compiere studi sulla periodicità delle cifre, sulla ripetizione consecutiva di una stessa cifra e sulla distribuzione delle cifre.
A tal proposito si può affermare che non è stata trovata nessun tipo di periodicità con lunghezza pari più di qualche cifra, mentre è stato osservato il comportamento anomalo della cifra 7 che è stata trovata ripetuta 7 volte consecutivamente.
E’ infine interessante sapere che ci sono diverse persone al mondo che si sono cimentate nella memorizzazione di una grossa quantità di cifre del Pi greco; addirittura un indiano è riuscito a memorizzarne più di quindicimila.
Anche questo mese l’argomento è concluso; vi invito a leggere l’articolo di Stefano Riccio in cui troverete approfondimenti all’argomento, seppure da un punto di vista un po’ diverso da quello di questo articolo.

Thomas Serafini

Altri articoli correlati

Commenta