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C’era una volta un computer – Gianluigi Zuddas

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Nonostante il cinema di Matrix o Minority Report (anche nonostante La Guerra dei Mondi) la fantascienza rimane un genere con un seguito piuttosto limitato. Spesso la si può considerare letteratura di nicchia. Più di nicchia di quanto lo sia l’horror e normalmente anche il fantasy. Perciò – almeno per me – è sempre piuttosto positivo scoprire l’uscita di un nuovo testo (italiano) di questo settore – perché di libri di SF ce ne sono troppo pochi in circolazione. Fateci caso.
E questo libro – edito da Larcher Editore (lo stesso, per intenderci, di Nelson&Willer) – ha anche il pregio, tutt’altro che automatico, di essere MOLTO interessante, almeno se siete cultori di una fantascienza più “classica” di quella di – esempio – A scanner darkly.
Ma facciamo un passo indietro. Anzi, due.
Quello più “indietro” (già sottolineato in altre occasioni) è che chi scrive è “colluso” con l’Editore. Ve lo ricordo, nel caso ve lo foste dimenticati (o non vi foste soffermati su altri articoli in cui era specificato). Colluso in che senso, vi chiedete? Colluso, vi rispondo. Punto. Quindi se volete smettere di leggere la recensione ora fate pure. Oppure, se siete persone sospettose a cui di solito “non la sì fa”, magari potete prepararvi mentalmente a fare un “diviso due” o anche un “fratto quattro” (a vostra discrezione) sull’attendibilità delle mie affermazioni. Così che se dovessi sostenere (come farò) che il libro è bello, allora vi sia facile tradurre che il libro “almeno si legge”, o se dicessi che lo stile è coinvolgente (idem), possiate immaginare, se preferite, che la verità è che l’autore probabilmente si limita  a non fare errori grossolani nella creazione dei periodi.
Ma, attenzione, l’altro passo indietro di cui parlavo prima, è che – un attimo – l’autore di questo romanzo di quasi cinquecento pagine è Gianluigi Zuddas – ovvero il papà letterario di opere come Amazon o Balthis l’Avventuriera (Edizioni Nord…) vincitore (anche si parla di anni fa) di un Premio Italia e un Premio Europa e traduttore (esempio) di Le torri di Darkover o di L’ultima cospirazione. Quindi, se non volete dare il beneficio d’inventario a ME (comprensibile) forse potrete comunque concederlo a LUI… ma, come si dice, it’s up to you.
Io nel frattempo mi limiterò a sottolineare come questo sia il primo romanzo NON “smaccatamente” fantasy di questo autore, anche se un minimo di (gradevole) contaminazione di generi la si può riconoscere con facilità. Non perché nell’anno 324 dopo l’Apocalisse ci siano elfi o draghi, ma perché il futuro immaginato da Zuddas è un futuro “decadente” simil-medioevale, in cui la tecnologia è (quasi) “bandita” e/o dimenticata per motivi (in parte) religiosi – tanto da sembrare a volte magia, perché ci sono spunti che riguardano il concetto di “razze”, perché c’è un imperatore e una classe nobiliare, perché ci sono eroi, eccetera eccetera eccetera.
Ma tutti questi aspetti non nascondono la parte più SF del tutto, piuttosto ne esaltano i contorni, fornendo uno spessore autonomo ad una ambientazione complessa e ricca. E così, se è facile immaginarsi Thalli (l’inizialmente ingenua protagonista “svedde”) e le sue compagne, ed essere attratti dal suo comportamento, seguendo con coinvolgimento la parte “d’azione”, è impossibile non rimanere catturati dallo schema più ampio in cui tutto si muove, appena questo inizia a rivelarsi. Appena personaggi “meno lineari” svelano, più o meno volontariamente, le parti “misteriose” – che porteranno dalla terra post-bellica fino ad Alfa Centauri.
Lo stile (ma ve l’avevo già anticipato :-)…) è più che accattivante. E, complici i dialoghi – in cui si riconosce l’esperienza dell’autore, le scene d’azione – che seguono meccanismi rodati, in qualche modo cinematografici, si “divorano” le pagine con facilità, in un crescendo calibrato che non si gioca tutto sui colpi di scena, quanto più sullo svelare, sul comprendere la notevole struttura degli eventi.
Forse ha un retrogusto troppo classico rispetto a ciò che apprezzo in questo genere letterario e ha un titolo che (anche se pertinente) ritengo troppo poco incisivo per un testo così. Ma è uno di quei libri che sono piuttosto stupito di trovare a catalogo di un editore volenteroso, ma “piccolo”, e non di una casa editrice più grossa. Perché, dalla storia, all’organizzazione formale, alla cura nell’editing, qui tutto sembra in zona lusso. E se è dipeso più da quanto è stato in gamba nella scelta Fabio Larcher, o, come è possibile, piuttosto dal fatto che la SF (anche quella buona) viaggia in gran parte fuori mercato, non so davvero dirlo.
Fatto sta che “C’era una volta un computer” a me ha ricordato alcune cose di Clarke o di Knight. E vi sfido a contraddirmi…

P.S. giacché il libro costa – e di me (colluso!) non ci si deve fidare – se siete almeno curiosi vi invito ad andare qui e leggere l’incipit del libro (gratuitamente) in formato PDF.

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