KULT Underground

una della più "antiche" e-zine italiane – attiva dal 1994

Intervista a Maurizio de Giovanni

8 min read

autore de Il senso del dolore. L’inverno del commissario Ricciardi, edito da Fandango.
 
Il senso del dolore
L’inverno del commissario Ricciardi
di Maurizio de Giovanni
Fandango Libri
Narrativa romanzo giallo
Pagg. 247
ISBN: 9788860440730
Prezzo: € 10,00
 
 
D: Questo tuo romanzo, giallo come trama, ma non come sostanza, sta avendo un notevole successo. Vuoi parlarci della sua genesi?
 
R: Ti ringrazio anzitutto per l’attenzione che tu e i lettori mi dedicate, alla quale per fortuna non ho alcuna intenzione di abituarmi. Ricciardi nasce per disperazione. Mi spiego: ho cominciato a scrivere molto tardi, tre anni fa alla non tenera età di 47; ho sempre avuto un immenso rispetto per la scrittura, da lettore bulimico e onnivoro quale sono, e quindi pensavo di non essere all’altezza di creare mondi, sogni o emozioni per gli altri. Detto tra noi, la penso ancora così.
Avendo un pomeriggio libero, in quella fase calante di carriera e attenzione familiare che i miei coetanei conoscono così bene, pensai di frequentare un laboratorio di lettura di testi umoristici (quanto di più lontano da Ricciardi si possa immaginare). I miei mentori mi iscrissero al concorso “Tiro rapido” della Porsche, una sorta di tortura che implicava la chiusura degli aspiranti esordienti in un caffè storico (a Napoli il Gambrinus, splendido locale liberty del centro) per 911 minuti, che sono 15 ore e 11 minuti, non la stessa cosa, detta così. I partecipanti, bravi e consapevoli, scrivevano a tutta birra per qualificarsi alla finale di Firenze, al Giubbe Rosse. Disperato per la mancanza di idee e per l’incombente brutta figura che avrei fatto alla mia veneranda età, guardai fuori la vetrata che dà sulla piazza e vidi transitare una bambina, con una bambola in braccio. L’espressione seria della bimba, l’ambiente d’epoca in cui mi trovavo, la voglia di andarmene a casa: tutti ottimi ingredienti per il primo racconto di Ricciardi.
Vinsi la gara, e a Firenze la giuria (Lucarelli, Evangelisti, Carofiglio e il presidente Protti, direttore dell’Europeo) mi chiese un altro racconto con lo stesso protagonista. Vinsi anche là.
Il racconto vincitore fu pubblicato sul giornale e attirò l’attenzione prima di un’agente letteraria e poi, in seguito a altre strane vie che una di queste volte se soffri d’insonnia ti racconterò, della Fandango di Domenico Procacci e di Rosaria Carpinelli, un vero genio. Ce l’avevo, un romanzo con quel protagonista? Certo, che ce l’avevo. Tu che avresti risposto? Presi le ferie, ed ecco il romanzo.
Quindi, caro Renzo, mi capisci se ti dico che in realtà Ricciardi è nato dalla disperazione e per puro caso.
 
 
D: In qualsiasi lavoro il personaggio principale è quello preferito dall’autore, perché vi si rispecchia, oppure desidererebbe essere come lui. In questo commissario, volto a ricercare a tutti i costi una giustizia, prima quella di legge, e poi quella umana, c’è qualche cosa di te, oppure vi sono caratteristiche che desidereresti fossero tue? Se sì, quali sono?
 
R: Scrivere Ricciardi è un’emozione strana, almeno per me che come ti dicevo non ho altri romanzi nel cassetto. In effetti è come se lo caricassi a molla, come un giocattolo, e poi lo mettessi in un plastico che è il suo tempo, almeno come lo vedo io. Sono creativo solo nel caricarlo: ma tutti i movimenti che fa, le sensazioni che prova, le poche emozioni che manifesta, sono tutti suoi.
Non ha di me nulla, Ricciardi. Anzi, io non ho nulla di lui. Il suo modo di guardare è indiretto, filtrato: è uno spettatore perenne di un dolore infinito, fisico, urlato nelle orecchie senza pause. E’ il portatore di una sofferenza frammentata e infinita, unica e comune. Non vuole perseguire la giustizia degli uomini, che è lontana da quella vera, ma solo dare pace a chi è stato strappato dalla vita. Se dovessi fare mia qualcosa di lui, direi la capacità di amare in silenzio, senza piangere e senza ridere. E di amare così tanto da desiderare il bene di chi si ama, e se il bene di chi si ama è la propria assenza la si deve regalare come un fiore estremo.
 
 
D: Il romanzo è ambientato nel 1931, epoca in cui non eri ancora nato. Eppure sei riuscito a ricreare un’atmosfera crepuscolare e opprimente, propria di un regime che, raggiunta l’apice delle sue fortune, iniziava a sgretolarsi. Come hai potuto descrivere, pur non essendo stato presente in quegli anni?
 
R: Reperire la documentazione su quegli anni, in questa città, è cosa difficile e complessa. Difficile perché è come se i decenni successivi se ne siano vergognati tanto da volerli cancellare, anche se è proprio in quel ventennio che sono radicati i nostri tempi. Complessa perché le fotografie, i testi, le musiche sono contraddittori e vanno in differenti direzioni. Allora ho fatto un passo indietro, resistendo alla tentazione di approfondire e scavare, e cercando invece uno sguardo d’insieme. Mi sono ritrovato così immerso in un’epoca che ho sentito vicina, molto affine a quella difficile e mobile che le fantasie stanno vivendo a Napoli in questo inizio di millennio.
Sono contento che nell’ambientazione la maggior parte dei lettori ritrovi la cosa migliore del romanzo, perché è stata la maggiore sfida e sarei felice di averla vinta.
 
 
D: Con la risposta precedente hai in parte riscontrato anche la domanda che sto per farti e che mi frulla nella testa fin dalla lettura delle prime pagine. Mi sono detto: c’è una descrizione di una realtà dell’epoca, una sorta di immagine surreale che assomiglia per molti aspetti anche alla situazione attuale. Non mi riferivo a quella di Napoli, che non posso conoscere direttamente, ma a quella più generale del nostro paese e addirittura dell’intero mondo. E’ evidente che Napoli raccoglie di questi aspetti le caratteristiche più lancinanti, ma non è l’immondizia che fa paura, bensì quell’immobilità che consente appena di vivere alla giornata, dimentichi del passato e senza la possibilità di fare progetti per il futuro.
Ho colto nel segno?
 
R: Hai colto nel segno. Tra le caratteristiche permanenti della mia città c’è una sorta di miopia sociale, l’incapacità cioè di programmare qualsiasi iniziativa nel medio periodo. E’ una realtà autogenerante, un serpente che si morde la coda: meno si fa per la collettività, più è necessario al padre di famiglia arrangiare a titolo individuale una sopravvivenza purchessia. Sapessi, caro Renzo, e sapessero i tuoi lettori che spreco terribile di talenti e di intelligenze in questa quotidiana lotta con necessità e nemici che altrove sono dimenticati.
Ricciardi lotta con la fame e l’amore; la prima acceca e dispera, il secondo giustifica ansia di possesso e brama di potere. Entrambi assolvono il reo ai propri stessi occhi, non attenuano ma sostengono la propensione al delitto.
Ho scelto gli anni trenta anche per questo: l’assenza di luminol, dna, spettrografie e altri ingredienti dei vari CSI lasciano solo i sentimenti su cui indagare. Ricciardi cammina per scene del delitto inquinate, in mezzo a cadaveri spostati e maneggiati, tra oggetti lasciati da curiosi e in assenza di altri sottratti da sciacalli e ladruncoli, ed è costretto a risalire per le vie che ha, che sono quelle dell’emozione. Non ha microscopi, certo: ma sono convinto che ai suoi tempi O.J. Simpson non sarebbe stato assolto.
 
 
D: Il commissario Ricciardi è ormai un personaggio, quasi autonomo dalla narrazione, ma le sue caratteristiche lo connotano in modo indelebile, grazie a una personalità che è radicalmente diversa da quella di altri investigatori famosi e non tanto per le sue qualità professionali, ma per quello che è come uomo.
Questa caratterizzazione potrebbe far sì che altri tuoi romanzi, non imperniati sulla sua figura, forse presenterebbero dei personaggi analoghi, con il rischio di una sovrapposizione.
Secondo te esiste questa possibilità e, nel caso, come intenderesti ovviarvi?
 
R: Ti ho raccontato prima quanto casuale e tardivo sia stato il mio approccio alla scrittura e quindi al romanzo. Ricciardi non mi frulla in testa da quand’ero ragazzo, non è l’unico approdo della mia fantasia; ma è sicuramente un forte richiamo. Credo che la sua caratteristica principale sia la solitudine, e che è di questa caratteristica che mi sarebbe difficile fare a meno in altre scritture e in altre vicende.
Per quanto riguarda i fantasmi, penso che ognuno di noi veda i suoi e che li veda perennemente. E’ la caratteristica più evidente di Ricciardi ma certamente non l’unica; mi piace pensare che siano molti quelli che hanno visto in lui quello che hai visto tu, un uomo disperato che guarda il mondo e la vita da dietro una lastra di vetro.
 
 
D: Mi risulta che sono previsti altri tre romanzi con protagonista Ricciardi e che saranno editi da Fandango.
Già mi sembra che a fine giugno esca il prossimo, dove la stagione prevede la primavera. E’ quindi logico pensare che dopo ci saranno l’estate e poi l’autunno, un ciclo che si chiude insomma.
Puoi assicurarci fin da ora che nonostante l’autunno avremo ancora il piacere di leggere di questo straordinario personaggio, a cui penso sarai più che affezionato?  E, un’ultimissima domanda: ci sono altri progetti letterari in corso, oltre a quelli di cui ho sopra accennato?
 
R: Il prossimo romanzo, in uscita a giugno, si chiama “La condanna del sangue – la primavera del commissario Ricciardi”. E’ un romanzo di cui sono piuttosto contento, ci sono personaggi che credo potranno coinvolgere i lettori e spero non deluderà.
Sto scrivendo il romanzo dell’estate cui seguirà l’autunno. In essi, in parallelo alle indagini sui delitti, si sviluppano le storie dei personaggi principali con alcuni ritorni: molti mi chiedono dell’evoluzione dell’amore di Ricciardi, di Livia, di Maione e altro, ma devo confessarti che anche in questo non mi sento autonomo; scelgono le storie il loro sviluppo.
Nel mio caso funziona più o meno come un’espressione algebrica: puoi inventarti solo la traccia, numeri, parentesi, potenze e radici, poi però i passaggi successivi sono necessari e portano a un risultato che non puoi conoscere in partenza.
Per quanto riguarda il seguito, sta ai lettori decidere. Se, come spero, il successo de “Il senso del dolore” si dovesse replicare anche per gli altri romanzi la storia di Ricciardi potrà continuare; in fondo i quattro libri raccontano di un solo anno.
Altri progetti? Qualche idea ce l’avrei, e qualche editore pazzo sarebbe anche disponibile a sostenerne lo sviluppo. Tutto sommato, mio carissimo Renzo, c’è la possibilità che il sottoscritto possa continuare a tediarvi per un po’.
Nel frattempo abbraccio te e tutti i lettori, confermando la mia piena disponibilità a incontrarvi ancora quando e come vorrete.

 

Grazie, Maurizio, per le tue risposte e anche per la tua simpatia. Ti saluto con l’augurio che anche “la primavera de” del tuo commissario sia un successo.

Commenta