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Festival Internazionale di Roma

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C’è un’aria strana all’Auditorium. Un’aria che avvolge le cose, le persone, gli stand. Un’aria che faccio fatica a respirare.
Eppure l’apparenza è così studiata, tutto sembra uscire fuori da un progetto calcolato fin nei minimi particolari.
Dopo qualche giorno capisco cosa non funziona, cosa è fuori posto, cosa è quella strana sensazione di disagio che mi assale tra le persone.
Sono io.
Sono io a essere fuori posto.
Sono le mie idee, il mio modo di intendere il cinema e la società, il mio modo di vedere.
Perché tutto quello che ho intorno, all’apparenza lucente e pulito, è solamente una macchina da soldi. Un progetto che si interessa di cinema fino a un certo punto e che ha un obiettivo molto più importante.
Il guadagno, il profitto.
Ecco cosa è la festa del cinema di Veltroni nella sua essenza, un modo per guadagnare.
Non è un caso che quest’anno la presenza degli sponsor sia invasiva in maniera spaventosa. Ci sono stand pubblicitari ovunque, ci sono marche ovunque, si respira l’aria della fiera più che quella di un festival.
Veltroni ha creato questa manifestazione non pensando tanto alla cultura o al cinema (o pensandoci in minima parte). La sua è una visione più vasta, dove nascondere sotto la presunta matrice popolare di questa manifestazione (e un domani del suo partito) delle finalità economiche (e un domani politiche) di dubbia moralità.
I biglietti venduti sono stati quasi sessantamila. Il profitto è stato dunque raggiunto. Ora questi guadagni che fine faranno? Questi soldi andranno nelle tasche del comune di Roma per essere riutilizzati in attività e manifestazioni “popolari” e culturali o andranno nelle tasche dei tanti sponsor che hanno investito?
Questo dispiace. Pensare alla politica e sentirsi male. Pensare a tutta una serie di valori che stanno morendo, letteralmente.
E allora, a testa alta, vado dritto sulla mia strada.
E allora l’importante ancora una volta è vedere film e scrivere e continuare a scivolare sulla superficie delle cose.
Non degnare di uno sguardo i parassiti che ho intorno, turarmi le orecchie quando i loro discorsi diventano troppo sgradevoli, pregare perché il buio in sala arrivi al più presto, e con esso la luce e con la luce il cinema.
E allora diventano i film il cuore della mia presenza in questo luogo.
Ma anche i film come le persone possono deludere.
E le prime visioni sono così, deludenti, scialbe, senza forza.
Poi arriva sabato. E arriva Coppola. E con lui il suo ultimo film, Youth without youth. E anche se alla fine della pellicola non so bene cosa pensare e mi sento confuso, non perdo il controllo e aspetto che le luci si accendano e poi esco fuori e davanti ad una birra penso a quello che ho visto. E poi ci penso ancora. E questo significa che anche se ad un livello epidermico o emozionale non sono stato rapito, il film ha qualcosa da dire, qualcosa che ti è stato trasmesso. C’era la voce di Coppola, c’era tutto il suo cinema, il suo essere artista.
E le visioni migliorano. E vedo Lumet e Bean e Soldini.
Poi arriva Penn e quella mattina la magia finalmente avviene. E vengo rapito dallo schermo, dalle immagini, dalla storia. E io non sono più dentro quella sala, ma inizio a viaggiare e sono dentro le immagini, fra di loro, in quel mondo. E c’è la voce di Eddie Vedder, quanto amo la sua voce, che mi guida e protegge. E allora il cinema diviene di nuovo rivelazione e scoperta, metamorfosi e allucinazione, esperienza di vita e viaggio.
Poi di nuovo fuori, ma questa volta senza paura, sapendo di avere qualcosa dentro che mi porterò per qualche giorno.
Questi sono i film migliori.
Quelli che rimangono dentro. Che crescono. Di cui non puoi scrivere subito. Come delle cose più belle. Ci vuole tempo, si deve creare un certo distacco.
Quella strana aria sembra per un attimo scomparire, film come quello di Penn danno il senso di un evento come un festival.
Ma poi tornano le solite cose, quelle che stanno avvelenando il nostro mondo.
I sorrisi da squalo, la moda, il glamour, le firme, i vestiti, i flash, le videocamere, i discorsi vuoti.
Roma aveva indubbiamente bisogno di una manifestazione cinematografica.
Ma perché ogni cosa deve poi trasformarsi in una corsa al consumo?
Perché ogni cosa come ogni persona non può esistere senza un valore economico, senza un profitto, senza un guadagno?
Con le mie solite domande nel cuore rimango a fissare le luci che si spengono.
Tiro forti boccate d’ossigeno.
E l’aria che respiro torna ad essere normale.
Ma sono già fuori, già lontano da tutto questo.
Tra i film i concorso vince Juno.
Ma a nessuno sembra fregare niente, tanto tutte le star se ne sono andate, la festa è finita e il popolo ha speso, si arrotola il red carpet e ci si prepara per il prossimo investimento.

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