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Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto

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La Legge, quando smette di essere un insieme di regole che strutturano una società, corre il rischio di trasformarsi in un esercizio di mantenimento del Potere. E allora tutte le norme legislative diventano strumenti in mano al Potere stesso per la propria sopravvivenza. Il pericolo di ogni società è proprio questo, che il Potere diventi il fine ultimo di ogni attività politica, il Potere e la sua gestione.

E cosa succede, allora, se qualcuno, detenendo il Potere, commette un omicidio o compie atti che violano la Legge? Cosa succede se un rappresentante dello Stato, un poliziotto, uno che deve far rispettare le leggi, le infrange e invece di una giusta condanna trova la protezione che il Potere stesso gli offre?

Da questi paradossi parte la riflessione di Pietro Germi (che scrive insieme a Ugo Pirro) sul Potere, una riflessione che attraverserà tutto il film. Germi, però, non si limita ad una lettura politica di questo argomento, ma si muove su diversi livelli.

La sessualità è una dimensione in cui i rapporti di potere, per esempio, possono cambiare. Ed è proprio tramite il sesso che Augusta (Florinda Bolkan) “gioca” con il capo della sezione omicidi (uno strepitoso Volonté) per mettere in ridicolo quello che lui rappresenta. Il sesso diviene il primo strumento attraverso il quale si svelano le modalità rappresentative e di messa in scena del Potere. Infatti Augusta coinvolge il Dottore (così viene chiamato da tutti il personaggio interpretato da Volonté) nelle ricostruzioni fotografiche di alcuni omicidi (lei fa la vittima, il Dottore fotografa) e in alcune situazioni erotiche al limite del sadomasochismo, in cui lei è sempre la parte passiva e sottomessa e lui quella attiva e dominante. In realtà Petri ci mostra come sia la donna a controllare l’uomo e soprattutto come queste situazioni bizzarre siano il mezzo attraverso il quale la donna finisce poi ogni volta per schernire l’uomo fino a rivelarne la completa incompetenza al letto. Il Dottore quindi trasforma la sua impotenza sessuale in un continuo abuso del proprio potere sociale, il suo appagamento diventa quello del controllo burocratico. Fino al momento in cui il suo rapporto con Augusta arriva alle estreme conseguenze. Uccidere la donna, riempire la sua casa di prove per dimostrare la propria colpevolezza e tentare in ogni modo di farsi arrestare. L’autorità che vuole giudicare se stessa. La legge che vuole fermare il Potere. Paradossi.

La messa in scena del potere non avviene però solo in camera da letto, dove una volta che sono stati decisi i ruoli tutto può essere possibile, ma trova il suo palco, il luogo adibito alla sua adeguata rappresentazione, soprattutto tra i corridoi dei commissariati e nelle sale degli interrogatori. Tra i corridoi, dove il potere si mette in mostra fra le varie gerarchie di comando, in una pantomima di ordini e riverenze. E nelle sale degli interrogatori dove i funzionari di polizia, per far parlare un sospettato, indossano la maschera che l’autorità gli conferisce e compiono performance che sembrano uscite fuori da uno psicodramma, dove si conoscono a memoria battute e pause, toni della voce e movimenti del corpo e dove l’improvvisazione è lasciata solo al sospettato, che si perde tra paure e balbettii. Non è un caso che Volonté provi i suoi discorsi davanti allo specchio, che lavori sulla sua voce, che cambi radicalmente il modo di esprimersi quando si trova davanti a un suo superiore o se invece ha tra i piedi  qualcuno su cui esercitare il suo potere. Il personaggio di Volontè è un richiamo alla mediocrità italiana, al suo servilismo davanti ai potenti e allo stesso tempo all’ebbrezza che un minimo di comando comporta. Il Dottore tanto cinico e freddo con i suoi sottoposti diventa servizievole e quasi impacciato con i suoi superiori. E allora tutto il suo comandare, urlare, decidere non è altro che un ruolo da portare avanti, una parte in cui immedesimarsi per rendere reale la farsa dell’ordine costituito. La componente teatrale propria dell’esercizio del potere viene abilmente ricostruita anche da un punto di vista scenografico e di messa in scena filmica. E allora le stanze degli interrogatori divengono piccoli teatri delle crudeltà, palcoscenici segreti e nascosti, dove le persone finiscono per essere ingabbiate dentro ruoli precostituiti. Chi deve rappresentare la legge e chi deve rappresentare il sospettato.

La struttura narrativa del film è poi frammentaria, Germi sceglie un racconto non lineare, dove incastra le sequenze saltando più volte da un piano temporale all’altro, la sua scrittura filmica è precisa e chiara, l’uso della musica (composta da Morricone) ha effetti decisamente stranianti proprio per sottolineare anche le sfumature più paradossali di tutta l’operazione.

Infatti il terreno su cui si muove Germi non è quello del crudo realismo, ma di una rielaborazione in chiave grottesca della situazione politica italiana di quegli anni, dove la contestazione giovanile era vista come pericolosa e degradante da chi era al potere, sintomo di una classe dirigenziale vecchia e stantia che trovava il suo migliore slogan nelle parole di Volontè stesso – “La repressione è il nostro vaccino. Repressione è civiltà.”

Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto è una riflessione più che mai lucida e allo stesso tempo pessimista, senza speranze, sul degrado della democrazia e dei suoi organi di controllo. Una messa in scena kafkiana dell’assurdo istituzionale e della mediocrità umana. Un testo psicanalitico che rintraccia i forti legami tra sesso e giochi di potere, dominio e sottomissione. Un’opera ricca, simbolica nei suoi riferimenti ad ogni tipo di potere, quasi astratta in alcuni elementi scenografici e allo stesso tempo così aggrappata alla realtà, ai propri tempi, alla necessità di usare il cinema come strumento che ponga domande allo spettatore, che lo faccia pensare.

Un cinema maturo, d’altri tempi.

Eppure così dannatamente moderno e indispensabile.

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