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Intervista con Heat Fandango

7 min read

Gli Heat Fandango sono Tommaso Pela, Marco Giaccani e Michele Alessandrini, provenienti da una lunga militanza in varie band della scena rock underground marchigiana: Lush Rimbaud, Jesus Franco and the Drogas, NewLaserMen, Beurk!. “Reboot System”, in uscita per Bloody Sound Fucktory e Araghost Records, è il loro album d’esordio.

Registrato dalla band tra marzo e maggio 2020 “a distanza” – ognuno in casa propria, condividendo le singole tracce, successivamente mixate e masterizzate al VDSS Studio di Frosinone da Filippo Strang – il risultato sono nove brani rock underground caratterizzati da acide e decadenti venature blues e da un piglio garage punk che sfocia in un sound ruvido, diretto, essenziale: tappeti sonori di una vecchia Farfisa riesumata da uno sperduto mercatino delle pulci, riff incalzanti di chitarra e una ritmica ossessiva accompagnano storie di vissuto quotidiano, di nevrosi, di voglia di riscatto, cantate con disincanto, o urlate con la rabbia di chi, come tutti noi, vive questo presente claustrofobico. The Fall, Gallon Drunk, Suicide, Lydia Lunch, Soft Boys, Thee Oh Sees, solo per citare alcune coordinate, peraltro rielaborate in maniera assolutamente personale.

Nove tracce che fotografano la necessità di recuperare il tempo perduto, l’urgenza di non restare immobili.

“Reboot System”: riavviare il sistema e ripartire in una nuova direzione.

Tracking list:

Reboot System / Controlled / Hard Nite / Guilty / Here They Come / Jungle Fighting / C’mon Babe / Feelings / I Wish You

Peyote Press

Intervista

Davide

Come nascono gli Heat Fandango e con quali obiettivi artistici? E perché avete scelto di richiamare nel nome della band l’antica danza e musica spagnola del fandango?

Heat Fandango

Heat fandango è un progetto che nasce in modo naturale, per osmosi direi. Noi tre – Marco, Tommaso, Michele – ci conosciamo da sempre e abbiamo militato per lunghi anni, assieme a David, nei Lush Rimbaud. Quando si è deciso di mettere in stand by quel progetto, ci siamo presi una pausa di un paio d’anni, in cui abbiamo fatto altro. Poi un bel giorno ci siamo visti e ci siamo detti che avevamo ancora voglia di avere una band, ci è sembrato naturale cercare di coinvolgere anche David, ma la sua scelta è stata un altra, che ovviamente rispettiamo. Il nostro modo di fare musica è lo stesso di prima, figlio dei nostri ascolti, delle nostre storie, della provincia che viviamo. E forse proprio per fuggire da quella provincia che soffoca, ieri come oggi, continuiamo a guardare oltreoceano, come abbiamo sempre fatto da quando ascoltiamo musica. Non è mancanza di rispetto verso la musica italiana, ma una questione di linguaggio ed estetica del fare musica. Essere diretti e senza fronzoli: volume, intensità, sudore. È così che cerchiamo di esprimerci. Più che con le parole o con i testi. Questa è la storia, senza tanto romanzare. Ah, il nome. Era la password di un indirizzo mail, suonava bene.

Davide

Creare e registrare musica “a distanza”, invece che trovandosi e provando con il gruppo, è stata un’esperienza interessante, stimolante, o viceversa, oltre che una obbligata necessità?

Heat Fandango 

Registrare è già di per sé un processo estremamente personale, e ognuno di noi ha un rapporto personale, più o meno conflittuale con esso. Registrare vuol dire mettersi a nudo, già di per sé è difficile, e farlo da soli, senza un orecchio esterno, è un arma a doppio taglio. Da una parte riesci a mantenere un’intimità che in studio non esiste. Però devi essere molto sicuro di quello che fai. Noi avremmo volentieri fatto a meno di dover registrare così. Prima c’è il palco, poi viene lo studio, ma quando lo studio sei tu da solo, allora diventa dura. Almeno così è per noi. Però avevamo voglia di fissare un momento, sia storico che personale. Si poteva farlo meglio? Probabilmente sì, ma non importa. Andava fatto adesso.

Davide

Perché il “reboot”, che oltre a essere il riavvio del computer, o meglio del “sistema”, è anche la riedizione di una fiction con la totale o parziale riscrittura degli eventi avvenuti nella saga originaria?

Heat Fandango

Beh, direi che è abbastanza palese. Dopo 2 anni di pandemia, con tutti gli scienziati degni di questo nome che ci ricordano quanto poco manchi a mandare a puttane l’intero pianeta, in un mondo in cui abbiamo già consumato quasi tutte le risorse disponibili, e portato all’estinzione più o meno tutto, c’è solo da staccare la spina e riavviare il sistema. C’è un generale senso di disgusto per come vanno le cose, forse è la narrazione a rendere il tutto ancor più insopportabile, ma fa anch’essa parte del gioco. Detto questo, Reboot System, riavviare il sistema, è quello che si fa quando ci sono poche altre cose da fare, quando le hai provate tutte ma continua a non funzionare.

Davide

Di cosa parlano i testi e qual è il tema che li accomuna?

Heat Fandango

I testi sono pezzi di vita di tutti i giorni, riflessioni, sogni, visioni. Parlano della voglia di riscatto, del senso di fallimento, di sbornie, di amore, di solitudine. Nascono in questo preciso momento storico, quindi ne sono influenzati. Il messaggio alla base del disco credo sia la voglia di uscire da questo brutto momento, ripartire. È un disco fatto di pancia, istintivo, e i testi seguono questo mood.

Davide

Chi ha realizzato la copertina, con i cosmonauti sovietici, quelli di un famoso poster in cui venne scritto “Gloria alla patria degli eroi”? Perché  sui loro caschi avete scritto HEAT invece dell’originale sigla cirillica CCCP? Dove si trova quell’obelisco, di che città si tratta? Sembra qualcosa tra la Russia e l’Iran? Insomma, cosa volevate rappresentare?

Heat Fandango

La copertina è un lavoro dell’illustratore Salvatore Liberti e nasce da alcuni suoi scatti fatti in Armenia e Georgia. Gli edifici ormai abbandonati, gli spazi enormi, i monumenti un tempo grandiosi sono le macerie di un mondo in rovina, la fotografia della fine di un era. I cosmonauti sono anch’essi esempio di quell’immaginario, ma sembrano guardare oltre. Credo che ognuno possa vederci ciò che vuole, sono immagini potenti, che invitano a riflettere, ma anche molto delicate, melanconiche. Il disco è legato a un’idea di rinascita: devi avere ben chiaro in mente ciò che stai perdendo, bello o brutto che sia, per decidere in che direzione andare.

Davide

Nella strumentazione c’è dunque un vecchia tastiera Farfisa riesumata da uno sperduto mercatino delle pulci. Io ne ebbi una ormai quarant’anni fa, una Gulliver. Perché avete deciso, in un’epoca di ben altre possibilità digitali, di usare appunto questa vecchia tastiera Farfisa con quelle sue precise e limitate sonorità?

Heat Fandango

Per le registrazioni è stata usata una Farfisa Matador del 78, le parti di batteria sono invece state realizzate con una Roland 707 del 85. Da nativi analogici quali siamo preferiamo sicuramente usare questo tipo di strumentazione: hanno una loro spiccata personalità, un sound che può piacere o meno, ma ti caratterizza. Le limitazioni ci sono, ovviamente: connettività, dimensioni, versatilità, pezzi di ricambio. Ma è un po’ come andare in giro in vespa: frena poco, va piano, la miscela devi farla tu… ma chi ancora ci va in giro la adora.

Davide

Il gruppo ha una attitudine garage punk. Quali sono i vostri riferimenti, quelli ai quali vi accostereste di più, idealmente, come “Heat Fandango”?

Heat Fandango

Si, l’attitudine è quella, sicuramente il suono della Detroit anni ’70 tipo MC5 e Stooges, ma anche band come Suicide, Jon Spencer Blues Explosion, Oneida, Gallon Drunk. Tra le band di oggi ascoltiamo volentieri Fontaines D. C., Squid, Idles. Tra gli italiani cito Fuzz Orchestra, Movie Star Junkies e Gentlemens.

Davide

Ezio Bosso disse che “la musica ci insegna la cosa più importante: ascoltare”. Cos’è per voi la musica e qual è per voi il suo compito oggi nella società? Quale la cosa migliore che vi ha insegnato?

Heat Fandango

La musica è qualcosa di salvifico. Se hai rabbia da buttar fuori, o ti senti solo, se vuoi festeggiare, o soltanto fischiettare qualcosa sotto la doccia, la musica è lì che ti accontenta. Come Heat Fandango la musica per noi è il live della tua band in un locale fumoso e pieno zeppo di gente, una sorta di rito collettivo che purtroppo manca come il pane da almeno 2 anni, anche se poi va detto che negli ultimi anni, pandemia a parte, di situazioni del genere ne abbiamo viste e vissute poche. La speranza è che si possa tornare presto sia sopra che sotto ai palchi.

Davide

Cosa seguirà?

Heat Fandango

Difficile fare previsioni, vediamo cosa ci riserva il futuro.

Davide

Grazie e à suivre…

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