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Halloween The Beginning

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Locandina Halloween: the beginning 
 
L’uomo nero esiste e Michael Myers ne è l’incarnazione. Nell’ultimo lavoro di Rob Zombie sembra essere il male il protagonista assoluto, un’oscurità nella quale il giovane Michael sprofonda e che finisce per rinchiudere nel proprio corpo, protetta da un mutismo inespugnabile ed espressa attraverso le sue uccisioni.
L’origine del male, per Rob Zombie, è nella famiglia, anche questa volta un nucleo brutale e grottesco. Un padre alcolizzato e violento, una madre bellissima (Sheri Moon Zombie, moglie di Rob) che fa la spogliarellista, una sorella disinibita e un po’ zoccola e lui, Michael Myers, con la sua maschera da clown, che si diverte a sezionare i topolini di casa. In una culla l’altra sorellina di Michael, ancora inconsapevole della spazzatura bianca di cui fa parte.
Il regista divide la storia in due parti distinte. La prima narra dell’iniziazione di Michael all’omicidio, quaranta minuti di grande cinema, ambientati in un’atmosfera anni settanta, nella quale Rob dimostra (se ce ne fosse ancora bisogno) tutte le sue qualità di regista, mentre nella seconda, ambientata nei nostri giorni, si assiste alla fuga di Michael dall’ospedale psichiatrico in cui era stato rinchiuso e a tutta la serie di nuovi omicidi di cui si farà carico. Famiglie borghesi distrutte, adolescenti sgozzati. Il cuore dell’America bianca e cristiana colpito a morte
In questa seconda parte  il regista sembra essere più attento alle regole del genere horror, attraverso una messinscena più equilibrata, quasi a voler dimostrare la sua capacità di sapere gestire non solo forme espressive personali ma anche quelle codificate dei generi stessi, senza rinunciare però alla sua truculenta ironia (memorabili le battute del camionista nero sulla tazza del cesso).
Halloween the beginning non è un semplice remake, operazione dalla quale Rob, nella prima parte del film, prende le distanze, scrivendo di proprio pugno la sceneggiatura e inventandosi l’infanzia di Michael e quegli avvenimenti che lo hanno portato fino all’ospedale psichiatrico, ma un nuovo viaggio nell’inferno della psiche umana, con un valore simbolico aggiunto (le maschere che Michael usa), che si riaggancia al film di Carpenter del 1978 soprattutto nella seconda parte, riprendendone i personaggi e la trama (oltre al notissimo motivo musicale). E intelligentemente Zombie si allontana anche dalla serialità di Halloween, creando una storia indipendente e autonoma sia dall’originale che da tutti i capitoli successivi.
Michael Myers è una macchina di morte, completamente sganciato da qualsiasi coscienza morale, il suo unico istinto è quello di uccidere. Zombie mostra così, ancora una volta, il male in azione. Il male, dunque, come componente dell’essere umano che trova nell’omicidio la sua naturale forma di espressione, un discorso questo già iniziato nei suoi due film precedenti.
E l’orrore maggiore, come dicevamo, ancora una volta nasce all’interno della famiglia, con le sue dinamiche perverse e i suoi meccanismi malati. E i legami di sangue torneranno alla luce, nel finale del film, più potenti che mai. Un urlo agghiacciante, in cui non c’è traccia d’amore, ma solo di tutto il dolore che Michael ha chiuso per anni nel suo corpo e nella sua  mente e che prima di andarsene passa alla sorella, mentre una fotografia sbiadita testimonia che l’infanzia, non per tutti, è stata solo un periodo di piacevole spensieratezza.
 

 

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