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Cherry docs

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di: David Gow
regia di: Antonio Serrano
 
Cosa pensereste di un avvocato ebreo che difende in tribunale uno skin head che ha ammazzato di botte un sudamericano? Beh, la vita è curiosa e tutto può succedere. Ma provate per un attimo a mettervi nei panni di quell’ebreo che deve sorbirsi i discorsi di un giovane skin convinto che non c’è più lavoro per i bianchi e che un utile pulizia razziale è la base per creare il paradiso terrestre ecc, ecc… Beh, non sarebbe poi così facile per un ebreo sopportare tutto questo, ed è proprio da questo attrito che si sviluppa Cherry Docs, testo del drammaturgo americano David Gow, rappresentato in Italia da Antonio Serrano, regista che molto spesso promuove spettacoli di drammaturgia contemporanea straniera ampliando i nostri confini teatrali.
Il dramma infatti porta con sé il sapore delle City americane, e soprattutto il sapore di quella scrittura americana e di quell’intimismo di una coscienza esibita tipica di scrittori americani come Brodkey o De Lillo. Ed è così che la scena si sviluppa tra monologhi e dialoghi dove l’azione non è solo fisica ma soprattutto mentale e spirituale. Le parole descrivono sapientemente, ci conducono negli ambienti di una casa o della psiche del personaggio: possiamo vedere l’avvocato ebreo rilassarsi e farsi il bagno mentre ci descrive l’acqua calda che gli accarezza il viso e l’attore con disinvoltura si spoglia della camicia fino a quando. L’immagine di Mike, il ragazzo skin, interrompe la sua quiete. Eppure nulla è esibito: la scenografia rimane fissa: sul fondo le sbarre della prigione e davanti due cubi, uno a destra e uno a sinistra. Tutto, anche i costumi di un grigio sporco come macchiato dal tempo. E in questo tempo macchiato noi spettatori seguiamo i due protagonisti l’uno nel suo lavoro di avvocato e l’altro nella sua cella di isolamento e tutto ha la parvenza di una realtà soffusa e trascendente.
“Sei un ragazzo intelligente Mike. Cosa hai da dire su tutto questo.”
“Non voglio essere accusato come skin head, ma come persona.”
“Che tipo di difesa dovrei improntare per un tipo come te.”
“Mi aveva spinto.”
“C’è sempre stato qualcuno che ti ha spinto! Eh! Mike.” 
“Mi aiuterai perchè tu sei un liberale. Un liberale… in un altro mondo ti vedrei eliminato ma in questo mondo sei indispensabile.”
Ecco allora che il tipico dramma giudiziario anni ’30 diventa dramma carcerario, perchè è dall’interno del carcere che possiamo vedere dalla prospettiva del voyer il mutamento di coscienza del giovane protagonista e spiare come questo ragazzo riuscirà ad attraversare un “passaggio ampio quanto la cruna di un ago”. Sì, proprio così è questo il compito biblico che riscatterà le sorti passate e future di entrambi i personaggi in una redenzione vissuta nel profondo, una redenzione dai toni aspri. Entrambi i protagonisti (l’avvocato: interpretato da Antonio Bonanotte e Mike: interpretato da Alessandro Gruttadauria) vivono momenti di fortissima tensione dialettica sostenuta dai loro toni che si incattiviscono e si addolciscono a seconda dei momenti. C’è conflitto e il conflitto è sempre reso in modo efficace e come afferma lo stesso Serrano: “due voci dissonanti all’inizio, pian piano si accordano: i monologhi iniziali cedono il passo a battute sempre più brevi” sino a velocizzare il ritmo che ci conduce alla fine dello spettacolo dove ci aspetta il ribaltamento inaspettato della vicenda: Mike chiede di scontare una pena di sette anni. Gli Cherry docs, stivali da battaglia, punta di ferro e pianta larga: una filosofia, ora non serviranno più al giovane protagonista.
 
(immagine tratta da www.casadelleculture.net)

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