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Kimberly Process

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regolamentazione internazionale del mercato dei diamanti

«I diamanti sono i migliori amici della guerriglia»

(Paul Collier, direttore del dipartimento di ricerca della Banca mondiale)

 

Il 2007 vede, tra le molte cose, la Commissione Europea assumere l’importante ruolo di Presidente di turno all’interno di uno dei più delicati sistemi di regolamentazione internazionale, quello del commercio dei diamanti, conosciuto con il nome di Processo Kimberley, per la città sudafricana ove venne siglato il primo accordo in materia nel maggio del 2000.

Il Sistema di Certificazione posto in essere dal Processo di Kimberley[1] (Kimberley Process Certification Scheme – KPCS o, più semplicemente, KP) è volto a porre ordine in un mercato assai delicato a causa delle rilevanti connessioni esistenti tra compravendita dei diamanti e finanziamento di attività militari e paramilitari in Paesi del Sud del mondo, in particolare africani[2], ricchi di tali minerali.

Ma cerchiamo di capire come si è giunti a tale sistema e in cosa questo consista.

Sin dalla fine degli anni ‘90 dello scorso secolo, la comunità internazionale aveva preso atto che alcuni dei più terribili conflitti che insanguinavano molte regioni dell’Africa sub-sahariana ruotavano intorno alla produzione di diamanti grezzi: estrazione, vendita e trasporto fornivano risorse per sostenere le truppe o innescavano tensioni per il controllo dei territori interessati.

Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, già dal 1998, anche dietro forti pressioni della società civile (in particolare delle ong attive nel campo della tutela dei diritti umani come Amnesty International[3]) adottò delle sanzioni contro Liberia, Sierra Leone e Angola affinché i diamanti importati da questi Paesi fossero accompagnati da un certificato ufficiale di provenienza.

Nel maggio del 2000, dunque, su iniziativa del governo sudafricano, si tenne a Kimberley una conferenza per l’adozione di strumenti specifici (lo schema di certificazione del KP) e, nel mese di luglio, venne poi creato ad Anversa (capitale mondiale del taglio di diamanti) il World Diamond Council[4] (WDC) su iniziativa della World Federation of Diamond Bourses e dell’International Diamond Manufactures Association: entrambe queste iniziative erano tese ad individuare le modalità più efficaci per garantire la tracciabilità dei diamanti grezzi.

Tra il 4 e il 5 novembre del 2002, dopo numerosi incontri volti a definire i criteri generali e i requisiti minimi del processo, e con una forte e attiva partecipazione dell’opinione pubblica, 37 Stati firmarono a Interlaken un accordo per l’attivazione di un sistema di certificazione della circolazione dei diamanti grezzi; parteciparono all’accordo anche il WDC e le multinazionali coinvolte nelle attività di estrazione, commercio e vendita.

Il sistema così concepito entrò in vigore il 1° gennaio del 2003 ponendo una serie di requisiti che ciascuna parte doveva e deve soddisfare per partecipare allo schema di certificazione.

In pratica il KPCS si può sintetizzare nel rispetto dei seguenti principi:

  1. i proventi ricavati dai diamanti non devono essere destinati a finanziare gruppi ribelli o altre organizzazioni che mirano a rovesciare il legittimo governo del Paese riconosciuto dall’ONU;
  2. ogni diamante esportato deve essere accompagnato da un certificato che provi il rispetto dello schema del Kimberley Process;
  3. nessun diamante può essere importato da, o esportato verso, un Paese non membro del Kimberley Process.

L’obiettivo del sistema è quello di creare una rete monitorata di Paesi che trattino solo e soltanto diamanti “puliti”.

Lo stesso accordo di Kimberley prevede al suo interno le definizioni delle fattispecie regolamentate e, dunque, si stabilisce che «ai fini del sistema internazionale di certificazione» per “diamante” si intenda «un minerale naturale di forma isometrica, composto essenzialmente da carbonio puro cristallizzato, avente una durezza in scala Mohs di 10 e un peso specifico di circa 3,52 e un indice di rifrazione di 2,42», i “diamanti grezzi” sono invece quei «diamanti non lavorati […]» rientranti in specifiche classi di codificazione delle merci internazionali, “diamanti di guerra” sono «quei diamanti grezzi utilizzati dai movimenti ribelli o loro alleati per finanziare i conflitti tendenti a destabilizzare i governi legittimi, così come descritti nelle pertinenti risoluzioni […] delle Nazioni Unite […]» e, infine, il “certificato del Kimberley Process” è «un documento non falsificabile che attesti che il carico di diamanti grezzi sia conforme alle esigenze del sistema di rilascio dei certificati stessi».

Se alcune critiche possono muoversi al sistema così realizzato (l’autoreferenzialità delle norme, la volontarietà nell’assunzione degli obblighi, la scarsa efficacia dell’apparato di controllo, la mancanza di effettivi strumenti “punitivi” per le violazioni), bisogna pur riconoscere che ad oggi i partecipanti al KPCS rappresentano circa il 98% del commercio mondiale dei diamanti e che, parallelamente agli impegni degli Stati, le industrie diamantifere hanno assunto dei propri e specifici impegni nella stessa direzione:

          l’adozione di un codice di condotta destinato ad impedire l’acquisto o la vendita di diamanti di guerra;

          la predisposizione di un sistema volontario di garanzie per il quale ogni fattura di vendita di diamanti e gioielli lavorati contenenti diamanti riporti l’origine “da Paesi non in conflitto” delle pietre utilizzate (e il contestuale impegno a far verificare periodicamente tale origine da audit specifici);

          l’attivazione di campagne di informazione ai propri dipendenti relativamente alle pratiche di contrasto al commercio dei diamanti di guerra.

Dopo quattro anni dall’entrata in vigore del Kimberley Process si può affermare che, se indubbiamente si sono compiuti dei passi in avanti nella lotta al traffico dei diamanti insanguinati, non si è tuttavia ancora riusciti a sradicarne le radici, come conferma il caso della Costa d’Avorio.

Questo Paese, infatti, pur facendo parte del KPCS dal 2003, ha circa la metà del proprio territorio controllato da forze ribelli opposte al governo legittimo[5] e questa parte è quella ricca di giacimenti diamantiferi i cui prodotti vengono poi dirottati verso il Ghana e, da qui, ai mercati internazionali per sostenere le stesse forze.

Il Presidente del Kimberley Process, in seguito a precise relazioni di osservatori indipendenti, ha chiesto a Ghana e Costa d’Avorio di sospendere le esportazioni di diamanti sino al momento in cui non potranno essere ristabiliti gli effettivi controlli richiesti dalla regolamentazione internazionale. In assenza di garanzie in questa direzione, però, nel dicembre 2006, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha rinnovato l’embargo per le esportazioni di diamanti grezzi dalla Costa d’Avorio adottato con precedente risoluzione n.1643 (2005).

A partire dal 1° gennaio di questo anno, e fino al 31 dicembre, come si accennava in apertura, la presidenza del sistema del KP è retta dalla Commissione Europea[6] in nome e per conto dell’Unione, e dunque, dei suoi 27 membri.

La Commissione a questo proposito ha adottato un proprio Programma d’Azione[7] per il 2007, con il quale, dopo aver posto l’attenzione su alcuni punti critici (in particolare i controlli interni e la capacità di adeguamento dei Paesi membri del KP), rileva che l’opinione pubblica internazionale si sta dimostrando molto sensibile all’argomento e richiama, quindi,  i partecipanti al KP ad un maggiore impegno per rendere il sistema ancor più efficace  e credibile.

La presidenza europea ha fondato il proprio mandato sui principi del consenso tra le differenti parti (gli Stati, le aziende, la società civile), della flessibilità e dell’apertura e ha posto in atto un approccio partecipativo e decentralizzato, basato sul coinvolgimento di gruppi di lavoro ed osservatori.

In questo contesto, gli obiettivi globali della Commissione sono indirizzati a promuovere la “continuità attraverso il consolidamento” rafforzando il carattere unico del Kimberley Process che, secondo quanto evinto dalla verifica triennale condotta nel 2006, è risultato essere una performante modalità di cooperazione internazionale e ponendo un forte accento sulla necessità di implementare i controlli interni.

Inoltre, si sta cercando di migliorare considerevolmente la capacità del sistema di reagire alle nuove crisi, al fine di renderlo autentico strumento di trasformazione dei “diamanti di guerra in diamanti di prosperità”[8].

Tra le azioni più interessanti sulle quali si intende operare, vi è lo studio di particolari tecniche “scientifiche”[9] per la tracciabilità dei diamanti al fine di verificarne l’origine al di là dei certificati accompagnatori, dal momento che, nonostante i risultati raggiunti, risulta ovvia la possibilità di dotare anche pietre “sporche” di un certificato “pulito”.

Se si considera che la produzione mondiale di diamanti grezzi nel 2006 ha avuto un valore ufficiale di circa dodici miliardi di dollari statunitensi[10], si comprende bene quali e quanti interessi possano esservi nel sottrarre ai controlli internazionali anche una piccola percentuale di queste pietre per introdurle in circuiti di scambio paralleli o, viceversa, nell’impedirne l’ingresso per addomesticare le fluttuazioni del loro valore nelle borse.

Tutte le parti in gioco (comunità internazionale, aziende diamantifere, società civile e opinione pubblica) devono, allora, attivarsi e restare vigili affinché questo delicato mercato venga gestito nel modo più responsabile possibile e le crude immagini di un film come Blood Diamond[11] rimangano consegnate alla storia, pur vera ma passata e i diamanti possano veramente diventare fonte di prosperità diretta per le popolazioni dei Paesi che li possiedono.

Speriamo!


[1] Per maggiori informazioni, si veda il sito ufficiale: http://www.kimberleyprocess.com.

[2] Si stima che circa il 65% dei diamanti di tutto il mondo provenga da Paesi africani, tra cui il  Botswana è il maggiore (con il 20% della produzione mondiale al suo attivo), cui seguono Angola, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Namibia, Tanzania, Sierra Leone e Sudafrica (fonte www.diamondfacts.org).

[3] Per maggiori informazioni, si veda il sito ufficiale: http://web.amnesty.org/pages/ec-diamonds-eng.

[4] Per maggiori informazioni, si veda il sito ufficiale: http://www.worlddiamondcouncil.com.

[5] Cfr. dello stesso Autore, Colpo di stato in Costa d’Avorio: prospettive e responsabilità – in Kultunderground n.90 – 2002.

[6] Per maggiori informazioni, si veda il sito: http://ec.europa.eu/external_relations/kimb/intro/index.htm.

[7] Cfr. Programma di Azione in http://ec.europa.eu/external_relations/kimb/docs/actionplan_2007.pdf.

[8] Cfr. Programma di azione.

[9] Attraverso lo studio e la campionatura delle composizioni geologiche dei diamanti per risalire al luogo di estrazione.

[10] Fonte: Kimberley Process Certification Scheme.

[11] Un film (USA, 2006) di Edward Zwick, con Leonardo Di Caprio, Jennifer Connelly, Djimon Hounsou, Michael Sheen e Arnold Vosloo, che narra le losche trame di trafficanti internazionali e mercenari, diplomatici e grandi industriali dei diamanti che si ritrovano tra Africa ed Europa ad inseguire pietre “sporche” del sangue di innocenti,.

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