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78a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica – Venezia 2021

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Edizione 2021, ancora con Covid, ma con vaccini e green pass.

Rispetto all’edizione precedente, si è ritornati alle soglie della normalità. Le presenze, in questa edizione sono state decisamente consistenti. I numeri lo dicono: 12.800 accrediti rilasciati nelle edizioni standard, 6.900 l’anno scorso, 9.800 quest’anno, con il doppio di biglietti venduti al pubblico, rispetto al 2020 (più di 20.000 biglietti, in linea con le edizioni precedenti). Ed inevitabilmente il sistema, ad inizio Festival è andato in crisi, a fronte del ridimensionamento dei posti in sala del 50%, in linea con l’edizione precedente. Il sistema a prenotazione, che nell’edizione precedente non aveva creato problemi, ad inizio di questo Festival ha mandato in crisi un po’ tutti, con sale esaurite nell’arco di 10 secondi dallo sblocco prenotazioni, impossibilità di assistere alle proiezioni, ed inquietudine all’eventualità di dover abbandonare rapidamente il Festival non riuscendo a coprire i singoli momenti. Poi, come ormai prassi consolidata, dopo il primo weekend, la situazione è migliorata, e l’irritazione collettiva è scemata. Il sistema delle prenotazioni comunque funziona, e come avevo già evidenziato nell’edizione precedente, consente indiscutibilmente dei vantaggi, evitando code inutili ed irritanti discussioni di ogni genere fra i fruitori delle sale. In breve, è auspicabile che non si torni più indietro, e che con il ritorno al 100% dei posti in sala, le problematiche riscontrate in questa edizione non si ripetano. A difesa dell’organizzazione del Festival, va anche ricordato che si sperava, come era successo al Festival di Cannes a luglio, di avere la disponibilità totale dei posti, negata poi dalle disposizioni del nostro governo. Ridimensionamento e distanzimenti con mascherine in sala che, dal punto di vista fronte contagi, comunque è risulto vincente avendo registrato solo due casi di positività, a differenza dei focolai più o meno dichiarati al Festival di Cannes.

Passando alle valutazioni sull’aspetto artistico del Festival di quest’anno, penso che sia stata probabilmente l’edizione migliore a cui ho assistito nella mia ormai ventennale presenza qui al Lido. Forse dovuto ad un mio approccio psicologico differente alle pellicole, dovuto alla necessità, visto le difficoltà organizzative precedentemente illustrate, di non poter fare troppe scelte nel selezionare le opere da visionare, e quindi essere già soddisfatto nel poter accedere alle proiezioni, cosa che non mi ha comunque impedito l’accesso all’intero percorso classico del Concorso Ufficiale ed alla Sezione Orizzonti. In ogni caso esco veramente soddisfatto dall’edizione di quest’anno, avendo assistito a film, tranne rarissime eccezioni, veramente interessanti e di qualità.

Partendo dalle delusioni, due film su tutti, ed entrambi italiani: “America Latina” (Concorso Ufficiale), ennesimo viaggio dell’incubo nella periferia extra-romana, dei fratelli Fabio e Damiano D’Innocenzo e “Il Paradiso Del Pavone” di Laura Bispuri (Sezione Orizzonti), imbarazzante rappresentazione di un ritrovo familiare, entrambe le pellicole indiscutibilmente sbagliate, al netto del pregiudizio fin troppo severo a cui sono solitamente poste le pellicole nazionali qui al Festival. Confusionarie e di difficile interpretazione sono le parole meno offensive che mi vengono in mente per descriverle… Il cinema italiano è comunque uscito bene da questa edizione, indipendentemente dai premi che, al di là dell’importanza cui possiamo dare, rappresentano una legittimazione dello stato delle cose. Paolo Sorrentino con “È Stata La Mano Di Dio” ha giustamente vinto il Leone d’Argento perché un’opera intima, autobiografica, girata nel suo stile e piena di passione. Giustamente, anche perché ritengo legittimo che il Leone d’Oro sia andato al cinema francese con il film “L’Événement” di Audrey Diwan, che, mai come in questa edizione, ha proposto una serie di pellicole veramente notevoli ed interessanti, che li ha portati a vincere anche nella Sezione Orizzonti. Ma per completare il discorso sul cinema italiano, il premio Marcello Mastroianni a un giovane attore o attrice emergente assegnato a Filippo Scotti, protagonista del film di Sorrentino, è assolutamente corretto per aver dato corpo ed anima all’adolescenza del regista napoletano. Il Premio Speciale della Giuria a “Il Buco” di Michelangelo Frammartino è un riconoscimento, che al di là delle considerazioni che si possono fare sul tipo di pellicola (un omaggio alla Calabria ed alla speleologia degli albori), premia la qualità artistica e cinematografica di un regista, che negli anni ha dimostrato le proprie capacità e il cui difetto maggiore è di essere semmai poco prolifico. Per gli altri due film italiani in Concorso, Mario Martone con “Qui Rido Io”, ci ha proposto, nello stile che lo contraddistingue, un’interessante pellicola sulla figura di  Eduardo Scarpetta e la sua fondamentale influenza, sia artistica che fisica, sul teatro napoletano, capostipite di una generazione di artisti (i fratelli De Filippo), che hanno fatto la storia del teatro e del cinema nazionale. L’ultimo film italiano in Concorso, “Freaks Out” di Gabriele Mainetti, ha portato sullo schermo un “Marvel storico” dove i supereroi sono in realtà “freaks” emarginati che combattono i nazisti. Prodotto spettacolare, con effetti grafici notevoli, anche ben costruito in alcune sue parti, ma che alcune trovate futuribili un po’ ingenue e sequenze eccessivamente dilatate ne hanno fatto perdere la forza che aveva, ad esempio, il suo precedente film “Lo chiamavano Jeeg Robot”, al quale è impossibile non rifarsi, visto che il regista stesso lo cita nei crediti finali, pellicola più centrata nella realtà criminale periferica romana sulla quale si inseriva l’originale accostamento al tema del supereroe. Ed il giudizio su questa pellicola non può che non essere influenzato anche dall’accostamento con un altro film visto in Concorso quest’anno, uno dei miei preferiti al netto dei francesi, “Kapitan Volkonogov Bezhal (Il Capitano Volkonogov È Scappato)” di Natasha Merkulova e Aleksey Chupov, anche questa pellicola storica e ricca di effetti grafici che ricostruisce la San Pietroburgo del 1938, in cui si muove il servizio di sicurezza nazionale (NKVD) ed il regime di oppressione stalinista, e dove l’antieroe Capitano Volkonogov fugge alla ricerca di un impossibile perdono ai crimini commessi. È innegabile che il Concorso abbia premiato una sorta di quote rosa, al di là del Leone d’Oro strameritato da “L’Événement”, pellicola di ambientazione storica (Francia del 1960) che rilancia però un tema tornato attuale soprattutto per le posizioni conservatrici di alcuni paesi dell’area est europea, quello dell’aborto. I premi a Jane Campion per la Migliore Regia (“The Power Of The Dog”, western a sfondo omosessuale) e a Maggie Gyllenhaal per la Migliore Sceneggiatura (“The Lost Daughter”, storia di una madre nella difficoltà di crescere le proprie figlie), sono parzialmente giustificabili solo se valutati sulla base dell’ambito tecnico di riferimento (regia e sceneggiatura), meno sul valore intrinseco delle pellicole. Anche la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile a Penélope Cruz per il film di Pedro Almodóvar “Madres Paralelas”, mi ha lasciato più di qualche dubbio, sicuramente era più meritato il premio ad Anamaria Vartolomei, l’attrice di “L’Événement”, non riconoscimento comunque compensato parzialmente dal Leone d’Oro. Penélope Cruz vince probabilmente anche per essere la protagonista in un altro film in Concorso, “Competencia Oficial”, divertente pellicola di Gastón Duprat e Mariano Cohn, la cui interpretazione risulta essere anche più efficace rispetto al film di Almodóvar.

Il discorso Penélope Cruz nei film di Almodóvar sarebbe un discorso lungo e da approfondire. Personalmente ritengo che in realtà Penélope Cruz penalizzi i film di Almodóvar, attrice “ingombrante” che non riesce a restituire a pieno i tipici e fondamentali personaggi femminili protagonisti delle storie del regista spagnolo, come riuscivano invece Carmen Maura, Cecilia Roth o Marisa Paredes.

A compensare il discorso quote rosa, direi che il peggiore film visto in Concorso è stato “Mona Lisa and the Blood Moon” di Ana Lily Amirpour, pellicola con trama da B-Movie infarcita di musica e cultura contemporanea che strizza l’occhio ad un pubblico adolescenziale da blockbuster. Per gli altri premi del Concorso Ufficiale, la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile è andato a John Arcilla nel film filippino “On The Job: The Missing 8” di Erik Matti, pellicola che ricostruisce eventi realmente accaduti nella corrotta politica filippina contemporanea. Fra le altre interessanti pellicole visionate nel Concorso Ufficiale, da segnalare il film polacco “Żeby Nie Było Śladów (Non Lasciare Tracce)” di Jan P. Matuszyński, storia ispirata a fatti realmente accaduti nella Polonia del 1983, il caso di Grzegorz Przemyk, uno studente liceale picchiato a morte dalla milizia.

Come già anticipato, livello comunque molto alto all’interno di tutte le sezioni del Festival, con il cinema francese in grande forma. Per citare alcuni titoli d’oltralpe, due pellicole nel Concorso Ufficiale, “Un Autre Monde” di Stéphane Brizé, che chiude con questa pellicola la “trilogia sul lavoro”, sempre con protagonista il suo attore feticcio Vincent Lindon e le “Illusions Perdues” di Xavier Giannoli che attraverso il romanzo di Balzac ci riporta lo spirito del suo tempo incredibilmente così vicino alla modernità dei nostri giorni. Nella Sezione Orizzonti “À Plein Temps” di Eric Gravel meritato premio per la Migliore Regia e per la Migliore Attrice alla straordinaria protagonista Laure Calamy, pellicola che riporta al centro della vicenda le problematiche che deve affrontare quotidianamente una madre single lavoratrice. Sempre nella Sezione Orizzonti “Les Promesses” di Thomas Kruithof con Isabelle Huppert nel ruolo di un sindaco di una città vicino a Parigi che deve fare i conti con la propria integrità politica, e “Ma Nuit” di Antoinette Boulat che segue nel viaggio di una notte nel cuore di Parigi una ragazza alle prese con il dolore di una perdita. Fuori Concorso “Les Choses Humaines” di Yvan Attal, che affronta il tema dello stupro, del potere sociale, dell’area grigia del consenso, dei social media, delle aule giudiziarie e di tutto quello che coinvolge vicende di questo tipo, drammaticamente sempre più presenti nella nostra società contemporanea.

Per terminare, i premi della Sezione Orizzonti, oltre al già citato “À Plein Temps”, sono stati assegnati a “Piligrimai (Pilgrims)” di Laurynas Bareiša (Lituania) (Premio Orizzonti per il miglior film), a “El Gran Movimiento” di Kiro Russo (Bolivia, Francia, Qatar, Svizzera) (Premio Speciale della Giuria Orizzonti), a Peter Kerekes, Ivan Ostrochovský (Premio Orizzonti per la migliore sceneggiatura) per il film “Cenzorka (107 Mothers)” di Peter Kerekes (Repubblica Slovacca, Repubblica Ceca, Ucraina), e a Piseth Chhun (Premio Orizzonti per il miglior attore) nel film “Bodeng Sar (White Building)” di Kavich Neang (Cambogia, Francia, Cina, Qatar).

Infine da segnalare un’interessante pellicola Fuori Concorso, “Django & Django” di Luca Rea, che attraverso materiali di archivio ed interviste ai protagonisti, soprattutto quella a Quentin Tarantino, ricostruisce la figura di Sergio Corbucci e di una importante epoca del cinema italiano. In questo modo si assiste contemporaneamente ad un omaggio un grande regista del passato (Sergio Corbucci) e un grande regista contemporaneo (Quentin Tarantino), che ci illustra meravigliosamente perché Sergio Corbucci è da considerarsi indiscutibilmente “il secondo miglior regista di western italiani”.

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