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Disposizioni Anticipate di Trattamento, ovvero un “biotestamento” poco accessibile…

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Il più grande maestro di vita è il dolore.
Anatole France

Il concetto di salute, oggi, non è più inteso esclusivamente come antitesi dello stato di malattia, ma assume, come indicato anche dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, il significato più ampio di “stato di completo benessere psico-fisico”, calibrato anche, e soprattutto, in relazione alla percezione che ciascun individuo ha di sé, alle proprie concezioni di identità e dignità, nonché con un’idea di persona non in astratto, bensì valutata giuridicamente nelle sue reali e concrete sfumature. Il diritto alla salute e all’integrità psico-fisica è rimesso, dunque, in linea di principio, all’autodeterminazione del suo titolare: i trattamenti sanitari sono liberi. In base al secondo comma dell’art. 32 Cost.[1], infatti, nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario, se non nei casi stabiliti dalla legge[2].

Lo strumento attraverso il quale il diritto alla salute si concilia con il diritto alla libertà di autodeterminazione è il “consenso informato”. Per prestare un consenso pienamente informato l’interessato, capace di intendere e di volere, deve essere messo a conoscenza della patologia da cui è affetto, dei possibili sviluppi della malattia stessa, delle diverse opportunità terapeutiche e anche delle conseguenze e dei rischi di eventuali interventi terapeutici.

Dopo un lungo iter legislativo, il 14 dicembre 2017 è stato definitivamente approvata dal Senato della Repubblica la legge 22 dicembre 2017, n. 219, l’unica norma, presente ad oggi nell’ordinamento italiano, che si occupa di fatto della fase finale della vita di una persona[3].

Il nucleo centrale del provvedimento, conosciuto “giornalisticamente” come legge sul “testamento biologico”, pur non impiegando mai questa espressione, è rappresentato dall’art. 1, sul “consenso informato” e dall’art. 4, che disciplina le Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT).

Dunque, essendo il “consenso” fondamento di liceità e legittimità dell’attività medica, al legislatore è sembrato necessario non solo ribadirlo in una norma ordinaria, ma anche prevedere una accezione ampia del concetto, coinvolgendo tutti i soggetti protagonisti in campo: “2. E’ promossa e valorizzata la relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico che si basa sul consenso informato nel quale si incontrano l’autonomia decisionale del paziente e la competenza, l’autonomia professionale e la responsabilità del medico. Contribuiscono alla relazione di cura, in base alle rispettive competenze, gli esercenti una professione sanitaria che compongono l’équipe sanitaria. In tale relazione sono coinvolti, se il paziente lo desidera, anche i suoi familiari o la parte dell’unione civile o il convivente ovvero una persona di fiducia del paziente medesimo.[4]

Il legislatore continua nel comma III art.1, disponendo che ogni persona ha diritto di “…essere informata in modo completo, aggiornato e a lei comprensibile riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefìci e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonché riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell’eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell’accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi”. Non solo. Il co. III è di fondamentale importanza quando, nella sua seconda parte, afferma che ogni persona può anche rifiutare (in tutto o in parte) di ricevere le informazioni suddette, e/o indicando una persona di fiducia incaricata di riceverle e di esprimere il consenso in sua vece[5].

Il comma V dell’art.1 della legge riconosce ad ogni persona, capace di agire, il diritto di rifiutare (in tutto o in parte) “…qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico per la sua patologia o singoli atti del trattamento stesso…[6]”.

Al caso del rifiuto l’art.1, comma V, specifica che “…Ai fini della presente legge, sono considerati trattamenti sanitari la nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale, in quanto somministrazione, su prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici…”. Su questo aspetto alcuni giuristi, di orientamento cattolico, hanno parlato di “apertura all’eutanasia” operata dalla norma in esame. Per eutanasia, anzitutto, si intende la morte del paziente, desiderata dallo stesso (o da chi per lui) e procurata da una condotta con tale finalità. Pertanto, si può parlare di “eutanasia attiva” che consiste nella somministrazione di sostanze che causano il decesso del paziente, e di “eutanasia passiva” che invece si manifesta nel sospendere la somministrazione delle terapie che lo tengono in vita; in entrambi i casi il fine è provocare la morte del paziente, entro il più breve tempo possibile.

La legge 219/17 all’art.2, II comma, vieta l’accanimento terapeutico con questa espressione: “2. Nei casi di paziente con prognosi infausta a breve termine o di imminenza di morte, il medico deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure e dal ricorso a trattamenti inutili o sproporzionati. In presenza di sofferenze refrattarie ai trattamenti sanitari, il medico può ricorrere alla sedazione palliativa profonda continua in associazione con la terapia del dolore, con il consenso del paziente.”. La rinuncia all’accanimento terapeutico si situa al confine con l’eutanasia passiva, perché consiste nel rifiuto del medico (o anche del paziente se cosciente) di continuare le terapie in corso, ed è considerata “legittima” anche dal Catechismo della Chiesa Cattolica, perché il suo scopo finale non è la morte del paziente, ma lasciare che la malattia faccia il suo corso senza contrastarla con effetti peggiori per l’individuo, accettando che non la si possa più impedire[7]. Il combinato disposto di alcune norme della legge, consentirebbe, anche contro la volontà del paziente, di sottoporlo ad “eutanasia passiva” per sospensione della nutrizione e dell’idratazione che, sconsideratamente (o volutamente) secondo questa interpretazione, sono state esplicitamente definite “trattamenti sanitari” dal legislatore, proprio da consentirne, in taluni casi, la sospensione. Questa non comporta la conclusione del suo corso alla malattia, ma provoca, di fatto, il decesso del paziente per fame e sete[8].

I sostenitori della legge, d’altro canto, sottolineano che l’art.2 permette agli operatori sanitari, in caso di invalidità permanente e irreversibile, solo di ricorrere alla “sedazione palliativa profonda continua”, vietando ogni azione diretta a provocare la morte del paziente.

In ogni caso il comma V, art.1 L.219/17, conclude disponendo che : “…Qualora il paziente esprima la rinuncia o il rifiuto di trattamenti sanitari necessari alla propria sopravvivenza, il medico prospetta al paziente e, se questi acconsente, ai suoi familiari, le conseguenze di tale decisione e le possibili alternative e promuove ogni azione di sostegno al paziente medesimo, anche avvalendosi dei servizi di assistenza psicologica[9].

Il comma VII, art.1 della legge, dispone in particolare per quanto attiene, nello specifico, alla figura del medico: “nelle situazioni di emergenza o di urgenza il medico e i componenti dell’équipe sanitaria assicurano le cure necessarie, nel rispetto della volontà del paziente ove le sue condizioni cliniche e le circostanze consentano di recepirla”.

Questi principi sono la premessa per la redazione delle Disposizioni Anticipate di Trattamento di cui all’art.4 l.219/2017: “1. Ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi e dopo avere acquisito adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle sue scelte, può, attraverso le DAT, esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari.”.

E’ prevista la possibilità di indicare nella DAT un “fiduciario”, la cui scelta è rimessa completamente alla volontà del disponente[10].

Il medico è tenuto al rispetto delle DAT, le quali possono essere disattese, in tutto o in parte, dal medico stesso, in accordo con il fiduciario qualora:

  • esse appaiano palesemente incongrue o non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente;
  • esistano, al momento, terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione, capaci di offrire concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita (art.4, comma V)[11].

Grande rilevanza viene poi data alla forma con cui le DAT devono essere redatte: si legge, in proposito, nel comma VI dell’art. 4 che le “DAT devono essere redatte per atto pubblico o per scrittura privata autenticata ovvero per scrittura privata consegnata personalmente dal disponente presso l’ufficio dello stato civile del comune di residenza …, che provvede all’annotazione in apposito registro, ove istituito, oppure presso le strutture sanitarie, …” o possono essere espresse mediante videoregistrazione qualora il paziente non sia in condizione di scrivere. E ancora, il legislatore stabilisce che le DAT sono rinnovabili, modificabili e revocabili in ogni momento e in caso di emergenza possono essere modificate o annullate anche a voce (art.4, comma VI)[12].

Quello che sembra mancare, al di la di certe macchinosità tipiche delle procedure garantiste di norme che disciplinano diritti personali, dal punto di vista dell’attuazione concreta delle dichiarazioni D.A.T. , è una elencazione scientificamente testata dei trattamenti sanitari a cui sottoporsi o da rifiutare, in relazione alle innumerevoli possibili situazioni di “incapacità di autodeterminarsi[13]” dipendente da malattia, trauma, trattamento sanitario, ecc. Molti ritengono che il Governo debba emanare ancora atti normativi (decreti attuativi), che stabilendo questa disciplina di dettaglio, permettano a quanti più soggetti possibile la redazione delle proprie D.A.T. attraverso moduli prestampati, con un contenuto minimo di previsioni che possano facilitare sia il dichiarante che il medico di fiducia che lo assiste e lo consiglia: alcune Associazioni ONLUS, operanti a contatto con pazienti terminali di patologie molto diffuse (tumori, malattie genetiche degenerative), nel silenzio inerte del legislatore, hanno stilato propri documenti non ufficiali, che fra i trattamenti elencano: dialisi, rianimazione cardiopolmonare, respirazione meccanica, idratazione e nutrizione artificiale, chirurgia, trasfusioni sangue, accettabili o meno a seconda che siano continuati per almeno un mese o per un periodo più lungo. La indeterminatezza di questi “esperimenti” dimostra come sia assolutamente necessario l’intervento del legislatore per dare certezza e uniformità all’applicazione di una legge di principio come la 219/2017.

Ognuno si sforza di comprendere quale sia il senso supremo della vita.
Ma quando finalmente lo capisce, ormai lo spettacolo si chiude.
Leo Buscaglia


[1] Costituzione- PARTE I – Diritti e doveri dei cittadini-Titolo II – Rapporti etico-sociali
Art.32 “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”

[2] Cfr. Kultunderground n.213-APRILE 2013: “T.S.O. Trattamento Sanitario Obbligatorio”, di Alberto Monari, rubrica Diritto.

[3]Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”, pubblicata nella Gazz. Uff. 16 gennaio 2018, n. 12 in vigore dal 31 gennaio 2018. Il Disegno di legge era stato licenziato dalla Camera dei deputati il 20 aprile 2017; nella votazione finale il Senato ha votato a favore con 180 sì, 71 no e 6 astenuti. A favore, oltre al PD e M5S, hanno votato ALA, Mdp e Sinistra italiana. Contrari, invece, sono stati Lega e Forza Italia.

[4] Art. 1 comma II, L.219/2017; in ogni caso non è stata introdotta una norma penale che sanzioni il trattamento sanitario difforme dal consenso prestato.

[5] Le modalità con cui il consenso si forma ed è prestato sono indicate al comma IV dell’art.1, dove si afferma che esso “confluisce” nella cartella clinica, risultando da atto scritto o da videoregistrazione.

[6] “…Ha, inoltre, il diritto di revocare in qualsiasi momento, con le stesse forme di cui al comma 4, il consenso prestato, anche quando la revoca comporti l’interruzione del trattamento…”

[7] Cfr, “Ecco come ti smonto la legge eutanasica”, intervista a Monica Boccardi, giuristi per la Vita, in www.riminiduepuntozero.it 11/01/2018.

[8] Il paziente, al quale vengono sospese nutrizione e idratazione, infatti non muore, ad esempio, a causa del cancro, ma per mancanza del sostentamento vitale. Poiché la legge include sostanzialmente tra le terapie la nutrizione e l’idratazione, e vieta la somministrazione di cure inutili ai malati con prognosi infausta a breve termine (peraltro senza stabilire in che cosa consista tale brevità di termine), oltre a stabilire che il paziente non può pretendere terapie vietate dalla legge, viene di fatto vietato ai medici di somministrare idratazione e nutrizione ai pazienti terminali, considerato che non hanno alcuna possibilità di guarirlo.

[9] A fronte di un rifiuto valido ed efficace (definito oggi come pieno esercizio di un diritto del paziente) l’attività del medico dovrebbe semplicemente ritenersi non illecita e, pertanto in caso di omissione non si configura un fatto civilmente illecito, né tantomeno sussiste una fattispecie penale incriminatrice (comma VI, art.1 L.219/17). L’azione informativa del medico impedisce, d’altra parte, il pericolo di “abbandono terapeutico”.

[10] La Legge si limita a prevedere che il fiduciario sia maggiorenne e capace di intendere e di volere. Il fiduciario è chiamato a rappresentare l’interessato nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie. (Art.4 comma II)

[11] Nel caso di conflitto tra il fiduciario e il medico, la decisione è rimessa al Giudice tutelare, su ricorso del rappresentante legale della persona interessata o del medico o del rappresentante legale della struttura sanitaria. (Art. 4 comma V).

[12] “…con dichiarazione verbale raccolta o videoregistrata da un medico, con l’assistenza di due testimoni.” (Art.4, comma VI, ultima parte.)

[13] Incapacità di intendere o di volere:
Stato transitorio di minorazione delle facoltà psichiche in cui si trova chi non è in grado di comprendere il significato del proprio comportamento e di determinarsi di conseguenza. Deve essere accertata di volta in volta e determina l’annullamento del negozio giuridico posto in essere in stato di incapacità di intendere e di volere.

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