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Un certo numero di Deputati e Senatori…

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Non sempre cambiare equivale a migliorare,
ma per migliorare bisogna cambiare.
Winston Churchill

Non è, probabilmente, noto alla maggioranza dei cittadini che la versione originale della Costituzione italiana, nel testo che fu promulgato dall’Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947[1], prevedeva, agli art.56 e 57, che le Camere del Parlamento fossero composte da un numero “variabile” di Deputati e Senatori[2]. L’art.56 al primo comma recitava:
“La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto, in ragione di un deputato per ottantamila abitanti o per frazione superiore a quarantamila.”;
mentre l’art.57: “Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale.
A ciascuna Regione è attribuito un senatore per duecentomila abitanti o per frazione superiore a centomila.
Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a sei. La Valle d’Aosta ha un solo senatore.”
I Padri Costituenti ritennero necessario un numero di deputati e senatori, direttamente proporzionale al numero di abitanti, numero che fosse in grado di garantire un adeguato riconoscimento di tutti gli interessi del corpo elettorale[3].
I membri dell’Assemblea partirono dall’idea di eleggere, per rimanere alla Camera dei Deputati, poco più di trecento parlamentari in ragione della popolazione dell’epoca, in un rapporto di un deputato ogni centocinquantamila abitanti. Dal dibattito che ne seguì, si affermò la convinzione che fosse necessario un legame più stretto tra eletti ed elettori, facendo così scendere il rapporto numerico ad un deputato ogni centomila abitanti circa (permettendo tuttavia che fosse eletto un deputato anche per frazioni superiori a cinquantamila abitanti). Tale proporzione fu considerata ancora eccessiva e l’Assemblea Costituente stabilì che ad ogni seggio dovessero corrispondere ottantamila abitanti (aggiungendo un Deputato per frazioni superiori a quarantamila).
Per quanto riguarda, invece, il Senato della Repubblica, l’Assemblea ne definì la composizione prevedendo un minimo costituzionalmente garantito di sei Senatori a Regione (uno solo per la Valle d’Aosta) e definendo il rapporto di un Senatore ogni duecentomila abitanti.
Così nella prima legislatura, che durò dal 1948 al 1953, furono eletti 574 Deputati e 237 Senatori, nella seconda (1953-1958) 590 Deputati e 237 Senatori, nella terza (1958-1963) 596 Deputati e 246 Senatori.
In realtà, fin dal 1953 iniziò tra le forze politiche un lungo confronto circa l’entità del numero dei parlamentari di Senato e Camera, sullo sfondo del consolidamento della legge elettorale di tipo proporzionale, che assicurava a tutti i partiti, anche ai meno numerosi, una presenza in Parlamento, e non da ultimo in ragione dell’incremento demografico che si era verificato nel periodo postbellico, causa di costante aumento dei rappresentanti eletti.
Si giunse all’approvazione della legge Costituzionale n. 2 del 1963[4] che definì un quadro consolidato: il Parlamento si veniva costituzionalmente a comporre di due Camere che avevano, entrambe, un numero fisso di rappresentanti, pari a 630 deputati (rappresentativi di un rapporto di un deputato ogni gli ottanta/centomila abitanti) e 315 senatori (circa un senatore ogni centottantamila abitanti)[5]; venne anche equiparata la durata dei due rami del Parlamento, dato che prima di questa riforma, l’originario art.60 della Costituzione stabiliva una durata di 6 anni per il Senato e 5 anni per la Camera[6].
Dunque si cristallizzò una “proporzione matematica” che sembrava adeguata alle “esigenze” di “rappresentanza” di quegli anni, in particolare al rapporto “personale” che si sarebbe potuto instaurare tra eletto ed elettore, considerando i mezzi di comunicazione sociale e di occasione di contatto e interazione a disposizione all’epoca.
Nella seduta dell’8 ottobre 2019 la Camera dei Deputati ha approvato in seconda deliberazione, e quindi in via definitiva quanto all’iter parlamentare, la proposta di legge costituzionale A.C. 1585-B, che prevede la riduzione del numero dei componenti di ciascun ramo del Parlamento, modificando gli art. 56 e 57 della Costituzione, dagli attuali 630 deputati a 400 e dagli attuali 315 senatori a 200[7].
Le proposte di diminuzione del numero dei parlamentari tendono a godere di consenso popolare in Italia, ma in realtà non ci sono basi solide per stabilire qual è il “giusto” numero dei membri del Parlamento di ogni sistema istituzionale[8]. Di solito ciò che fa premio è l’affermazione, spesso urlata e scomposta, della riduzione dei costi della politica, anche se alla fine i risparmi che si potrebbero concretamente ottenere riducendo il numero dei parlamentari, tendono a essere trascurabili. Il vero problema è se la dimensione numerica degli organi parlamentari ha un effetto sul loro buon funzionamento. Ma questa è una domanda a cui è difficile trovare una risposta come dire “predittiva”.
In modo molto sintetico e limitato ci vogliamo soffermare sull’evidenza empirica esistente tra entità della popolazione di un Paese e numero di seggi parlamentari. Lo scienziato politico (e fisico di formazione) Rein Taagepera propose, in un articolo pubblicato nel 1972, una regola pratica spesso descritta come “legge della radice cubica”. Il “numero ideale” dei rappresentanti parlamentari di una nazione sarebbe corrispondente dalla “radice cubica” della popolazione. Così se un Paese ha 1 milione di abitanti, allora la sua Camera (bassa)[9] dovrebbe avere circa 100 membri (100 è la radice cubica di 1 milione), mentre se ne ha 10 milioni, il numero di deputati dovrebbe essere circa 215, e così via. Per quanto riguarda l’Italia, con una popolazione di circa 60 milioni di abitanti la “legge della radice cubica” suggerisce che la Camera dovrebbe avere circa 391 membri, un numero molto vicino al 400 proposto dalla riforma. Una “regola matematica” apparentemente adatta per Stati relativamente piccoli. Ad esempio, il Portogallo è un paese di 10,3 milioni di abitanti e quindi secondo la ‘legge’ dovrebbe avere 218 parlamentari. Ne ha 230, quindi molto vicino al valore teorico. La Spagna ha 46,7 milioni di abitanti e 350 deputati. Il numero teorico suggerito dalla legge è 360, quindi di nuovo molto vicino.
L’Italia fa parte di un gruppo di Paesi (che include Francia, Germania e Regno Unito) con un numero di Parlamentari nettamente superiore a quello predetto dalla “legge” di cui si tratta, prova che quando la popolazione supera i 50 milioni di cittadini la descritta teoria si rivela meno efficace. Per paesi di dimensioni molto grandi, come Brasile e Stati Uniti, il numero di deputati tende a essere nettamente minore della radice cubica della popolazione. Per esempio gli Stati Uniti d’America, con una popolazione di circa 327 milioni di persone, dovrebbe avere 689 deputati, mentre il numero reale è 435[10].
Dai suddetti dati non è possibile, tuttavia, concludere molto se non una semplice “correlazione empirica” e nemmeno che la dimensione numerica dell’organo parlamentare rispettosa di questa “legge”, porti necessariamente a benefici dal punto di vista della stabilità del sistema politico[11].
I punti di vista favorevoli o contrari alla riduzione di Deputati e Senatori sono entrambi legittimi e meritevoli di approfondimenti non superficiali, ma ci sembra di poter concludere che anche una eventuale riduzione dei numeri dei nostri Rappresentanti in Parlamento, non ci potrà condurre a situazioni pericolose o comunque imprevedibili[12]. Una riforma approvata “in ultima lettura da tutte le forze politiche in campo”, che prevede un Parlamento meno numeroso, ma con gli stessi poteri, con regolamenti e prassi di funzionamento rivisti ed adeguati al maggior peso “rappresentativo” dei singoli Deputati e Senatori, “non si comprende come possa causare un peggior funzionamento o un attentato alla democrazia”.
Anche in questa materia, il punto ci pare più di “qualità” che di “quantità”: la produzione legislativa attuale è costituita quasi al 70 per cento dal recepimento delle normative europee, mentre meno del 20 per cento dei provvedimenti è di iniziativa di Deputati e Senatori[13].
Le “competenze” degli eletti si potrebbero desumere da due indicatori: il titolo di studio e la conoscenza culturale. Nel 1948 i laureati alla Camera erano il 91.4 per cento mentre nel 2018 sono il 69.21, a fronte dell’aumentato livello medio di istruzione, in questo lungo arco di tempo, mentre le qualità culturali, e di conoscenze generali, dei “nostri rappresentanti” vengono evidenziate, spesso con molta ironia e sarcasmo dei commentatori, nelle dichiarazioni personali di parlamentari e/o membri del Governo, riportate dai mass-media.
I “metodi di selezione” rappresentano un fattore centrale a questo riguardo. Dal 1991 si è registrata una progressiva riduzione della possibilità di scelta dei cittadini, consolidando la tecnica elettorale delle “liste bloccate”, dove i partiti già individuano in partenza gran parte degli eletti, non riuscendo, così, a selezionare né i migliori politicamente né persone con solide competenze tecnico-professionali, e non essendo, al contempo, in grado di contrastare le infiltrazioni dei gruppi di interesse finanziario fuori controllo e delle organizzazioni criminali[14]. Nella competizione politica globale del XXI secolo, l’Italia non può davvero permettersi una classe politica nazionale che si improvvisi nei ruoli di Ministro o di Sottosegretario.
In base di queste considerazioni invocare l’efficienza parlamentare e la rappresentanza territoriale significa fare riferimento a “sacri principi” che purtroppo non trovano alcuna corrispondenza nella realtà attuale. Pertanto, il referendum che prevede la riduzione degli eletti potrebbe costituire un’occasione per poterli scegliere meglio.
Queste le ragioni per le quali è molto improbabile che la riduzione dei parlamentari possa generare grossi problemi. È, semplicemente, una riforma dagli effetti molto ridotti (se non nulli), che andrebbe completata rapidamente e senza ulteriori inutili spese.

La politica è l’arte di servirsi degli uomini
facendo loro intendere di servirli.
Louis Dumur

[1] Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 27/12/1947, n.298, con entrata in vigore il 1° gennaio 1948.

[2] Costituzione – Parte II – Ordinamento della repubblica – Titolo I – Il parlamento – Sezione I – Le camere: artt.55-69.

[3] L’obiettivo, d’altronde, memori dell’esperienza fascista, era quello di consentire il più possibile una larga, reale ed intensa rappresentanza politica. Cfr. F. CLEMENTI, Sulla proposta costituzionale di riduzione del numero dei parlamentari: non sempre «less is more», n. 2/2019. Disponibile in: http://www.osservatoriosullefonti.it .

[4] Legge Costituzionale 9 febbraio 1963, n. 2 “Modificazioni agli articoli 56, 57 e 60 della Costituzione” pubblicata nella GU n.40 del 12-2-1963.

[5] Veniva inoltre previsto anche un innalzamento del numero minimo dei Senatori spettanti a ciascuna regione, che passava da 6 a 7, confermando un solo senatore per la Valle d’Aosta e introducendone 2 per la neonata regione Molise (che si andava a costituire con la Legge Costituzionale n. 3 del 27/12/1963 alla luce della IV Disposizione transitoria della Costituzione “IV-Per la prima elezione del Senato il Molise è considerato come Regione a sé stante, con il numero dei senatori che gli compete in base alla sua popolazione”.

[6] Tecnicamente, questo periodo di tempo, tra una elezione e l’altra, viene definito “legislatura”.

[7] Il testo della legge costituzionale è stato approvato dal Senato della Repubblica, in seconda votazione, con la maggioranza assoluta dei suoi componenti, nella seduta dell’11 luglio 2019, e dalla Camera dei Deputati, in seconda votazione, con la maggioranza dei due terzi dei suoi componenti, nella seduta dell’8 ottobre 2019. Essendo mancata l’approvazione dei due terzi dei componenti nella seconda lettura della Camera, entro tre mesi dalla pubblicazione della legge un quinto dei membri di una Camera (alcuni dei quali avevano già votato a favore della riforma) hanno chiesto che si procedesse referendum popolare di conferma (art. 138, II e III comma Costituzione).

[8] Cfr. “Quota 600-La matematica non mente: ecco perché è giusto ridurre i parlamentari (anche se non ci governeranno meglio)” di Sandro Brusco, in www.linkiesta.it, 6 Agosto 2019.

[9] La camera bassa è una delle due camere di un parlamento bicamerale; l’altra è detta camera alta. Si parla di bicameralismo perfetto quando, come in Italia, le due camere hanno gli stessi poteri; di bicameralismo imperfetto quando, invece, una delle due camere ha più poteri dell’altra. In Italia la Camera dei Deputati è l’unica la cui elezione è aperta a tutti i cittadini di maggiore età, mentre la partecipazione alla elezione del Senato della repubblica (c.d. Camera alta) è limitata ai cittadini che hanno superato il venticinquesimo anno di età (art.56 e art.58 Cost.).

[10] Gli autori della Costituzione americana crearono un Congresso bicamerale, poiché desideravano che ci fossero due camere che si controllassero reciprocamente. Una delle due (la Camera dei rappresentanti) era intesa come “camera del popolo”, molto sensibile all’opinione pubblica. L’altra (il Senato) avrebbe dovuto essere un’assemblea di saggi più riflessiva e ponderata, che rappresentasse in modo eguale tutti gli stati. Ogni Stato degli Stati Uniti è, infatti, rappresentato in Senato da due membri, indipendentemente dalla sua popolazione; pertanto il Senato è attualmente composto da cento membri. Il Distretto di Columbia non ha rappresentanza. Fonte Wikipedia

[11] La Spagna, che pure ha un numero di deputati molto vicino a quello predetto dalla legge, non ha certo brillato ultimamente per stabilità di governo, e capacità del Parlamento, rieletto più volte a distanza ravvicinata, di sostenere un esecutivo.

[12] Cfr. l’opinione di Valerio Onida (già Giudice costituzionale e Presidente della Consulta dal 2004 al 2005, professore emerito di Diritto costituzionale all’Università Statale di Milano), riportata da “Il Fatto Quotidiano” del 25/8/2020 (https://www.ilfattoquotidiano.it/politica-palazzo/).

[13] Il ruolo dei parlamentari, marginale anche prima del 1994, oggi è ancora più residuale nella formazione del testo legislativo, affidato a volte a qualche indirizzo di partito, tanto alla mediazione delle lobby e gruppi di pressione e molto alle tecniche degli uffici legislativi. Cfr. “Sorpresa, il prof. Caligiuri vota per il taglio dei parlamentari. E spiega perché” di Mario Caligiuri in www.formiche.net 11/08/2020.

[14] Il sistema risulta affidato in esclusiva alle segreterie di partito, tanto che nel giugno del 2018 Beppe Grillo, a ridosso del trionfo elettorale del Movimento 5Stelle, aveva proposto di individuare gli eletti per sorteggio, come nell’antica Grecia.

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