KULT Underground

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Radiohead – Kid A

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GLI ULTIMI IMMORTALI

 

Kid A. La nascita del primo bambino clonato nell’interpretazione di Thom Yorke.

Un disco quasi totalmente elettronico: un sentiero nuovo nella sperimentazione artistica della band di Oxford. Un tentativo di sublimare l’umanità: di intravederne il futuro, di interpretarne la natura, di accettarne l’evoluzione futura.

What, what is that you tried to say? What, what was that you tried to say?

I primi vagiti del bambino androide. Cosa sta tentando di comunicare? Cos’è quel che può vedere dal suo mondo in due colori? Possiamo osservarlo mentre muove i primi passi; lasciare che siano accompagnati dall’eco dei nostri antichi strumenti. Kid A compone musica elettronica e nel suo spirito danzano le immagini di altre divinità.

La sua voce è distorta e frammentata; ma la poesia del suo genio rapisce e seduce.

Standing in the shadows at the end of my bed“. Tra le ombre, sul bordo del mio letto, Kid A ha intrapreso la sua avventura; adesso posso vederlo mentre richiama a sé i bambini, si stanno allontanando dalla città, è lui il nuovo Dioniso.

The rats and children follow me out of town / The rats and children follow me out of their homes / Come on Kids“. Avanti, Kids A della nuova generazione. La salvezza, la libertà e la terra promessa si trovano al di fuori della città. Ascoltate il Dioniso di carne, sangue e circuiti. La sua poesia è il verbo nuovo.

 

Everyone, everyone is so near, everyone has got the fear…what’s going on? / What’s going on?Immagino una processione. Ciascuno di noi, vicino al Kid A, avanza oltre i confini della città. Siamo spaventati: che cosa sta accadendo? Qual è l’origine di questa musica nuova, che pure ha radice umana ma è arricchita da qualcosa di sconosciuto e di misterioso? Ciò che non conosci ti spaventa. Eppure, compagno, sei al mio fianco mentre ascoltiamo la voce e la musica di Kid A. Stiamo avanzando. Oltre gli antichi confini, per liberare la nostra specie, ed annunciare l’avvento di una nuova umanità. Strobe lights and blown speakers / Fireworks and hurricanes / I’m not here / This isn’t happening / I’m not here“.

Uragani, e fuochi d’artificio; altoparlanti che sibilano. Ti volti verso di me e mi dici che quel che sta accadendo non è reale: quel che sta accadendo non è possibile. Che non credi di essere qui: è un sogno, e non sta avvenendo nulla. Kid A sta cantando, e la sua voce è la voce di un uomo. Eppure quel che lo circonda è miraggio d’umanità; è l’incarnazione di una fantasia, la realizzazione della più sfrenata immaginazione. Il futuro è adesso.

Stiamo ascoltando i primi vagiti del futuro, compagno.

I got a message I can’t read. Another message I can’t read. I’m on your side. Nowhere to hide. Trapdoors that open I spiral down. You’re living in a fantasy. You’re living in a fantasy“. Stiamo vivendo nel sogno. Non possiamo leggere il messaggio: viviamo a stretto contatto con la fantasia, non esiste possibilità di nascondersi né di rifiutare quel che sta avvenendo. Le parole di Kid A adesso sono un messaggio illeggibile.

 

I’ve lost my way. I’ve lost my way“. Kid A si interroga sulla sua natura. Che cosa sono? Perché conosco le parole e la musica degli uomini, ma la mia arte è altra parola e altra musica? Prigioniero della fantasia, Kid A capisce d’essersi perso. La terra che sta esplorando è sconosciuta. Kid A è solo: primo d’una specie nuova, non ha simili, e non trova senso nella sua esistenza. I’ve lost my way“.

I’ll laugh until my head comes off I’ll swallow till I burst Until I burst“. Sorriderà fin quando non starà crepitando. E allora, sarà vivo. Il primo tra i bambini della nuova generazione. Kid A. “Here I’m alive / Everything all of the time. / The first of the children“. Nessuna traccia degli antichi strumenti. È il tempo della musica del computer. Sconfortante trionfo di nuove intelligenze. Artificiale è l’umanità, e non l’arte della macchina pensante.

I wanted to tell you but you never listened / You never understand. / Because I’m walking“. Sta a te adesso decidere se continuare ad ascoltare la voce di Kid A. Kid A non è più un vagito, né una voce confusa. È un uomo, e sta camminando al tuo fianco. Hai intenzione di ascoltare il messaggio?

 

Help me get back where I belong“. Aiutami a tornare al luogo cui appartengo.
I think you’re crazy, maybe. I will see you in the next life“. Credo che tu sia pazzo, probabilmente. Ti vedrò nella prossima vita.

 

Concludo questa pagina con un ricordo che, col passare del tempo, si è fatto onirico. Qualche anno fa, nei pressi della tomba di John Keats, nel cimitero acattolico di Roma, ho incontrato un ragazzo di Oxford. Si è parlato del poeta della Belle Dame sans Merci, di Gramsci, di Pasolini, di Oxford e dell’orgoglio dei giovani di Oxford, i Radiohead: ho ascoltato la storia della loro vecchia formazione, i Tnt, che ancora non conoscevo; incredulo, a casa ho poi verificato l’esattezza del racconto. Non credevo davvero di parlare con un vecchio elemento dei Tnt, fratello di uno dei musicisti dell’attuale gruppo. Non mi rimane, adesso, che aspettare che sia confermata la richiesta di vedere dedicato un brano a John Keats. Poi potrò credere a quel che mi fu detto allora, e potrò raccontarvi parecchie storie che non avete mai sentito. Sognare non costa niente; la musica è ancora, sempre, dominio del sogno.

 

That there

That’s not me

I go

Where I please

I walk through walls

I float down the Liffey

I’m not here

This isn’t happening

I’m not here

I’m not here


(da “How to disappear completely”)

 

Dalle parti di Oxford, fine anni Ottanta, primi Novanta. Nella Abingdon School nascono i “Radiohead”.

 

Thomas Edward Yorke (7 Ottobre 1968, Wellingborough, Northamptonshire): chitarra, tastiere, lead vocalist.

Jonathan Richard Guy Greenwood (5 Novembre 1971, Oxford, Oxfordshire): chitarra, tastiere, vocals.

Edward John O’Brien, (15 Aprile 1968, Oxford, Oxfordshire): chitarra, percussioni, vocals.

Colin Charles Greenwood (26 Giugno 1969, Oxford, Oxfordshire): basso.

Philip James Selway (23 Maggio 1967, Hemmingford Grey, Huntingdon, Cambridgeshire): batteria.

 


 

GENESI

 

La prima formazione capitanata da Thom Yorke, durante gli anni del liceo, fu una punk rock band chiamata Tnt. La successiva metamorfosi è stata il progetto On A Friday (in onore al giorno stabilito per le prove): Colin Greenwood bassista, Yorke cantante e chitarrista, e O’Brien, sosia di Morrissey, factotum. Una volta ingaggiato Phil Selway come batterista il gruppo si avvicinò alla formazione definitiva. La band rallentò l’attività per via degli impegni universitari dei ragazzi; l’area dei loro studi era quella umanistica. In questo periodo, nell’Università di Exeter, Yorke collaborò con i Flickernoise, una techno band locale.

Nel frattempo, lo straordinario talento di Yorke e l’eclettismo dei primi demo del gruppo procurò ai nostri un contratto per la Emi, la stessa casa discografica dei Beatles. Tra i pezzi classici degli “On a Friday”, possiamo annoverare “Prove Yourself”, o ancora “Thinking about you”, poi integrati nel primo LP dei Radiohead, “Pablo Honey”, del 1993. Gruppi che allora maggiormente influenzarono la loro musica, e questa non sarà forse una sorpresa per i cultori del genere, i Joy Division del divino Curtis e gli Smiths.

Il nome definitivo del gruppo è un omaggio ai Talking Heads: nel loro disco “True stories” c’è un brano titolato proprio “Radiohead”. Qualche verso, giusto per evocare l’atmosfera del brano, e intuire quel che vi poteva cercare la giovane band di Oxford: “Baby your mind is a radio / Got a receiver inside my head / Baby I´m tuned to your wavelength / Let me tell you what it says: Transmitter! / Oh! Picking up something good / Hey, radio head! / The sound…of a brand new world”. Musicalmente è un pezzo allegrotto – direi quasi che ha un’aria giocosa, gioiosa e grottesca. Ascoltatelo e rimarrete certamente sorpresi, considerando quel che hanno creato i Radiohead proprio a partire da “Pablo Honey”: sonorità rabbiose, malinconiche, depresse, disperate, e, infine, sperimentali, ma senza mai perdere l’atmosfera introspettiva e decadente delle prime registrazioni.

Coincidentia oppositorum?

 


 


DISCOGRAFIA COMPLETA, BRANI NOTEVOLI e BREVI NOTE

 

“Drill” (EP), 1992. Contiene “You”, “Thinking about you” e “Prove Yourself”, raccolte poi con qualche variazione nel primo vero album, “Pablo Honey”, e “Stupid Car”, altrimenti inedita.

“Pablo Honey” (LP), 1993. Disco registrato in tre settimane. Contiene “Creep”, la ballata-simbolo del gruppo, macchiata, appena uscita, dall’accusa di indurre al suicidio: qualcosa di simile era avvenuto per la splendida “Something in the way” dei Nirvana, ospitata in “Nevermind”, giusto qualche tempo prima. Album eclettico e poliedrico. Per la prima volta, i Radiohead vengono accostati ai Pink Floyd.

Pezzi storici: “Stop whispering”, “Lurgee” e ovviamente “Creep”.

“My Iron Lung” (EP), 1994. Disco stranamente sottovalutato dal pubblico: eppure, al di là della splendida versione acustica di “Creep”, che già da sola varrebbe l’acquisto dell’album, il cd ospita un pezzo rabbioso e intenso come “The trickster”, una ballata atipica come “Lozenge of love”, in pieno stile Nick Drake, per intenderci, e soprattutto una delle loro prove più riuscite e meno note: è una lullaby in piena regola, e ha il gusto amaro dell’introspezione tipica dei Radiohead: “You never wash up after yourself”.

“The Bends” (LP), 1995. Disco completato in due settimane, nato “nel vuoto della tournee e dei viaggi da un posto all’altro”. In questa stagione, i Radiohead saranno gruppo-spalla dei R.E.M., collaboreranno con i Tears for Fears e Alanis Morissette. Con questo album, si affermano definitivamente negli USA.

Uno dei dischi migliori degli anni Novanta, in assoluto: l’apoteosi rock del gruppo di Oxford. Semplicemente perfetta “High and dry”, una ballata fascinosa e seduttrice; malinconica e ombrosa “Fake plastic trees”, d’una tristezza devastante la canzone più ispirata, “Bullet proof…I wish I was”. Ancora da segnalare il furore di “Just”, pezzo nichilista e disincantato. Disco eterno, non ho nessun dubbio. Da possedere in duplice copia: casomai dovesse graffiarsi la vecchia edizione, non potete essere privi di una scorta. Il brano che chiude il disco, “Street spirit (fade out)” è uno dei brani più cinematografici mai apparsi nella loro produzione. Ha il ritmo di una fuga, e incarna il dolore più vivo e la rabbia più distruttiva. Causa dipendenza: “The Bends” è droga.

“Ok Computer” (LP), 1997. Titolo provvisorio, poi scartato: “Ones and Zeroes”.

Disco che segna l’affermazione planetaria dei Radiohead. Apertura energica e caotica, con “Airbag”; sinfonia rock, subito dopo, con l’ormai leggendaria “Paranoid Android”; malinconia e riflessione con la ballata “Exit music (for a film)”, ideata originariamente per la colonna sonora del postmoderno “Romeo+Juliet” di Baz Luhrmann(nella Ost del film, invece, si trova la suggestiva “Talk show host”).

E ancora la poesia di “Karma Police” e di “No surprises”, brani accattivanti, intelligenti e facilmente memorabili. Stupirò forse qualche cultore dei Radiohead, ma trovo che il pezzo migliore del disco – il pezzo più espressivo e rappresentativo dello spirito dell’album – sia il sottovalutato “Climbing up the walls”. È musica da creazione artistica. Un frammento di un sogno d’una fuga trasfigurato in rock.

Secondo Colin Greenwood, il sound di questo disco è “una versione Rolling Stones dei Radiohead”.

“Kid A” (LP), 2000 – si veda la lettura atipica. I brani migliori sono probabilmente “Everything in its right place”, già ospitato nella colonna sonora di “Vanilla Sky” di Cameron Crowe, “How to disappear completely”, composizione d’amaro esistenzialismo, e l’epilogo, “Motion picture soundtrack”. Concept album, storia del primo bambino clonato. Attendo con entusiasmo una lettura comparata di “Tommy” degli Who, “Jeremy” dei Pearl Jam e di questo favoloso “Kid A” per un bilancio definitivo di trenta anni di storia del rock attraverso la figura di un adolescente.

“Amnesiac” (LP), 2001, composto di materiale registrato durante le sessioni di Kid A.

“I Might Be Wrong” (EP) (Live recordings), 2002. Semplicemente senza parole. L’ouverture è l’imponente e graffiante chitarra di “The national anthem”; l’esecuzione dei pezzi, dal vivo, è impeccabile. Superba la voce di Yorke, eccellente l’impatto dei brani, ottima la resa degli strumenti. Disco dedicato più ai vecchi fan che ai nuovi: da ascoltare dopo essersi immersi nell’intera produzione del gruppo, ed averne interiorizzato l’assoluta grandezza. Chicca da collezionisti: è presente la ballata “True love waits”, altrove e altrimenti inedita.

Concludo: semplicemente immortale l’esecuzione di “Like spinning plates”.

 

Produzione: Nigel Godrich, eccetto “The Bends”, prodotto da John Leckie.

 

Una piccola anticipazione legata al prossimo disco: Yorke promette che sia in stile Sigur Ros. Il popolo dei Radiohead è avvisato – c’è aria di capolavoro.

 


 

COLLABORAZIONI NOTEVOLI – una scelta.

 

Come Again, Radiohead e Sparklehorse interpretano “Wish you were here” dei Pink Floyd.

“Psyence Fiction”, del progetto Unkle, capitanato dal DJ Shadow. Thom Yorke scrive e canta la splendida “Rabbit in your headlights”. Superfluo forse segnalare, nello stesso disco, “Lonely Soul” di Richard Ashcroft, ex leader dei Verve, già presente nella colonna sonora di “The Beach”.

“Selma Songs – Dancing on the dark soundtrack”. Thom Yorke duetta con Bjork in “I’ve seen it all again”.

“Stories from the city, stories from the Sea”, di Polly Jean Harvey. Thom Yorke duetta con la Harvey in “This mess we’re in”.

 


Approfondimento in rete: sito ufficiale della band / Green Plastic Radiohead / Radiohead At Ease / Onda Rock.

Radiohead in Lankelot: recensioni di Pablo Honey (Andrea Vergani) / Ok Computer (Fabio Mele) / Hail to the Thief (Simone Madrau).

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