KULT Underground

una della più "antiche" e-zine italiane – attiva dal 1994

Interpretatio iuris

12 min read

Sapere non è abbastanza. Dobbiamo applicare.
Volere non basta. Dobbiamo fare.
Johann Wolfgang von Goethe

L’interpretazione delle leggi rappresenta una tematica tanto vasta quanto complessa per il mondo del diritto: un esempio emblematico di attività vitale al funzionamento di qualsiasi sistema giuridico, e tema di una vastità e complessità tale che tenteremo di razionalizzare e rendere il più comprensibile possibile, fornendo alcune coordinate basilari[1].

Interpretare (la legge) significa rendere il più possibile chiaro il significato della norma, ovvero comprendere la volontà che ha inteso esprimere il “legislatore” allo scopo di applicarla al caso concreto[2]; ogni atto normativo dunque, per quanto chiaro possa essere, è sempre e necessariamente oggetto di interpretazione.

Infatti, un’attività ermeneutica è sempre richiesta al Giudice, nel suo normale ufficio di applicare la norma giuridica al fatto concreto, anche se non ha bisogno di una riflessione approfondita per intenderne la portata e il senso, proprio per la sua abitudine a “ragionare di diritto”; giacché è atto di interpretazione ogni “intelligenza della volontà della legge“. Ecco perché il Giudice è sempre un interprete, non può più essere solo la “Bouche de la loi”, secondo la celebre definizione di Montesquieu, filosofo limitato nella rigida logica illuministica della teoria della separazione dei poteri, per cui gli organi del potere legislativo elaborano le norme, quelli del potere esecutivo le attuano e quelli dell’ordine giudiziario ne accertano le violazioni in modo pressoché “automatico”.

A ben vedere, tuttavia, i giuristi, studiosi e docenti di Diritto, nel fondare la propria opinione scientifica, i Giudici nel motivare le sentenze, gli avvocati nell’argomentare le proprie comparse, conclusioni o arringhe, i funzionari nel motivare i loro provvedimenti non possono pretendere di “non avere avuto altra fonte di decisione oltre la legge correttamente interpretata”, escludendo ogni altra regola, principio o criterio. La loro attività non può essere solo “pura logica” applicata alla legge, senza l’intervento di valutazioni proprie, comprese, più o meno “consapevoli”, visioni ideologiche. Soprattutto di fronte alle “lacune della legge” che pure esistono, non essendo possibile che la legge stessa regoli giuridicamente, in un modo o nell’altro, la totalità dei casi della vita[3].

Dopo questa affermazione di principio, che rappresenta anche una sorta di preventiva conclusione “filosofica” sulla natura e sugli scopi dell’interpretazione giuridica, esaminiamo la norma con la quale il legislatore italiano ha indicato alcuni “criteri interpretativi” all’operatore del diritto in genere, e al Giudice in particolare, su cosa fare in caso di incertezza nel significato di una norma.

Dall’articolo 12 delle “disposizioni sulla legge in generale” (un insieme di articoli posti, dal Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 262, prima del -allora nuovo- Codice civile italiano), può sembrare che le lacune siano colmate dalla legge stessa o secondo la legge, se il Giudice, nel colmarle, si attiene fedelmente alle direttive indicate[4].

Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse (e dalla)…”, recita la parte iniziale della norma, ad indicare la c.d. interpretazione letterale (c.d. vox iuris), volta ad attribuire alla norma il significato che si evince immediatamente dalle parole utilizzate[5].

Certo che fermarsi al solo dato letterale di singoli termini, da un lato appare logicamente corretto, ma dall’altro potrebbe portare a risultati aberranti… L’esempio di scuola è quello della norma più emblematica del diritto penale[6], l’art. 575 c.p. che punisce l’omicidio, e che recita:

“Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno”.

Dopo una interpretazione “strettamente letterale” della norma ci si può domandare, ovviamente per assurdo, se l’uso del termine “uomo”, possa escludere la punibilità di chi uccide una donna… Ovviamente il concetto del delitto di “omicidio” nei confronti di qualsiasi “persona umana” riemerge dietro la parola “uomo” tenendo conto della “… intenzione del legislatore”, ulteriore elemento che completa la frase dell’art.12 richiamata sopra. Alla “lettera della legge”, cioè, deve essere strettamente connessa la c.d. interpretazione logica che, superando il significato immediato della disposizione, mira a stabilire il suo vero contenuto ossia lo scopo che il legislatore ha inteso realizzare, emanandola.

Continua l’art.12 “Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe;”. Dunque, il legislatore espressamente ammette la possibilità che vi siano fattispecie non previste né risolte da norme giuridiche, in altre parole ammette l’esistenza di lacune le quali devono essere necessariamente colmate dal Giudice che non può rifiutarsi di risolvere un caso pratico invocando l’assenza di una legge regolatrice.

È questa la c.d. analogia legis, ammissibile soltanto se basata sui seguenti presupposti:

a) il caso in questione non deve essere previsto da alcuna norma;

b) devono ravvisarsi somiglianze tra la fattispecie disciplinata dalla legge e quella non prevista;

c) il rapporto di somiglianza deve concernere gli elementi della fattispecie nei quali si ritrova la giustificazione della disciplina dettata dal legislatore (eadem ratio)[7].

L’ultimo periodo dell’art.12 stabilisce: “se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato”. È questa la c.d. analogia iuris (diritto-ordinamento): si ha quando non essendoci nemmeno una disposizione che regola casi analoghi si trova una soluzione facendo ricorso ai “principi generali dell’ordinamento”, o di “sistema” (il che sottende un principio di “completezza dell’ordinamento”). In pratica dovrà individuarsi la disciplina del caso specifico come desumibile dall’ordinamento complessivamente considerato (interpretazione sistematica), ordinamento del quale ovviamente fa parte, in primis, la Costituzione[8].

La Costituzione e, per via diversa, il Diritto Comunitario, hanno rimodellato l’ordinamento giuridico e la coerenza dell’interpretazione giuridica va ora cercata anzitutto rispetto ai principi costituzionali, che costituiscono i principali fattori dell’unità dell’ordinamento[9]. La Corte Costituzionale ha, così, affermato il dovere del Giudice di adottare, tra più possibili interpretazioni di una disposizione, quella idonea a “negare ogni dubbio di legittimità costituzionale”, dovendo Egli sollevare la questione di legittimità solo quando “la lettera della norma” da attuare impedisca ogni interpretazione conforme a Costituzione (e per quanto possa sembrare impossibile ricorrono ancora oggi casi in cui il Giudice arriva a sospettare che una norma, applicata a un caso specifico, possa creare una situazione concreta in contrasto con un principio costituzionale, dunque non gli rimane che rivolgersi alla Consulta).

Questa forma “evoluta” di interpretazione alla luce della “motivazione ultima” della norma, che non sia in contrasto inconciliabile con il significato letterale della disposizione (Corte Cost. n. 692 del 1988, Corte Suprema di Cassazione Sez. Un. Civ. n. 6518 del 1987), si fonda sull’argomento della razionalità, secondo il quale, tra più significati possibili, deve preferirsi quello che corrisponde alla ratio sia della specifica norma sia del sistema che la contiene[10].

I principi interpretativi “di sistema”, compatibili con Costituzione e diritto UE, possono essere contenuti in norme ad alto grado di generalità (es. art. 1176 c.c. “Diligenza nell’adempimento” in materia di obbligazioni), o di tenore concettuale vago (e dunque suscettibili di adattamenti interpretativi, ad esempio l’art. 2041 c.c. che obbliga chi si è arricchito senza giusta causa a danno di un’altra persona, a indennizzare quest’ultima), o ancora di importanza fondamentale per l’intero sistema giuridico (es.: art. 1322 c.c. sull’autonomia contrattuale, per cui le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge), o ancora in principi di rango costituzionale, come la prevalenza del diritto UE, e dei suoi principi legali tipici, sulle norme nazionali[11].

Non è certo questa la sede per illustrare la rassegna completa (e assai complessa) delle forme di interpretazione legale elaborate dalla dottrina giuridica nel corso del tempo, la cui definizione si può trovare su ogni manuale di diritto, spessissimo citate dalla giurisprudenza, che le pone a fondamento delle proprie decisioni[12]. Tuttavia è proprio a queste tecniche, che si deve il fenomeno per cui la stessa norma può essere (e a volte viene) interpretata in “cento” modi diversi, circostanza per molti sorprendente e difficile da spiegare “ai non addetti ai lavori”[13].

Si discute, ovviamente, dell’interpretazione, per così dire, “qualificata” compiuta da chi mediante un’operazione intellettiva sappia cogliere la portata e il significato della norma che è (dovrebbe essere) ordinata in un sistema di norme collegate e coordinate nell’ambito di un ordinamento giuridico[14]. Vivendo in una società in cui “tutti fanno di tutto e nessuno è più disposto a svolgere solo il proprio mestiere, senza invadere il campo degli altri”, è bene chiarire che soltanto chi conosce bene il diritto e le sue tecniche, potrà compiere l’operazione intellettiva (interpretazione) diretta ad individuare la norma da applicare[15].

Si tratta, in ogni caso, non di un lavoro qualsiasi ma di un’impegnativa attività intellettuale il cui esercizio è reso sempre più difficile e incerto dal fatto che il legislatore italiano, sotto la spinta di una costante emergenza strutturale, emana spesso delle norme senza tenere in considerazione il necessario loro coordinamento con quelle del (complessivo) sistema giuridico vigente.

Come accennato per capire una norma di legge può essere fondamentale stabilire il suo scopo, in modo tale che la sua applicazione sia conforme alle finalità per cui essa è stata emanata: è la c.d. interpretazione teleologica[16]. Semplificando si può dire che si tratta di individuare la “ratio” giustificativa collegata alla introduzione della norma; ragione che può essere ben evidenziata dai lavori preparatori. A questo riguardo la Corte di Cassazione ha chiarito che ad essi può riconoscersi “valore unicamente sussidiario nell’interpretazione di una legge, trovando un limite nel fatto che la volontà da essi emergente non può sovrapporsi alla volontà obiettiva della legge quale risulta dal dato letterale e dalla intenzione del legislatore intesa come volontà oggettiva della norma (“voluntas legis”), da tenersi distinta dalla volontà dei singoli partecipanti al processo formativo di essa[17]. In giurisprudenza si fa spesso riferimento alla interpretazione teleologica in abbinamento agli altri criteri interpretativi già esaminati: vengono usate, nel testo delle sentenze, espressioni del tipo: “… a tale conclusione concorrono sia l’interpretazione letterale e logica della disposizione che quella teleologica …”; “… così dovendosi interpretare, in virtù di un’esegesi teleologica, logico-letterale e sistematica …”; “… in ragione dei criteri ermeneutici letterale, sistematico e teleologico, va interpretato nel senso che …”. Questo metodo interpretativo ha, in realtà, origini antiche: fu istituito dai giuristi romani per i quali già alla loro epoca (traducendo dal Digesto):“interpretare le leggi non significa capire meccanicamente le loro parole, ma comprenderne l’effettiva portata (il loro spirito) e forza imperativa[18].

Il criterio di interpretazione teleologica, pur riconoscendo che la lettera della legge costituisce un limite che l’interprete non può superare e deve rispettare, porta a tenere presente, da un lato, il “fatto sociale” che sta alla base della norma e che è regolato da essa; dall’altro a considerare le conseguenze che deriverebbero da una certa interpretazione, per escludere quelle che non corrispondono alla finalità della disposizione. Questo metodo interpretativo, dall’impronta nettamente realistica e concreta, sembra adattarsi perfettamente al “dinamismo” che caratterizza l’epoca in cui viviamo.

Vorrei concludere riportando una citazione sull’argomento, particolarmente completa e condivisibile, del giurista, uomo politico, Giudice Costituzionale e 12° Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella:

“Interpretare non può mai voler dire né arbitrio né, tanto meno, ricerca di originalità: è la norma – stabilita democraticamente dal Parlamento e correttamente inserita nella cornice valoriale delineata dalla Costituzione – a dover definire, perimetrandolo, l’ambito di riferimento della decisione. Interpretare, quindi, significa adattare al caso concreto la norma, senza mai stravolgerla o forzarla, rendendola, piuttosto, attraverso un percorso logico, viva e riconoscibile. Al contempo, la norma deve rimanere uno strumento certo per la risoluzione dei conflitti, non può risolversi in un percorso argomentativo che eviti di affrontare la responsabilità della decisione. Occorre aver ben presente che il fine ultimo dell’intervento richiesto alla Magistratura è la risposta di giustizia, che rimarrebbe irrimediabilmente denegata ogni qualvolta, alla pur sapiente ricostruzione normativa, non corrispondesse l’adozione di una decisione riconoscibile e comprensibile.”

Si commettono spesso ingiustizie anche per una certa tendenza al cavillo,
cioè per una troppo sottile, ma in realtà maliziosa, interpretazione del diritto.
Cicerone (De officiis)

  1. V. “Corso di Filosofia del Diritto” Luigi Lombardi Vallauri, CEDAM, Padova, 1981, pp. 25 e ss.
  2. La definizione è di Lorena Pigozzo in “L’INTERPRETAZIONE DELLA NORMA: QUESTA SCONOSCIUTA! Piccolo manuale per un corretto approccio”, www.brokersolver.it
  3. C’è lacuna…in tutti i casi, e solo nei casi in cui l’interprete, che vuole risolvere un dato problema pratico, ipotetico o reale, fondandosi solo sulla legge, non trova nella legge stessa una soluzione univoca e riconoscibile come tale da ogni intelletto correttamente ragionante” Lombardi Vallauri, op. cit. pag. 32.
  4. Queste disposizioni (in origine consistevano in 31 articoli), sono norme di legge ordinaria, considerate di livello “paracostituzionale”, dunque al di sotto del livello costituzionale ma come norme generali al di sopra delle altre leggi, comprese le leggi speciali. In ogni caso, trattandosi comunque di legge ordinaria, le disposizioni possono essere derogate da un’altra legge ordinaria. Gli articoli dal 17 al 31, che riguardavano la condizione giuridica dello straniero, sono stati abrogati dalla L. 31 maggio 1995, n. 218, Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato.
  5. Da tale testo, che ovviamente è stato necessario interpretare, se ne è tratta la regola per cui l’interprete di un testo normativo deve tener conto del significato grammaticale delle parole considerate non isolatamente ma nella loro connessione sintattica (interpretazione letterale). Cfr. “I diversi modi di interpretare la legge: una piccola goccia nel “mare magnum”…” di Giuseppe Mommo, in Altalex.com 27/04/2005.
  6. Codice Penale – LIBRO SECONDO – Dei delitti in particolare – Titolo XII – Dei delitti contro la persona – Capo I – Dei delitti contro la vita e l’incolumità individuale
  7. In base all’art. 14 delle disposizioni preliminari del Codice civile il procedimento analogico non è ammesso per le leggi eccezionali (che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi) e per le leggi penali.

    Infatti, tutta la materia delle fonti del diritto penale è dominata dal principio di legalità condensato nella formula latina “nullum crimen, nulla poena, sine lege” (senza legge, non vi è crimine né pena). Principio di legalità che è implicitamente contenuto dall’art.25 della Costituzione e che è stato riaffermato nella norma fondamentale sancita dall’articolo 1 del codice penale : “Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite”.

  8. Quindi, se un caso non è espressamente regolato lo si può risolvere per analogia in coerenza con quanto è previsto da altre norme giuridiche in vigore di diritto interno e/o dell’Unione Europea.
  9. Cfr. “Metodologia dei metodi e metodologia dei risultati. Per una riforma dell’art. 12 delle preleggi al codice civile” di Angelo Costanzo, in www.giustiziainsieme.it, 01/09/2021.
  10. Nel linguaggio giuridico, la ratio è propriamente lo spirito della legge, il comando intrinseco alla norma, e quindi lo scopo ultimo cui essa tende.
  11. Cfr. “Il primato del Diritto dell’Unione Europea: un principio “italiano” di Alberto Monari, in Kultunderground n.314-OTTOBRE 2021, rubrica Diritto
  12. In relazione ai soggetti che la compiono l’interpretazione può essere: a) giudiziale, se compiuta dal giudice nell’esercizio della sua funzione giurisdizionale. Tale interpretazione vincola solo le parti del giudizio; b) dottrinale, se compiuta, senza alcuna forza vincolante, dagli studiosi delle materie giuridiche; c) autentica, se è compiuta dal legislatore, che emana talvolta alcune norme per chiarire il significato di disposizioni preesistenti.
  13. Il numero indicato potrebbe sembrare l’esagerazione di un comune modo di dire, ma per Lombardi Vallauri, in op. cit. pag.57, esisterebbero “144 modi diversi d’interpretare una norma giuridica”, combinando, e moltiplicando fra loro i diversi metodi interpretativi.
  14. Non ci si occupa delle molteplici interpretazioni, spesso ingenue o “arbitrarie” di chi, inesperto, non sappia vedere il testo della norma inserito in un sistema.
  15. L’interpretazione ha anche fini esecutivi ed applicativi da parte dell’avvocato, del funzionario, del tecnico ecc. dove la conoscenza della norma è finalizzata a redigere un atto giudiziale, a prendere una decisione, a progettare nel rispetto delle norme ecc.
  16. Dal termine greco τέλος, che significa “fine”, “scopo”, o “obiettivo”). Il termine “telos“, usato talvolta da filosofi come Aristotele, è la radice etimologica del termine “teleologia”, che indica lo studio dell’intenzionalità, ma anche degli oggetti in funzione dei loro obiettivi, oppure degli obiettivi stessi. Fonte Wikipedia.
  17. Corte Suprema di Cass. Civ. Sez. III, sent. n. 3550 del 21-05-1988.
  18. Scire leges non hoc est verba earum tenere, sed vim ac potestatem” (D. libro 26° 1,3,17. Celso). Il Digesto (latino Digesta o Pandectae) è una compilazione in 50 libri di frammenti di opere di giuristi romani realizzata su incarico dell’imperatore Giustiniano I. Promulgato il 16 dicembre 533 D.C. con la costituzione imperiale bilingue Tanta o Δέδωκεν, entrò in vigore il 30 dicembre dello stesso anno. Il termine “digesto” deriva dal latino “digestus”, participio perfetto del verbo “digerere”: “disporre classificando gli argomenti in modo ordinato”; i “Digesti” sono detti anche “Pandette“, dal greco “πανδέκται”, “onnicomprensivi, riguardanti qualsiasi materia”, per indicarne la completezza. Fonte Wikipedia.

Commenta