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Natale coi fichi – Luciano Bianciardi

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ExCogita editrice, 2002

 

Con lucida sintesi e ferma capacità diaristica, atta a comprendere ed appropriarsi del luogo ospite, Luciano Bianciardi sintetizza per noi, in una relazione essenziale, la vita militare in Puglia negli anni ’40 del Novecento.

 

Collocati gli avvenimenti storici in parallelo con quelli politico-guerreschi degli anno riaffiorati alla memoria dello stilato documento, la Puglia[1] pare il “granaio” d’Italia, il luogo in cui poter scambiare il poco per il poco; un mercato  nero “lecito”, un “quadrato” di terra scura come il proprio vino, aspra, appena descritta con pidocchi ed afa.

 

Lo straniero, settentrionale più che americano (fruitore, quest’ultimo, dello status di supremo vincitore), è salvato da una forzata lettura del Croce, contaminata da una pre-intuizione lirica sarcastica sulla donna oggetto delle guerre da società storiche, dal civismo partecipativo che attende il militare. Che sarà chiamato a costruire con un atto-espressione-dovere-diritto, il voto, uno Stato repubblicano, e s’augura forse (e più) popolar-democratico.

Il voto del soldatello conterà quanto quello d’esimi personaggi dell’epoca; quanto quello d’un Ercole Ercoli, d’un Cifarelli e del senatore Croce.

 

Rimanendo in tema: quel Croce che decretò che siam tutti cristiani «ma resta da vedere il come e il perché» (pag. 13).

Il come ed il perché dell’esser cristiani dei soldati “di” e come Bianciardi, è tutto rinvenibile nelle pagine dalla ventunesima alla ventieseiesima di questo opuscoletto denso quanto un libro.

Ed è esso, infatti, un lungo frammento di reale esistenza e sopravvivenza nell’agre terra di Puglia, tradotta di mestiere e di vissuto nel bell’incanto dell’essenzialità gastronomica più ancestrale ed antica, dal nero pecioso vino, antico ed etrusco – il merum/mieru – ai fichi secchi – qui detti mmaritati – e che l’italiano Luciano chiama mandorlati.

Questi ultimi son prodotti già fuoriusciti dalla più stretta frugalità, forse mangiati raramente; merce pregiata e cara anche in costanza di scambio-baratto.

I fichi, comunque, seppure non mmaritati/mandorlati, sono i salvatori al pari della cioccolata di G.B. Shaw; scelta non a caso quale esergo all’opuscolo.

Il parallelismo tra questa ed i fichi è assoluto, novato con la carie indiscutibile, lapide dell’essenzialità della vita e delle aberrazioni nascenti dall’utilizzo delle armi.



[1] L’autore staziona, assieme ai resti dell’esercito italiano post-armistiziale, nel “regno del Sud”, ovverosia la Puglia meridionale, in uno dei cui capoluoghi – Brindisi – era ripiegato il re dopo la deposizione di Mussolini e l’armistizio con le truppe anglo-americane. Il Bianciardi si riferisce in particolare alla terra d’Oria, un piccolo comune di federiciana memoria situato a sud-ovest della neo-eletta capitale del Regno (in realtà un protettorato anglo-americano) Brindisi.

Nota di Elisabetta Blasi

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