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Scatole Sonore

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Rialto S.Ambrogio

Roma

 

In uno dei locali più underground di Roma: il centro sociale Rialto S.Ambrogio, vengono ospitati a scadenza mensile una serie di eventi performativi sotto denominatore comune: scatole sonore. Gli spettacoli sono ospitati in varie stanze del primo piano dell’edificio. La prima serata della rassegna si è svolta il primo febbraio e la prossima sarà il primo marzo. E allora in un volo pindarico ecco le proposte performative dell’1 febbraio: dopo un bicchiere di vino ci si sposta tutti all’interno della prima sala dove già posizionata ci aspetta Simona Pietrosanti, ballerina e performer che accompagnata dalle celebri parole tratte dai Canti Orfici di Dino Campana interpretate da Carmelo Bene si cimenta in una Santa Margherita rivisitata e soprattutto rivestita in un rigido corpetto di gesso, e mentre Bene con la sua inconfondibile interpretazione introflessa ci introduce nel discorso sul bello la performer si trucca rigidamente con movenze butoh (avanguardia che nasce in Giappone a fine anni ’50 e che mischia tendenze del teatro espressionista tedesco con la danza; è particolarmente di moda negli ambienti performativi underground romani). Questo è solo il primo evento della prima serata della rassegna, che tra l’altro ha ospitato le originali sculture di Simone Donati particolarmente abile ad intessere trame di significati e riflessioni sull’essere. Nella sala concerti invece si esibiscono Venitucci, Spera (musicisti attivi nell’ambito della performance anche al Teatro Furio Camillo) accompagnati da un tecnico si denominano Ossatura e ci intrattengono con i loro interventi elettroacustici. Ecco un’istantanea: Spera, il batterista scrive con le bacchette sulla pelle del rullante: un suono acuto che viene accompagnato dal suono interrotto e ripetuto della fisarmonica di Venitucci; una tromba giocattolo suona a vuoto e si amplifica il suono delle catene che sbattono: i rumori rotolano. Precipitano. Il batterista ora incalza e poi. Ecco. Ritorna la quiete in una melodia ripetuta come un Nirvana. Ma poi di nuovo il suono si fa metallico. Futurismo. Fischio. Una marcia, che pian piano degrada ancora nel metallo. Il batterista chiude gli occhi, incalza. Ancora. Ora rallenta e sfiorando la pelle del timpano insieme alla fisarmonica creano un’oatmosferea. Si cercano, si trovano. Funzionano. In questa sala che vede passare anche musicisti internazionali l’ambiente è illuminato da luci rosse e la serata si conclude con Mattia Coletti, chitarrista che da solista accompagnato da loop station sperimenta altrettanti suoni particolari accompagnati da performance vocali.

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