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Appunti per un teatro politico

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Scritto e diretto da: Fabio M. Franceschelli
 
Fine imprevista della formula. Sì, proprio così. Ecco un teatro politico che non si schiera ma che mostra, che non deve convincerci, strillandoci nelle orecchie, di cose che in realtà sappiamo già, ma che ci regala una semplice sensazione: quella di essere un popolo in balia di. Del resto Bracher ormai l’ha detto…: Il Novecento, Secolo delle ideologie ci ha di continuo chiesto di schierarci l’uno contro l’altro per poter legittimare un pensiero più comunista che federal-democratico, ha chiesto la nostra partecipazione: avevano bisogno dell’opinione pubblica: “l’opinione pubblica?” – direbbe Fortini – “l’opinione pubblica deve maturare, dobbiamo educare il popolo all’opinione pubblica”, ma per ora se mi guardo intorno c’è solo molta confusione, dicono che il popolo ha bisogno di qualcosa di nuovo… “Ordinaria amministrazione Sir Jackosonn!” – direbbe Sir Jackson!
Eh sì, e allora ecco che la realtà si esplica nella farsa perchè la farsa costruisce personaggi “così brutti, scorretti, schizzati sulla carta attraverso stilizzazione e iperbole, sottrazione e deformazione”, da essere così fottutamente realistici. E ancora come affermava Gramsci: “nonostante il grottesco imperante tutto appare nella forma di un tranquillo e quotidiano realismo” – ed è qui: ne La Città Futura che ci scontriamo con le linee guida della riflessione artistica di Fabio M. Franceschelli, drammaturgo e regista di: Appunti per un teatro politico.
Lo spettacolo scorre tra una risata e l’altra – i personaggi sono esilaranti e troppo grotteschi per non farci scappare almeno una volta una grassa risata – eppure durante tutto questo è come se all’improvviso la sensazione del già visto ci sorprendesse e allora pensiamo a dove e come abbiamo potuto vedere una scena del genere, ci si pensa un po’ e poi viene in mente: il telegiornale! Eh sì, quella scena comica l’hai già vista o sentita raccontare al telegiornale… Ed è così quando Sir Jacksonn incontra l’ambasciatore arabo… o quando prende accordi con il rappresentante del sindacato e ancora con l’arcivescovo (personaggi interpretati dal simpatico Domenico Smerilli).
Ma lo spettacolo non è solo questo, non è solo farsa. La forza espressiva di Appunti per un teatro politico, infatti, sta nel suo essere anche dramma, teatro di denuncia e orazione civile, creando così un “trittico” pieno di colpi di scena, di ribaltamenti e di cambi di registro attoriali.
La prima parte – come affermano gli stessi attori – con le lunghe pause e le ripetizioni crea un “effetto di perplessa comicità” mentre i due protagonisti sulla scena si destreggiano in un discorso squisitamente metateatrale ad indicare come ancora sia la finzione a creare la realtà. I due sono come il Bianco e l’Augusto, le due figure tradizionali della clownerie: due figure contrastanti, dal cui contrasto si genera per l’appunto l’effetto comico. L’uno (il bianco) autoritario e severo; l’altro (l’augusto) incapace, pasticcione e stralunato (tradizionalmente veste abiti fuori misura e scarpe giganti, in questo caso invece lo troviamo costretto in un vestito a tubo sino al ginocchio che sottolinea la figura lungiforme dell’attore in contrasto con l’altro personaggio: quasi sempre seduto). Sono entrambi due maschere ben costruite: il lavoro attorale si concentra per Sir Jacksonn (Claudio Di Loreto) su un’impostazione vocale tipicamente televisiva (senza appesantire troppo il tono, un po’ sulla stregua delle lezioni di dizione che vengono impartite ai nostri politici), mentre per Sir Jackson (Silvio Ambrogioni) si concentra sulla mimica facciale e su una gestualità marionettistica sempre molto precisa e mai trascurata. Sono una vera coppia. Funzionano benissimo.
La seconda parte dello spettacolo invece vede protagonista un uomo solo in scena (Gabriele Linari): potrebbe essere uno di noi, uno qualunque di noi che prende uno stipendio decoroso di 1400 Euro al mese. Il dialogo col pubblico è alla base della sua recitazione naturalistica e della sua oratoria: ci guarda negli occhi, è lì per parlarci di lui e di noi, e lo fa proprio vicino al pubblico, oltrepassando lo spazio scenico. Ci parla delle nostre ipocrisie e dei nostri sogni: I HAVE A DREAM ci dice: “Io sogno un uomo che abbia il coraggio di andare in televisione e fare un discorso alla Nazione, un discorso appassionato…” – e ce lo dice con tutta la fede che un uomo può avere in uno stato democratico. Ed è allora che lui esce e chi appare? Lui: il compagno Jackso! E’ sempre lui! Solo che adesso ha perso le due nn finali e in testa oltre alle lucine di Natale ha un cappello con falce e martello. Ecco dunque ristabilito l’assetto comico. Ecco dunque svelata la nostra aspettativa delusa. 
L’io del drammaturgo è presente ovunque, è il demiurgo e il deus ex machina che fa muovere i personaggi con le sue battute, dà loro voce. Ed è colui che crea tutti i momenti dello spettacolo: dalla farsa al dramma. Sì, c’è spazio anche per il dramma di un uomo disperatamente solo: lui, sempre lui, Jackso(nn) che se inizialmente pretende il culo di una donna, poi all’apice della sua solitudine arriverà a confessarci di essersi innamorato della giornalista che deve ancora vedere ma che sta arrivando: la ama di un sentimento nobile e sincero ed è in questo momento che la pesante maschera grottesca si sfalda, l’attore fa uscire l’uomo che c’è in lui, la parte più intima e sincera del sé. Ed è qui che il drammaturgo-regista spegne pian piano le luci e la disperazione di Jackso(nn) urla il suo disappunto: “No, no proprio adesso: voglio vederla.” Ma c’è un’altro momento in cui quest’uomo si mostra in tutta la sua fagocitante infantilità, momento in cui la sua maschera di Bianco cade per mostrarci qualcosa di diverso dalla personalità costruita con fatica all’interno di un proprio ruolo sociale, rivelandoci l’archetipo privo di ideologia che sta all’interno di ognuno di noi: quella massa di istinti e carne che ci rappresenta. Il punto di partenza. Accompagnato da una composizione classica l’attore con grazia si alza e si infila le dita nel naso. Un Charlie Chaplin consapevole dell’ondata trache che comunque non macchia la scena in modo disgustoso ma di una grazia comica e infantile. Rimane appiccicato all’immaginazione…

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