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Io non sono qui

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Le molte vite di Bob Dylan, reali quanto immaginarie. Volti diversi a rappresentare umori e idee, canzoni e proteste. Tanti Bob Dylan, uno per ogni attore che lo interpreta, per decostruire la vita del cantante e trasformarla in un quadro frammentato e astratto, dove ogni immagine può essere semplice verità o pura finzione, con rarissimi dati oggettivi, dove, come in un’opera d’arte, i principi creativi si confondono con la vita stessa, dando origine ad una espressione dell’anima: un quadro, una canzone, una poesia, un film.

Io non sono qui è un titolo perfetto per l’operazione svolta da Todd Haynes. Bob Dylan non è in questo film, non viene mai nominato dichiaratamente, di volta in volta si fa chiamare Woody Guthrie (il suo maestro), Arthur Rimbaud, John, Jude. Di volta in volta lo vediamo diverso, impossibile da catturare in una definizione o in un volto, di lui ci sono lampi d’ispirazione, i magnifici testi delle sue canzoni, in alcuni casi la voce (molte delle canzoni poi  sono cantate dagli attori stessi).

Bob Dylan non è in questo film ma il suo spirito aleggia, in maniera triste e crepuscolare, nel Billy the Kid interpretato da Richard Gere, in  maniera controversa e schizzata, timida e strafottente nella meravigliosa interpretazione di Cate Blanchett.

Partendo dalle sue esperienze precedenti (si pensi a Velvet Goldmine) che già attraverso l’artificio narrativo della ricostruzione biografica miravano a trovare più verità su un’epoca (quella del glam rock) di quanto una semplice ricostruzione storica potesse permettere, allo stesso modo, in Io non sono qui, Haynes si discosta ancora di più dall’oggettività dei dati biografici per lanciarsi in una personale visione dell’artista Dylan (ma non dell’uomo, ma c’è poi differenza?) attraverso una scrittura filmica libera da ogni schema, con salti temporali vertiginosi, un montaggio discontinuo e  usato in chiave emotiva e poetica, riuscendo a comporre un’opera unica e originale, a volte volutamente caotica e distaccata, che azzera qualsiasi possibile empatia visiva dello spettatore (che rimane senza agganci, senza punti fermi) e che allo stesso tempo, attraverso la superba colonna sonora, fa venire i brividi sulla pelle ogni volta che si sente una chitarra iniziare a suonare.
Biografia immaginifica e concettuale, basata sul principio della rappresentazione della finzione come momento di verità suprema (già espresso in Velvet Goldmine) Io non sono qui è da vedere (per chi volesse farsi un’idea “reale” della carriera di Dylan) con No Direction Home, lo splendido documentario di Martin Scorsese sul menestrello del rock.


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