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Suicidi falliti per motivi ridicoli

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Cosa vi colpisce – come prima cosa – in un libro che non conoscete? Beh, se a qualcuno viene in mente una risposta diversa da “il titolo e/o la copertina” sono molto curioso di sentirla. Io e, forse, qualche “esperto” di marketing.
Ma in caso contrario, ne converrete, è piuttosto improbabile che non vi faccia scattare qualcosa la visione – anche fugace – di “Suicidi falliti per motivi ridicoli” – edito da Coniglio Editore e curato dal duo Morozzi&Lisai – per quanto possa essere “imboscato” in mezzo ad altri volumi.
Del libro – a dire il vero – mi aveva parlato, ben prima che avessi modo di leggerlo, una delle autrici (uh, ve l’ho già detto che questo volume è un’antologia di racconti a tema?) ma il colpo di fulmine l’ho avuto nel padiglione libri di una fiera. Una distesa infinita di bei volumi, scorsi con fare distratto, cercando come sempre, più o meno involontariamente, un nome noto (di un autore – o di una casa editrice poco importa). Fino ad arrivare davanti a questo libro, dal formato un po’ particolare, con un ragazzo in jeans e scarpe da ginnastica con la testa dentro ad un forno. Come si fa a non prendere in mano un volume del genere? Impossibile. E poi bastano le poche righe in quarta di copertina e zac! il gioco è fatto. Nella tua mente qualcosa ha appena aggiunto al carrello quel titolo. E prima o poi verrà il momento del check-out.
In effetti il libro – come oggetto – è veramente intrigante. L’impaginazione e i font generali sono “moderni”, la bombola del gas come separatore è una chicca che si nota, qualche racconto ha pure altri accorgimenti grafici, che si vedono anche solo scorrendo rapidamente le pagine. Ma quello che veramente poi convince – in questa antologia di duecento pagine circa – è già tutto ben esplicito nel titolo e nella copertina. Da cui si capisce che il tema è sì il suicidio (anzi, il tentato suicidio) ma che non siamo certo davanti a uno studio sociologico né a un compendio di racconti dark.
Qui è il grottesco che fa da padrone. L’ironico. Questo libro – con la sua ventina di racconti – fa una gustosa satira sociale. Prende in giro – giocando con la morte – i comportamenti estremizzati che spesso leggiamo come norma sui giornali. O che sappiamo scovare sulla rete. O in TV.
E lo fa spaziando tra single, studenti fuori corso, gente della moda, ragazze dai facili costumi (o anche esplicitamente prostitute), persone più o meno giovani con qualche mania più o meno complicata da gestire, giovani coppie, vecchi amici, futuri padri di futuri dittatori. E, ah sì, pure bloggers.
Gli stili narrativi utilizzati sono piuttosto variegati. Ci troviamo davanti ad autori che, pur non avendo tutti lo stesso “spessore” di background, non sono esattamente alle prime armi, e tutti hanno davvero proposto qualcosa di originale – spesso complesso – giocando (ma senza esasperazioni) con lessico e forma, ancor prima che con divagazioni sui modelli archetipi di suicidio. Ma in questo caso si ha l’impressione non di una esperienza di lettura complessiva disomogenea, ma piuttosto di una ricchezza di contenuti che va al di là del mero conteggio delle pagine o dei racconti.
Chiaro, qualcosa piacerà di più, qualcosa di meno. Alcuni testi spiccano per un certo tipo di comicità brillante, altri vanno apprezzati per questo aspetto, o per quell’altro. A me, ad esempio, ha colpito molto “Il Nodo” (Morozzi), che unisce un micron di SF a una storia molto romagnola, “Sabina” (Venerardi) e “Art 593 C.P.” (di Mercadante – uno dei racconti con una “formattazione estesa”) e ancora “Cavalcavia” (Alberti). Ma scorrendo l’indice mi rendo conto che, volendo, l’elenco dei preferiti sarebbe lungo – anche omettendo ovviamente (per conflitto di interessi) “Il bordello dei suicidi mancanti” (comunque uno dei testi con la prosa migliore) o “Cosa accadde veramente la mattina del 4 aprile 1998 all’ultimo piano del Liceo linguistico Giulio Cesare di Bari, a Maria Urbano, di anni 16, e al suo fidanzato, Claudio Nisticò, di anni 20” (no, non ho trascritto il racconto – quello è proprio – solo – il titolo) rispettivamente di Francesca Mazzucato e di Antonella Lattanzi – nomi noti su queste pagine.
Comunque sia, che dire?, siamo di fronte a una antologia con una bella idea, curata, e composta da racconti interessanti. Tre punti che valgono non poco nel vasto e disomogeneo mondo delle antologie (di cui – se vi ricordate – si è parlato anche live con un po’ di persone – casualmente – coinvolte in questo progetto).
Ah – dimenticavo – ultima cosa: se vi capita toccatelo. Il libro intendo. Passate le dita sulla copertina. (Anche) al tatto è uno spettacolo.

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