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Una storia americana (Capturing the Friedmans)

5 min read

 

un film di Andrew Jarecki

Feltrinelli Real Cinema

DVD + LIBRO
La fabbrica dei mostri

Saggio inedito di Fabrizio Tonello

Il film è uscito nelle sale nel 2003

 

Questo film rientra senza dubbio fra i capolavori del cinema documentario e, per scovare la tragedia occorre scorticare la patina di normalità benpensante e borghese offerta dalla storia, ma anche e soprattutto lasciarsi scorticare dalle immagini e dai dialoghi. Smarriti, chimici, isterici, folli. Impauriti. C’è una forma di esibizionismo in questi – all’apparenza – e apparenza in questa vicenda è una parola ampia, colossale, enorme e colpevole, apparenza è crepa e ghirigoro di stucco, è modus vivendi e via di fuga, apparenza è scollamento del reale dall’inimmaginabile, è la festa del Ringraziamento e gli occhiali grandi come televisori attraverso i quali Friedman padre osserva quello che ha attorno, apparenza è brivido e sorriso forzato, flash e memorie seppellite, se una parola può essere tante cose insieme – c’è una incredibile forma di esibizionismo, dicevo, nei filmini che riprendono incessantemente e ossessivamente la vita della famiglia Friedman. Una famiglia  americana, di quelle che vediamo in reportage, servizi televisivi, film di tendenza, persino in video musicali che accompagnano le hit dei cantanti. Una famiglia che vive in un quartiere benestante di Long Island  ed è rispettata – e in cosa consiste la rispettabilità che offriamo, o meglio concediamo a chi ci vive accanto, a chi riceve i nostri buongiorno e i nostri buonasera, i nostri cenni d’assenso, è un altro dei quesiti inevitabili che sorgono guardando questo documentario nello stesso tempo magnifico e terribile – è apprezzata, considerata tranquilla, esemplare, la classica, quasi banale e stereotipata “famiglia americana”. Poi, l’evento-trauma. Vengono arrestati all’improvviso prima il padre e poi uno dei figli. L’accusa è violentissima, nauseante, l’accusa è di quelle che stordiscono,  violenza su minori e  pedofilia, poi emergerà l’incesto ed emergeranno possibili (dico possibili perché il film, nella sua acutezza affilata e nella mai moralistica messa in scena della tragedia attraverso l’esibizionismo dei famigliari non prende posizioni, non ci istruisce, non ci ammonisce) connivenze, silenzi, cicatrici tremende, non detti, incomprensioni. Grumi colossali che sconvolgeranno un intero ambiente, quello che stava attorno e accanto ai protagonisti. Il documentario ci costringe a guardare le fasi della vicenda, la preparazione dei processi e poi i processi, le accuse, le denunce, la rabbia, la follia, i pianti, le fratture, ogni antico dolore, ogni antico rimosso considerato indicibile, inammissibile e perverso. E i Friedman registrano, riprendono, uno dei fratelli letteralmente insegue gli altri componenti della famiglia, chiede cosa pensano, cosa sentono, realizza scenette domestiche, archivia attimi di smarrimento, sfoghi, forse per un inconscio (e impossibile) tentativo di espiazione o forse per la necessità (la condividono scrittori, artisti, performer, musicisti e scienziati, perché non possono condividerla ordinari americani perbene accusati di uno dei peggiori crimini possibili?) di lasciare  tracce, di rappresentarsi, di una teatralizzazione che volontariamente spettacolarizza la propria quotidianità piccina, per la necessità che metri e metri di nastri rimangano a documentare e che il significato e il senso di questo documento, il peso del dare un senso (o un non–senso) a tutto questo venga lasciato ad altri.

Nel saggio di Tonello allegato al Dvd, La fabbrica di mostri, si cerca, invece di fornire una coerenza analitica e scientifica alla materia.  Scrive l’autore nella prefazione:”Questo saggio si propone di collocare la questione degli abusi sessuali sui bambini nel quadro delle ondate di panico collettivo legate all’ansia sociale che periodicamente colpiscono gli Stati Uniti.” E qui l’analisi si arricchisce  di esempi, di possibili elementi di riflessione. La cosa  interessante è che si riesce a documentare senza giudicare, anzi, lasciando possibile la valutazione di ambiguità procedurali: “Il problema, emerso solo in alcuni processi di appello è che il modo in cui i terapisti interrogavano i bambini non era affatto neutrale (per quanto possa essere neutrale un interrogatorio prolungato in un ambiente poliziesco). La tecnica di ripetere in continuazione le domande, di non accettare gli iniziali “no” come risposta, di insistere con ogni mezzo affinché la “verità” dell’abuso venisse a galla non poteva che condurre, nel migliore dei casi, a risposte false semplicemente per compiacere gli adulti in posizione di autorità, nel peggiore a rimodellare la memoria nel senso voluto dalla famiglia, dai servizi sociali, dalla polizia. Il “credete ai bambini” diventava, in realtà un “credete ai bambini quando affermano di essere vittime, non quando lo negano.” Questioni aperte, anche discutibili, evidenze da cercare  Tra i contenuti extra del dvd c’è una lunga intervista a Gustavo Charmet, psicoanalista dell’adolescenza e psichiatra che legge il film e si chiede, come ci chiediamo tutti “come si diventa pedofili” e come, se mai “si possa curare un pedofilo”. Ma – tema a parte – ci sono elementi nella pura visione dei frammenti di quotidiano dei Friedman che meritano di essere “guardati e non pensati”, che meritano, anzi pretendono una fruizione puramente estetica, se mi consentite il termine. L’estetica della psicosi contemporanea, della disattenzione perpetuata come sistema. Di certe perversioni che potrebbero sembrare quasi “ereditarie” (e sappiamo il pericolo insito in considerazioni del genere che emergono, che salgono in superficie con l’inevitabilità asettica che solo la grande potenza delle immagini documentaristiche e non soggettive può consentire) e per perversioni si intendono le violenze sui bambini, il desiderio di stare accanto a corpi giovani il più spesso possibile, ma anche il tristissimo mimare una ritualità famigliare accettabile quando si nascondono volontà visionarie e bramosie non contenute e forse non contenibili o forse sì. C’è un involontario canovaccio nei filmini maniacali della famiglia Friedman, ci sono sottigliezze che nemmeno il miglior saggio di Paul Virilio o – un esempio su tanti – Cosmopolis di Don DeLillo hanno saputo così subdolamente lasciar trasparire (e per questo inserirei  il dvd fra gli strumenti fondamentali – libri, dischi, film, inchieste – che consentono di avvicinarci alle vere e più dibattute fratture del nostro tempo) o lo hanno fatto in un modo che non disturba e conturba quanto questo film che riesce, ed è paradossale lo so, ma è tutto paradossale nel gigantesco quadro di questa isteria americana, a incuriosire e ad eccitare. Un’eccitazione più mentale che fisica, ma anche fisica a tratti, per l’indeterminatezza di certe accuse, per l’impassibilità del montaggio, per  la tensione e la crudeltà resi attraverso la verità grossolana e amatoriale dei filmini. Una storia degli anni 70 e 80 che, come negli incubi peggiori, allunga grinfie e spire fino a noi, fino all’appartamento di fronte, a quei condomini che salutiamo per le scale. Una storia di depravazioni forse solo gonfiate o forse reali, di mostri pronti per il pubblico ludibrio, di domande aperte, impossibili da chiudere, forse possibili solo per qualche chiosa, qualche allargamento del punto di vista o di quello di partenza e arrivo.

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