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La sottile linea rossa

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l’intima unità del creato
 
Questo grande male, da dove viene?
Come ha fatto a contaminare il mondo?
 Da quale seme, quale radice, si è sviluppato?
Chi è l’artefice di tutto questo?
Chi ci sta uccidendo?
Chi ci sta derubando della vita e della luce?
Prendendosi beffa di noi, mostrandoci quello che avremmo potuto conoscere
 
 
1.  perché quella rinuncia all’armonia?
Eravamo una famiglia. Ora siamo l’uno contro l’altro.
Come abbiamo fatto a perdere il bene che ci era stato donato?
A lasciarcelo sfuggire?
 
   Un giovane dalle fattezze occidentali appare, nella prima sequenza del film, armoniosamente inserito in una comunità di aborigeni di un’isola del Pacifico. La natura è splendente, la pace grande. Sagome umane fluiscono nel mare, riprese in controluce da una cinepresa subacquea.
 Quel giovane, il soldato Witt, morirà qualche giorno dopo in un’imboscata, sull’isola di Guadalcanal, dopo essersi offerto volontario in avanscoperta, durante la guerra nel Pacifico tra statunitensi e giapponesi [1]. Il soldato Witt, pure personaggio principale del film, non ne è tuttavia il solo protagonista: “la sottile linea rossa”, dopo l’idilliaca premessa incentrata su di lui, si trasforma rapidamente in un film corale. Protagonisti ne sono diversi soldati che muoiono o sopravvivono nella battaglia di Guadalcanal (quando anche Witt muore, la struttura del film ha già assunto sufficiente autonomia da poter sopportare la perdita del personaggio principale senza che la vicenda si debba interrompere).
 Ma come mai il soldato Witt, che si è rivelato dotato di eccezionale saggezza e quasi di una istintiva comprensione filosofica delle cose, si è lasciato privare, senza resistenza, del Paradiso in cui (da disertore) si era calato? Perché ha accettato di lasciarsi trascinare nell’atroce battaglia e perché, infine, ha accettato di sacrificarsi? Proprio lui che aveva dimostrato, più degli altri, la capacità di mantenersi spiritualmente integro. Perché rinunciare all’armonia, che aveva così profondamente compreso e conservato, anche nell’orrore della carneficina?
 Questa è l’apparente contraddizione del personaggio. Occorre capire come il comportamento di Witt non sia affatto contraddittorio, ma anzi profondamente coerente, per comprendere il senso del film, che è altro rispetto a una semplice denuncia dell’assurdità della guerra.
 
2. un film-ossimoro
 “La guerra non nobilita l’uomo
…lo fa diventare un cane rabbioso
 
L’amore…
chi ha acceso questa fiamma in noi?
Nessuna guerra può spegnerla, conquistarla”
 
  Il film si mantiene costantemente su due registri. L’episodio bellico è compenetrato da una visione panica del mondo. La morte di tanti soldati-bambini si alterna alla meravigliosa natura tropicale di Guadalcanal. La crudezza del sangue, e della narrazione della morte, è intessuta dalla frequente intrusione dell’intimismo di ripetute voci fuori campo. Si può dire in questo senso che il film, poggiando su una serie di stridenti (e inusuali) contraddizioni, sia interamente costruito come un ossimoro.
 Alla base, c’è il contrasto tra il paradiso tropicale e l’inferno della guerra: questa contraddizione, come tutte le altre, si trasforma in ossimoro per il fatto che i suoi due elementi condividono un’intimità profonda. Non c’è il paradiso, da un lato, e l’inferno, dall’altro. Non si assiste all’oscillazione tra due opposti inconciliabili, ma sempre più ci si rende conto di come venga mostrata un’unica realtà, che partecipa di un’originale armonia che è stata spezzata.
 Si ripetono frequenti le inquadrature di luce che passa fra gli alberi, le foglie, la lussureggiante flora tropicale. Spesso esse seguono la morte, a testimoniare la continuità della vita. Sono inquadrature dal basso verso l’alto: il che è già un’invocazione. A un certo punto esse sono ripetute, in montaggio incrociato, mentre un soldato-bambino muore.
 Un’altra volta, è una lunga inquadratura fissa, sull’erba scossa dal vento sul crinale della collina. Essa fa seguito alla morte repentina di due soldati (che in quell’erba erano stati mandati in avanscoperta, subito fucilati da un cecchino invisibile). Il vento carezza l’erba, poi l’ombra si converte in luce, il verde s’accende ed è come se le anime vi fossero trasmigrate nella luce. La vita continua.
L’armonia della natura, pur turbata, resiste nella battaglia. La contraddizione si rivela semplicemente un ossimoro (una contraddizione non contraddittoria).
 
3. Heidegger [2]: la sacralità della vita nell’imminenza della morte
La nostra rovina è di sollievo alla terra?
 Aiuta l’erba a crescere? Il sole a splendere?
 
    La natura mostrata nella “Sottile linea rossa” non è né buona né cattiva. Ciò che l’uomo percepisce come “male” (il coccodrillo che s’immerge nell’acqua nella prima inquadratura, e viene poi catturato dai soldati in una scena del film), è parte del creato e non disturba l’armonia della vita; anzi forse contribuisce a renderla possibile. La natura è un tutto in cui la vita persiste; la morte, un evento che non turba la continuazione della vita. Non per questo è un fenomeno trascurabile: ogni particella del creato è un elemento ad esso fondamentale, e il suo venir meno (morte) produce un cambiamento importante. Ogni singola vita sacrificata all’assurdo mantiene una relazione profonda con la bellezza da cui sembra in esilio; a ogni singola morte è conferita dignità [3].
L’uomo è/è inserito nella natura, e ne eredita i meccanismi di distruzione (il coccodrillo) non solo applicandoli a sé, ma violentando in maniera artificiale l’armonia. Ma quel male che sembra già esistere, che l’uomo si limiterebbe a riprodurre, nella natura è parte dell’armonia, mentre nell’opera dell’uomo è violenza, a sé e al Tutto: diventa davvero “Male”.
 Se l’uomo percepisce la condanna a restare esiliato dall’intima unità del creato, deve imputare solo a sé la colpa di ciò. Il vero “assurdo” sta nella mancata consapevolezza di ciò: eppure niente, se non l’uomo stesso, si condanna a quest’esilio. Lo si percepisce in tutta evidenza in una delle scene illuminanti del film, quando, prima ancora della tremenda battaglia, la fila dei soldati americani incrocia sul suo stesso sentiero un anziano aborigeno, che procede in senso inverso e non si mostra per nulla turbato.
A quella sorta di “trascendenza” rappresentata dalla luce tra gli alberi, fanno eco le sequenze in cui si mostra l’armonia dell’uomo nell’amore. Seppure sotto forma di sogno, essa è evidente, in modo dolcissimo e struggente: sono le tenerezze d’amore tra uno dei soldati e la propria moglie (un idillio che viene violentato dalla realtà, quando alla fine quel soldato verrà a sapere dalla moglie che lei intende por fine al loro matrimonio, perché “c’era troppa solitudine”).
 Queste scene sono accompagnate da un dettaglio di straordinaria evanescenza: una tenda trasparente si gonfia leggera, davanti a una finestra da cui penetra la calda luce d’un tramonto d’autunno. Cosa significa la presenza di queste scene? Non è solo un sollievo che il soldato, attraverso la memoria, concede a sé stesso per sopravvivere con lo spirito: il loro valore nel film è superiore: esse corrispondono, con l’armonia dell’amore, all’armonia della natura: soltanto vagheggiata e sognata, essa è sufficiente a fornire una scintilla di luce, nella crudeltà di un buio totale.
 C’è chi quella scintilla non la vede, o si rifiuta di vederla. E’ il soldato interpretato da Sean Penn, che spesso si confronta con il soldato Witt, e gli dischiude il suo animo, orfano della speranza, con tristezza e insieme invidia per la scintilla che brucia silenziosa nell’animo di Witt. Penn gli dice: “c’è solo questo grande sasso” (la Terra); “salva te stesso, non pensare alle altre vite”. La risposta di Witt è in uno sguardo: è muta, perché l’altro è impermeabile. Quello sguardo testimonia che ogni situazione immanente è fondamentale al creato: se ne facciamo parte, non bisogna che dare valore alla vita, amare gli esseri in essa coinvolti.
 Più tardi, il soldato interpretato da Penn si mostra sempre più assediato dall’angoscia; Witt gli dirà: “vedo ancora una scintilla in lei”. La fallita impassibilità è segno che anche in lui cova una fede.
 
4. la trascendenza, nella peggiore delle immanenze possibili
 
Cosa rivela allora l’esperienza del soldato-filosofo, Witt – che, con uno sguardo intensissimo (che davvero vorrebbe trasmettere la fede in una comunione profonda delle anime), assiste i suoi compagni sul punto di abbandonare l’esistenza?
 Cosa significa la sua scelta di abbandonare senza rimpianto l’armonia di cui così intensamente sembra partecipare?
Lo “sguardo etico” di Witt sta nella consapevolezza che, nella peggiore delle immanenze possibili, la sacralità della vita umana (che la natura stessa promette…) vince, se si ha fede in essa: essa trionfa di una irresistibile trascendenza rispetto all’immanenza della vita-calata-nel-tempo-e-nello-spazio: rispetto al caso, che distribuisce – senza regola alcuna – gioie e dolori, permette ad alcuni di sopravvivere, e altri lascia morire.
 Di fronte alla percezione di quest’invincibile armonia, si esaurisce in Witt la sete di continuare ad averne solo una imperfetta suggestione (continuando ad essere del mondo), e monta in lui la fiducia di poterne partecipare davvero solo facendovi ritorno. Le scene più belle di luce che trapassa le foglie, sono senza dubbio quelle che accompagnano la morte di Witt. A esse, poi, fa seguito la ripresa di alcune scene già viste nella prima parte del film, nelle quali Witt è idealmente tornato al suo Paradiso, alla sua felice armonia con gli aborigeni. E’ la fine di un esilio…


[1] La presa di Guadalcanal da parte dell’esercito statunitense (1943) segnò una svolta della guerra nel Pacifico. Da lì iniziò infatti la lenta ma inesorabile ritirata dell’esercito giapponese, che si doveva concludere con l’atroce episodio delle due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki.
[2] Malik, regista del film, è stato il primo traduttore americano di Heidegger.
[3] Di coloro che autoproducono questa devastante distruzione (l’uomo mantiene il suo libero arbitrio), nessuno rimane indifferente. Di fronte alla morte, tutti, a modo loro, reagiscono. E le reazioni individuali sono scoperte dalle voci interiori-fuori campo (sorprende quella del cinico comandante interpretato da Nick Nolte, che rivela di “indossare una maschera che non avrebbe mai immaginato”).

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