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Dal Next Generation Europe al Recovery Plan Italia: ecco il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza

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«Gli antichi connotavano il gesto di tentare di risalire sulle imbarcazioni rovesciate con il verbo resalio. Forse il nome della qualità di chi non perde mai la speranza e continua a lottare contro le avversità, la resilienza, deriva da qui»
(Pietro Trabucchi)

Lo scorso 12 gennaio, il Governo italiano ha approvato il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza[1], documento con il quale si indicano le azioni concrete che saranno finanziate con i 209 miliardi di euro provenienti dall’Unione Europea.
Al di là dei nomi usati, in attesa che il programma ottenga l’avallo del Parlamento per essere poi presentato alla Commissione Europea entro il prossimo 30 aprile, ritengo sia importante conoscere e far conoscere i suoi contenuti per conoscere l’entità delle risorse che stanno per arrivare e capire quali saranno i settori e le attività che fungeranno da volano del sistema Italia.

Dal Next Generation Europe al Recovery Plan Italia

Sicuro e fortunoso frutto del lungo periodo pandemico che stiamo ancora vivendo è stato il crearsi, seppur faticoso e non indolore, di un compatto fronte unico grazie al quale stati membri e istituzioni dell’Unione Europea hanno dato prova di essere ancora in grado di adottare provvedimenti coraggiosi improntati agli originari valori della solidarietà e sussidiarietà superando le miopi visioni egoistiche e nazionalistiche per puntare sulla coesione del sistema unionista.
Se la crisi economica del 2008 fece chiudere a riccio i governi europei e non permise loro di rispondere in maniera eroica alle necessità emergenti, ora il covid, forse anche sulla scia della Brexit, ha invece suscitato una reazione esemplare di sostegno differenziato per i paesi colpiti.
Molti gli strumenti dai nomi evocativi, enormi le risorse stanziate, articolate le procedure di reperimento ed erogazione, ancora in via di definizione le modalità di controllo e verifica dell’effettività degli interventi, ma cerchiamo di fare chiarezza su alcuni elementi fondamentali.
Da subito si è parlato di Recovery Fund, il fondo per la ricostruzione, una sorta di novello piano Marshall per uscire dalle macerie della guerra al virus, ma rapidamente le istituzioni di Bruxelles hanno modificato la propria ottica e, anche per trasmettere un positivo messaggio, hanno scelto la denominazione Next Generation Europe.
Il programma Next Generation Europe con i suoi 750 miliardi di euro è lo strumento base per portare sostegno ai paesi membri dell’UE per costruire insieme l’Europa della “prossima generazione”.
Quindi non un semplice fondo per finanziare la ricostruzione ma un meccanismo per gettare le basi sulle quali edificare una nuova Europa.
Tali risorse, insieme agli oltre 1.000 miliardi di euro del Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027, il bilancio settennale dell’Unione, costituiscono la dotazione del Recovery Plan Europe per un totale di 1.800 miliardi!
Da tale borsa, all’Italia arriveranno circa 209 miliardi di cui 81 in finanziamenti a fondo perduto e 127 in prestiti da restituire. Tutte risorse da impiegare comunque in investimenti strutturali entro il 2026.
Lo strumento quadro per presentare alla Commissione Europea come sarà utilizzata questa importante dote ha preso il nome di Recovery Plan Italia o, tecnicamente, Piano Nazionale per la Ripresa e Resilienza (PNRR).

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza

Ci sarebbe molto da dire sulla scelta del nome dato al documento: da una parte si torna al concetto di “ricostruzione”, recovery, con uno sguardo al passato, dall’altro invece si sprona alla “ripresa e resilienza”. Purtroppo, in entrambi i casi si è perduto il riferimento al futuro, alle prossime generazioni.
Al di là di questi commenti, però, vediamone insieme i dettagli.
Innanzitutto, dobbiamo ricordare che il documento redatto dal Governo ora dovrà essere approvato dalle Camere per poi essere presentato alla Commissione Europea entro il prossimo 30 aprile.
Passaggi fondamentali e non scevri da possibili inciampi che potrebbero compromettere la regolare erogazione dei fondi.
Abbiamo già detto che degli oltre 200 miliardi, 81 saranno in sussidi a fondo perduto e 127 a titolo di prestito da restituire.
Il Governo ha individuato, d’accordo con le indicazioni provenienti dall’Europa, 3 assi strategici trasversali per l’impiego di tali risorse, vale a dire la digitalizzazione e innovazione, la transizione ecologica e l’inclusione sociale.
Priorità trasversali nazionali, invece, saranno la parità di genere, i rapporti tra generazioni e la coesione territoriale. Dunque, parole d’ordine Donne, Giovani e Sud da declinare poi in ognuna delle aree di intervento.
Alcuni numeri del piano italiano: 4 sfide di sistema, 6 missioni, 16 componenti, 47 linee di intervento, migliaia gli interventi dei singoli progetti.

Queste le sfide individuate:

  1. migliorare la resilienza e la capacità di ripresa dell’Italia;
  2. ridurre l’impatto economico e sociale della crisi pandemica;
  3. sostenere la transizione verde e digitale;
  4. innalzare il potenziale di crescita dell’economia e la creazione di occupazione.

Dette sfide andranno a declinarsi nelle missioni che rappresentano le aree tematiche strutturali per gli interventi, vale a dire:

  1. Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura;
  2. Rivoluzione verde e transizione ecologica;
  3. Infrastrutture per una mobilità sostenibile;
  4. Istruzione e ricerca;
  5. Inclusione e coesione;
  6. Salute.

I singoli progetti si inseriscono nelle componenti di ciascuna missione e sono stati selezionati secondo una valutazione della capacità di trasformazione dell’intervento sul contesto di riferimento e sul potenziale impatto sull’economia e il lavoro.
È interessante scorrere le componenti delle varie missioni per capire gli ambiti nei quali si svilupperanno i progetti.
La prima missione, alla quale sono destinati più di 45 miliardi di euro, prevede investimenti per la digitalizzazione e modernizzazione della pubblica amministrazione, innovazione e competitività del sistema produttivo, la promozione della cultura e del turismo.
Le maggiori risorse saranno finalizzate alla rivoluzione verde e transizione ecologica, seconda missione, con oltre 67 miliardi che finanzieranno progetti di agricoltura sostenibile ed economia circolare, energia rinnovabile, idrogeno e mobilità sostenibile, efficienza energetica e riqualificazione degli edifici, tutela del territorio e della risorsa idrica.
Alle infrastrutture per una mobilità sostenibile andranno 31 miliardi per l’alta velocità di rete e manutenzione stradale 4.0 nonché l’intermodalità e logistica integrata.
Settori chiave molto penalizzati dalla pandemia sono stati la scuola e la sanità, rispettivamente oggetti delle missioni 4 e 6.
Per l’istruzione e ricerca si stanziano 26 miliardi a sostegno del potenziamento delle competenze e del diritto allo studio e per accompagnare la transizione dalla ricerca all’impresa
Alla salute, invece, sono destinati solo 18 miliardi di euro per progetti di assistenza di prossimità e telemedicina e di innovazione dell’assistenza sanitaria.
La missione 5, dedicata a inclusione e coesione, avrà fondi per 21 miliardi per disegnare nuove politiche per il lavoro, creare modelli efficienti di infrastrutture sociali, avviare iniziative per famiglie, comunità e terzo settore, promuovere interventi speciali di coesione territoriale.

Le prospettive per la ripresa

Se l’ammontare delle risorse di cui avremo disponibilità per costruire la nostra “ripresa e resilienza” può generare ottimismo, vi sono però alcuni fattori che suscitano preoccupazioni circa la redazione del Piano, i suoi contenuti, la sua realizzazione.
Per quanto riguarda la sua formazione, da più parti si è sottolineato che priorità e interventi sono stati raccolti con modalità top down, da parte dei funzionari del Governo con scarsa partecipazione degli attori sociali coinvolti.
Questo ha fatto sì che il prodotto finale presentasse una vision abbastanza ingessata con poca anima e scarso ascendente.
Inoltre, la lettura d’insieme denota un programma disorganico privo di uniformità che rischia spesso di cadere nel “riformismo” (come nel caso della giustizia).
Per l’attuazione degli interventi, poi, la sfida sarà quella delle procedure di selezione delle concrete attività di realizzazione dei progetti e dei relativi provvedimenti di impegno delle risorse dal momento che, se i lavori potranno comunque concludersi entro il 2026, gli impegni di spesa dovranno essere assunti entro il dicembre 2023 che, per i tempi della burocrazia italiana equivale a dire “oggi”.
Senza parlare della previsione di una cabina di regia unificata che non cancella i dubbi di efficacia ed efficienza dello strumento tecnico.
Ma il nodo più importante da sciogliere è quello del termine del 30 aprile per presentare il documento definitivo alla Commissione di Bruxelles per l’approvazione definitiva e il trasferimento delle prime tranche di finanziamenti.
Termine questo veramente prossimo e prima del quale il Piano dovrà aver superato anche l’esame e il voto favorevole delle Camere.
I tempi sono strettissimi, l’occasione che abbiamo è unica: indubitabilmente dovremo tutti essere in grado di dare del nostro meglio per contribuire alla ripresa del Paese.

[1] Cfr. http://www.governo.it/sites/new.governo.it/files/PNRR_2021_0.pdf.

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