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Solo seduto su una panchina…

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Solo seduto

su una panchina…

Superstar si era fatto male, ed ora era costretto ad uscire dal campo.
L’allenatore guardò l’unico giocatore che gli restava in panchina:
Ghiro. Ghiro era il soprannome, prima ancora era stato Amnesia, perchè quando lo guardavi non riuscivi più a ricordare l’ultima volta che lo avevi visto in campo. Ghiro comunque si era adattato bene: aveva iniziato a lavorare a maglia, per passarsi il tempo in cui stava in panchina. Ogni stagione sportiva faceva due maglioni e una sciarpa.
Aveva vestito tutti i nipoti, che erano due per ogni fratello. I fratelli di Ghiro erano 16.
Tutto questo, forse, può spiegare l’attimo di esitazione che prese l’allenatore al momento di chiamarlo. Ma durò solo un istante.”Ghiro”, chiamò. Ghiro si guardò attorno, fissò l’allenatore perchè gli sembrava che avesse detto il suo nome e che lo stesse guardando. No, non poteva essere vero. Tornò a lavorare a maglia, rassegnato. Ormai non ci sperava più. Una volta, qualche anno prima, per mancanza di giocatori sembrava che dovesse addirittura debuttare da titolare. Per la gioia, si chiuse in bagno a fumarsi una canna. Da pesca.
Lo trovarono che stava chiamando ‘Mamma’ un begatino biondo, particolarmente rassomigliante. Dopo mezz’ora, saltò fuori un giovane talento che gli rubò il posto. Il giovane talento aveva cinque anni, e
Ghiro ricordava ancora la discussione tra l’allenatore ed il presidente della società. L’allenatore riuscì a convincere il capo che quel bimbo era meglio di Ghiro.
“Almeno siamo sicuri che non si faccia una pera williams in campo”, aveva detto l’allenatore. Così, l’unica occasione era passata. Il tecnico però guardava ancora lui, in lacrime. Con la voce rotta dal pianto lo chiamò. “Ghiro”, gli disse, “lascia quei ferri, tanto mi han detto i tuoi nipoti che la roba che fai non la portano, puzza di naftalina. Vieni qui, sono costretto a farti entrare”.
No, stavolta non era un’illusione, aveva sentito bene. Lo avrebbero fatto giocare! Si alzò talmente in fretta da inciampare nei ferri, uno dei quali gli si infilò sotto il ginocchio rompendo legamenti e menisco. Tappò il buco, da cui iniziava ad uscire il sangue, con la lana di scarto della lavorazione, guardò l’allenatore e disse “sono pronto”. Respirò forte l’aria di quel momento, mentre si avvicinava alla linea laterale del campo e gli sembrava che i centimetri fossero anni luce, che la stessa linea si alzasse quasi ad ostacolarlo, a volergli impedire di entrare.
“No, niente mi fermerà”, disse a sè stesso Ghiro accingendosi a scavalcare quella maledetta linea. Poi, accadde l’imprevisto.

La natura si ribellò. Incredibilmente, secondo gli scenziati, una cometa che era stata studiata attentamente per la regolarità della sua velocità e sarebbe dovuta entrare nel campo visivo terrestre 12 anni dopo accelerò.
Il suo passaggio provocò un innalzamento delle maree del pianeta, ma questo sarebbe stato il meno.
Purtroppo per Ghiro, quel giorno i bagni del palasport, che era gremito, erano intasati. Uno solo era agibile, per 12.000 spettatori.
L’innalzamento delle maree fece esplodere la piena, che travolse prima il bar e le sue paste (non si notò la differenza tra queste e il materiale portato dalla piena), poi il campo di gioco. Due settimane dopo fu recuperato dalla protezione civile il penultimo disperso, trovato con in faccia l’espressione “Ghiro? Preferisco vivere”.
L’unico a non essere ritrovato fu proprio Ghiro.

Quarant’anni dopo, un gruppo di gitanti vestiti come astronauti (era la moda) riuscì ad entrare nella palestra, che dopo quell’episodio era stata abbandonata a sè stessa. Trovarono Ghiro, ormai incanutito, che stava concludendo il suo millesimo maglione. I nuovi arrivati, che non avevano mai visto nulla di simile nel campo dell’abbigliamento, scambiarono Ghiro, ormai con la barba lunga e non proprio pulitissimo, per un alieno. I maglioni dell’alieno andarono a ruba, e finalmente lui fu ricco, perchè riuscì a venderli tutti, mettendo da parte un discreto gruzzolo. Purtroppo il giorno dopo aver venduto il maglione numero 999 (l’ultimo l’aveva tenuto per sè), morì di vecchiaia.

IGNATZ

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