KULT Underground

una della più "antiche" e-zine italiane – attiva dal 1994

Pillole di Carta

24 min read

ovvero

QUANDO PER COMBATTERE USIAMO IL BIANCHETTO SU FONDO NERO

 

 

LA FANZINE è COME IL SESSO. UNA COPIA E VIA

In 35 secondi netti un famoso motore di ricerca su internet mi snocciola circa trentunomilanovecento risultati per FANZINE + ITALIA, avvisandomi che “Al fine di visualizzare i risultati più rilevanti, sono stati omessi alcuni risultati molto simili a quelli già visualizzati.”

Registro con stupore che l’autoproduzione in Italia, è – mio malgrado – ormai una moda kitsch che trabocca centinaia di riviste, ma permango nell’assoluta convinzione che ciò di cui sto per parlare sia qualcosa di assolutamente nuovo.

Non indugio oltre, allora, e, mentre espiro una grossa bolla di fumo grigio dalla bocca tonda e accartoccio l’ultima sigaretta nel posacenere, comincio con «Pillole».

Bando ai preliminari. Questo è un incipit in media res, quando il papà della fanzine ha già ben 23 anni.

 


IL SOSIA DI RUPERT EVERETT SI IMBOTTISCE DI PILLOLE

«Pillole» nasce a Bari in una piovosa nottata dell’ottobre 1998, da due padri nullafacenti e neanche tanto carini, tali Bluft e Ant e/o Dott. Porka, reduci da un’esperienza fumettistico-universitaria – «Trip & Strips» –la cui laconica collettiva memoria si perde negli antri bui del tempo scolastico. In due ci si muove meglio.

La primogenita Bluft/Porka – in arte Roberto Cavone e Antonio Porta – è una fanzine di 5 fogli A4 piegati in due, illustrati fronte-retro in bianco e nero e spillati al centro.

Duecento copie e un unico disegnatore pugliese che somiglia a Rupert Everett ed è un convinto investigatore della fumettuosa novità stilistica.

In copertina, il Grillo Smanettone, simpatico personaggio “di successo” che Roberto rinverrà anni dopo al Forte Prenestino in veste di pupazzo non-autorizzato. Ma, poiché il fine dell’autoproduzione è di farsi conoscere in tutti i modi, Bluft – lungi dall’indignarsi – è tutt’oggi fierissimo di tale illecito appropriamento.

Il Grillo in questione è il personaggio antropomorfo (ormai) più ricorrente nella storia pillolesca. Quando fa il suo esordio cartaceo, sulla copertina del numberone, indossa un completo elegante e un po’ dimesso – che fa più fico –e guarda il lettore mentre fuma una sigaretta e si infila il pollice sinistro nella tasca dei jeans. Ha una bombetta in testa e ammicca appoggiandosi al bancone di un bar.

Sullo sfondo, un pub fumoso stile jazz anni ’60 e un’orchestrina un po’ malconcia che suona sorridendo e tenendo il tempo. Sulla cassa del contrabbasso, un marchio – A Fuckin’ Boyz Production – che ricorrerà nei successivi numeri, alternandosi a moltissime altre sigle, poiché, secondo Bluft e Porka, l’oziosa moltitudine, in realtà, annulla.

In basso a destra, un cane con le occhiaie (attore anche nei numeri seguenti) fuma rassegnato uno spinello che gli penzola dal lato della bocca, ed emette, tutto d’un fiato, un severo monito come un rigurgito inconsulto: “Non sganciare oltre 2000 £”!

Da notare, ancora, la scritta “B. & An'” seguita da un P cerchiata – che sa, già per la seconda volta, di production – vergata in lungo sulla L di Pillole.

Le prime storie – Jokejoy e la ricerca di Pillole, La Banda Culo, Latte +, Lo Spacciatore, Il grande Tuffo, Melvin the rabbit – sono il manifesto di tutta l’opera pillolesca.

Una banda di rapinatori di banca composta da una vagina, un pene e un bel paio di grosse tette che fanno capo a un grosso culo; una donzella medioevale che beve latte ed espelle dal culetto santo decine di mozzarelle prelibate; due sbirri (uno dei quali immobilizza i malfattori con il suo super-sperma) che scambiano un innocente baratto di figurine Panini per un colossale traffico di droga; due pezzi di cacca che parlano tra loro del mitico Grande Tuffo nell’acqua del water; un sanguinario coniglio sparatutto che pare un divertente personaggio della Warner Bros, ma in realtà…

Queste le prime storie di «Pillole», semplici e immediate, originali ma già esplicative di tutto il percorso evolutivo della fanzine, disegnate con tratto sicuro e realistico, curate nel minimo dettaglio, nelle smorfie facciali dei personaggi, nello sfondo popoloso e composito in cui vive tutto un universo parallelo che, pure, si svela in una mise essenziale e disinvolta.

Dalla sua nascita barese, «Pillole» non smette un attimo di attaccare, è come la bambina sempre arrabbiata de La Prosivendola di Pennac, una ticchettante bomba ad orologeria che, lungi da uno sterile inveire, tenta un’istintivamente sguaiata comunicazione. È come l’hungry young man di John Osborne che, col suo Look Back in Anger, sollevò più di un polverone nel 1956. «Pillole» ha lo stesso, cinico sguardo globale sulla società, la stessa incazzata allegria, il medesimo sguardo sopraelevato dei “kitchen sinkdramatists degli anni ’50 che, sprezzantemente realisti e diretti, sempre arrabbiati e veri, rivoluzionarono la vita di tutti gli stereotipanti Jimmy Porter dell’Occidente civilizzato.

Dal lontano 1998 in poi, le storie di «Pillole» rimangono cortissime, “come una battuta dei fratelli Marx, come una rasoiata mentre ti sbarbi, come uno sputo di gomma che resta incollato a terra”.

I minisketch in pillola trattano e bis-trattano di vita quotidiana, sesso, musica, droghe, lavoro, razzismo, sbirri e svolte. Sono minim-ali appunto per contrapporsi alla massim-ale editoria ufficiale alto-quotata, sovente rinchiusa – secondo Bluft – in storie lunghissime ma prive di mordente. “La dilagante imbecillità” dei fumetti bonelliani (che pure a loro modo hanno fatto la storia e prodotto veri e propri capolavori) fa incetta di banalità e smarrisce troppo spesso i tratti salienti del racconto, alla rincorsa dell’obbligato colpo di scena al voltar di pagina che, pure, è e rimane uno degli eterni dogmi dell’era fumettistica.

Ogni pillola è, allora, lo spaccato di una vita autoprodotta, incastrato su uno sfondo dipinto a mano, fatto di umore nero, dozzinale squilibrio, apodittica insofferenza e paraculaggine.

La quarta di copertina di ciascun numero diventa, inoltre, una sorta di mini-poster a sé stante che, in qualche modo, richiama lo spirito delle storie interne, le incornicia, completa, le fornisce di un’anima diversa, ma sicuramente efficace anche in veste di a solo.

Per citare ancora la primogenita, la quarta del numero uno ritrae due tizi sfattoni appollaiati in una decappottabile scassata con due occhi annebbiati per fari. La targa, penzolante dal parafango, reca in basso la scritta “C’AVETE ROTTO IL CAZZO” e freme arrabbiata sotto gli occhi del lettore, con un effetto prepotente e quasi ipnotico, nonostante la si noti solamente se si aguzza la vista come in un rebus enigmistico. Questo tipo di messaggio quasi subliminale è assai ricorrente in «Pillole», della quale – potrei dire – esiste un conscio esplicito e un inconscio latente, caratteristico di ogni edizione.

Per finire, Bluft si inventa anche una sorta di marchio – la Arde Gore Comix – come segno di strafottenza non solo verso il mondo incravattato dei borghesi, ma anche contro tutti quei giovanidoggi che si incravattano di stereotipi diametralmente inversi alla corrente morale – droga techno & life’n roll, per dirla come una reclame –, probabilmente (spero!) non rendendosi conto che questa è un’altra moda, sudicia come tutte le altre, stra-abusata e ottundente. Per certi versi nuova, ma non per questo meno isterica.

Già la storia breve del numero due, Babies – per attestare quest’inversione di tendenza alla controtendenza –, appartiene scherzosamente a una nuova casa di produzione fittizia, la Naked Babies Production, mentre Senza Parole è della Wild Turkey Prod., Colombo aderisce alla Sir Clay Wilson, La Pillola Del Piccione si rifà al Nowhere Studio, Latte + alla più casereccia Bluft Produzione, Super Fuzz Big Culo alla non meglio specificata R. & R. – sigla in elegante corsivo galleggiante in una very sobria foglia (forse) di fico –, mentre Tarquinio è prodotta dalla Skull End Produzioni, Qualcosa c’è… dalla Brand New Romantica e I Chicken Eaters da Another Robber.

 

 

LA STORIA CONTINUA

Dopo il primo numero, «Pillole» si trasferisce immediatamente nella capitale. La prima copia venduta finisce nelle mani di una matricola di Fisica, in un tardo pomeriggio a La Sapienza e, “sull’onda dell’entusiasmo per quel primo numero smerciato”, i padri acchiappano un passaggio verso Termini. Prossima tappa: Torino.

Ospiti del saggio Roberto “Tiresia”, i due autoproducenti si appostano ogni mattina all’ingresso della mensa universitaria e adiacente facoltà.

«Pillole» costa 2000 £ – ah vecchie lussuriose banconote! – e fa il suo figurino comodamente adagiata su un cartone DOC del mercato rionale, sul quale trionfa un topolino moribondo infilzato da una penna. La realtà ironizzata su carta comune non dispiace, né a Roberto, né ad Antonio. E neanche al popolo torinese. Insomma, si vende molto bene.

Il Cavone disegna interamente i primi 4 numeri (che firma coi più disparati pseudonimi – Bluft, Bluft Explosion, Blooft, Bluft in fasce, Bluft implosion, Blüf-t, Bluft Style, Blufttransportsysteme eccetera –), affiancandosi al numero 5 allo Sghino, che marchia il suo esordio nell’autoproduzione con la splendida storia Il mezzo coglione nella scatola di cartone (lo stesso Sghino, poco tempo dopo, ridurrà a fumetti, sempre per «Pillole», una poesia di Montale. Fidatevi, è un mini-lavoro a dir poco lirico).

Da allora in poi, «Pillole» – calderone di ogni non-sense – diventa il passaggio preferenziale di fumettisti di mestiere o di vocazione, semplici appassionati e pionieri dell’immagine, ma anche di coloro che col disegno non hanno quasi nulla a che spartire.

Ciò che conta, per questa massa di giovani speranzosi, è possedere un canale di comunicazione non filtrato, poter raccontare con voce propria, non sottostare.

«Pillole» (che dal numero 3 ha pure un indirizzo e-mail, ardegore@hotmail.com, e nel numero 4, presenta un eloquente sommario con adiacente foto di pin-up masturbata da bambino arrapato) assolda il suo esercito sulle stesse bancarelle, alle feste improvvisate dove il Clan di Cavone vende il suo auto-prodotto. Roberto mi dice che, su dieci persone che si dicono disposte a collaborare, è già tanto se poi una sola si fa ri-sentire, e disegna davvero qualcosa per la fanzine.

Non è una vita facile. È come se i ragazzi di oggi fossero attratti dalla possibilità di farsi largo nel mondo, ma poi l’impegno si rivelasse più pressante del previsto; come se l’autoproduzione fosse ormai anch’essa una moda, e il solo pensare di parteciparvi facesse guadagnare preziosi punti alle giovani leve di alternativi rampanti.

Chi rimane, però, non solo non va più via, ma trova nella stessa auto-fanzine una personale valvola di sfogo che lo fa crescere e gli permette di migliorare.

Le star di «Pillole»? Dal nord al sud, in ordine sparso: Il Capitano, Dummì, Kimiko, Mambo, Luca, Joetattoo, Lisa, Andre, Gianfranco, Sghino, ZZZ, Bruce, Marcus, Nico e – come si suol dire – moltissimi altri, che ringraziamo pur non citandoli (anche se, nel numero 4 del marzo 2000, già un ringraziamento c’è. “Spescial grazie to: Raffo, Roberto Capakkione (to), Sergio Sk@ter Gum, Il Sardo, Zio Franco.”)

Fra di loro, c’è un autore che mi colpisce più degli altri, perché di solito si esprime solo per affreschi di una tavola. Una vignetta è quello che gli serve per comunicare. Assoluto, freddo, caliente come le mordaci vignette di Vauro sul «Manifesto», quelle dissacranti di Altan sul «L’espresso» (e «L’espresso» on line), quelle fatalmente utopistiche di Sergio Staino con il suo figlioletto Bobo sul «Venerdì di Repubblica» o su «L’Unità». Ora non voglio esagerare, ma guardatevi qualcosa, per esempio il miniposter di Andre – è così che si chiama il fumettista in questione – che ritrae un tipo che si fa una pera di eroina e dice: “Io Odio I Preliminari”. In questo disegno, che sembra quasi buttato lì in una serata tra amici, magari vergato su un posabicchieri o giù di lì, c’è tutto il disgusto di un giovanedoggi a cui i mass media e la società impongono passaggi obbligati e somministrano versioni distorte della realtà. Questo fumetto si scaglia, infatti, contro tutta quella gente che crede che fumare gli spinelli sia solo l’inzio di una mortuaria avventura il cui fine ultimo è per forza l’eroina e, di conseguenza, la morte. Il giovane tossicodipendente disegnato nel miniposter ha evitato ogni preliminare – le sigarette, gli spinelli, le droghe chimiche e così via – e si è fatto subito una pera. “In culo alla società”, in culo ai pregiudizi agli stereotipi e alle malelingue. In culo pure a se stesso.

 

Molte delle storie in pillole, dalla sua nascita in poi, trovano il loro punto di forza nel colpo di scena (ahi ahi ahi, le leggi di mercato!), nel fraintendimento lo straniamento la farsa. Esempio ne è All’osteria, di Bluft e Ant, apparsa sul numero 4 di «Pillole» – marzo 2000 –,storia (in tre tavole orizzontali, vedere per credere!) di un maiale e un hyppie che riescono a scroccare un pranzo in osteria fingendosi omosessuali. Qui, il colpo di scena è doppio. Prima non ci aspettiamo che “il salame” cui il Porco si riferisce sia proprio il suo membro virile (che il maiale si fa succhiare dal compagno per essere cacciato e non pagare); poi, nell’ultima vignetta, rimaniamo addirittura di stucco quando scopriamo che anche il proprietario razzista e perbenista dell’osteria intrattiene regolari rapporti sado-maso, nientepopodimenoché… con un travestito, probabilmente suo dipendente!

Ancora, realmente da scompisciarsi dalle risate, le avventure di Cristoforo Colombo (numero 2, aprile ’99), saga composta di tre storie (ciascuna disegnata su un’unica tavola), dal titolo: Colombo…su come andarono veramente i Fatti; Colombo… su come andarono veramente Fatti!; Colombo… su come andarono veramente Disfatti! Tre storie minime, queste della saga dello scopritore dell’America, splendidamente caratterizzate da un divertentissimo tormentone – nessuno ricorda il nome di battesimo di Colombo –, dalla ottusa contundente stupidità del suddetto esploratore e da un mozzo con la gamba di legno che aspetta solo il giorno del mese in cui gli spetta incularsi Cristoforo. Com’è prevedibile, la data esatta la conosce solo lui, allora riscuote i favori sessuali del suo capitano quando più gli garba. Simpaticissima, inoltre la gag della vedetta che grida sempre “Terra!” a squarciagola, finché un giorno i marinai la impiccano, mentre indossa una maglietta della Diet Coke; o quella per cui Cristoforo ha dato appuntamento alla regina Isabella in India e, sebbene ambedue si ripresentino puntali sul luogo dell’incontro, pure, per ovvie ragioni, non riescono infine ad incontrarsi mai. “Non viene! – fa Colombo a fine storia, mentre si guarda intorno e strizza l’occhio – E devo pure stare attento al mozzo che è in agguato!”

Lo stesso numero 2 termina con una storia simil-vera (diciamo un’accurata rivisitazione della realtà) che definirei lirico-commovent-parodistica. La due tavole de La pillola del Piccione, infatti, ritraggono Porka e Bluft (guardateli, sono uguali alla realtà!) mentre, accovacciati accanto al succitato cartone con il topolino infilzato, aspettano clienti, ma non arriva nessuno. Forse, fa pure freddo. Alla fine, dal cielo, scende in picchiata un piccione che dice “2 carte!” porgendo ai giovani una banconota da duemila lire. Ricevuta in cambio la rivista, il pennuto riprende il volo e scompare all’orizzonte. Fine ultimo di questa storia dai toni pacati, ma ricca di particolari vivi quasi schizzati sul foglio, è ancora una volta raccontare la difficile vita autoprodotta di ogni giovane venti- enne della terra.

 

Bellissime anche le copertine, tra le quali una delle ultime, sempre di Bluft, mostra un paio di piedi insanguinati infilzati da un pennino, a simboleggiare che l’arte spesso non paga, e che il lavoro di fumettista – ma qualsiasi lavoro creativo – oltre che molto bene, fa anche molto molto male.

Simpatica la numero 5, in cui un tizio si passa lo spazzolino tra i buchi vuoti delle orbite oculari, e quella di nome Ton-Topolino, che raffigura il fantomatico topolino infilzato del primo cartone DOC pillolesco.

Da segnalare inoltre Lo Strumento, (nata come murale per una casa musicale romana, ma approdata, come sempre, su «Pillole»), in cui Bluft racconta che comprendere a pieno la musica – come ogni altro tipo di arte – è impossibile. In questo mini-poster un pianista è inchiodato al suo strumento, mentre è torturato e puntellato di viti. In basso a sinistra, il monito: “Quando ti è stato concesso lo strumento non sapevi di poterne godere solo per metà…”. L’immagine qui raffigurata ha un forte valore simbolico, ed è immersa in un’atmosfera tardo-medioevale, in cui piccoli omini infernali danneggiano l’integrità fisica e mentale dell’uomo suonante. Bluft mi spiega che “molta gente vuole qualcosa, ma non sempre si riesce ad ottenere tutto. Il fantomatico dio che è nei cieli ci dà il desiderio, la voglia, la bramosia degli oggetti, ma non sempre ci fornisce gli strumenti per realizzare le nostre necessità, oppure ce li fornisce corrotti, sbagliati, offuscati. Il pianista de Lo strumento è l’Uomo, perennemente castrato e impossibilitato a godere, incastrato-inchiodato all’oggetto dei propri desideri, che gli è dato di vedere ma non di possedere.”

 

La fanzine di Bluft e Ant vende sicuramente bene, e col tempo le soddisfazioni aumentano. Ma l’autoproduzione è un cammino impervio e spesso carente di riscontri cumulativi.

Bluft mi racconta, infatti, che l’Expocartoon di Roma 2002, la Fiera del Fumetto di Bologna e il raduno musicale di Arezzo 2004 l’hanno un po’ indisposto. Non solo non si è venduto, o si è venduto molto poco, ma – cosa che più lo ha colpito a morte –  la stragrande maggioranza di giovani che non si accostavano a «Pillole», preferivano l’elegante incetta di rari fumetti d’epoca o l’adorazione di sempre nuove e croccanti playstation a qualsiasi tipo di genuina autoproduzione. Opinione discutibile, soprattutto per quanto riguarda il collezionismo – ma comunque estremamente diretta –, secondo «Pillole», davvero, questo è troppo.

Bluft, ad ogni modo, è uno che non demorde, e «Pillole» insieme a lui; uno che delle delusioni succitate fa tesoro e dice: “sono state come un punto e a capo, un’importante presa di coscienza da cui ripartire, per trovare un nuovo senso e una precipua collocazione a se stessi.”

Dopo circa cinque anni e mezzo, «Pillole» è allora felicemente giunta al numero dodici (un numero ogni quattro mesi: Francesco Coniglio li taccia di pigrizia latente e loro mesti mesti assentono) e se ormai le persone a collaborare sono più di dieci per numero, quelle a leggere sono davvero centinaia.

Ma non finisce qui! «Pillole» si vende ormai dovunque; non solo nella sua città natale, ma in qualsiasi centro sociale, negozio di fumetti usati o di musica alternativa, convegno assemblea concerto e – è proprio il caso di dirlo – via scrivendo e fumettando.

Roberto Cavone è a questo punto un autentico randagio dell’autoproduzione che peregrina di festa in festa, di raduno in raduno – cercatelo (è inconfondibile!), anche nelle manifestazioni più scarpare: lui è quello magro, con le mani in tasca e lo sguardo basso, tutto vestito di nero –, di pala in frasco.

 

 

COMPOSIZIONE POSOLOGIA PRECAUZIONI D’USO E CONTROINIDICAZIONI

Com’è la fanzine che avrete tra le mani?

«Pillole» è fatta di storie minimali dirette mordaci fresche. Taglienti.

Storie di quotidiana autoprodotta insofferenza al dato, deciso, pre-stabilito; fatti raccontati con l’istinto; idee condite di ironica leggerezza “e una buona dose di stupidità innata”. Questa rivista è per i palati essenziali, perché “dopotutto ci dovrà pur essere qualcuno pronto a soddisfare i palati meno raffinati.”

«Pillole» è comunicazione per storie brevissime, abbozzi di storie, cenni, immagini buie, e ancora divulgazione per lampi brevi e abbaglianti, spesso ancor più corti di un fumetto.

Mi hanno letteralmente conquistato le immagini di una sola pagina.

Fra le altre, il miniposter del numero 4 ritrae un punkabbestia pedofilo (con il maestoso attributo gocciolante sperma ben visibile di sguincio) che ammicca e fuma. Il pedofilo stringe la mano di una deliziosa bambina felicissima che pensa a un peperoncino – o simili – e indossa un vestitino con un buco sul petto. Dal buco, fa la sua bella figura nientemeno che… una vagina bagnata!! Il disegno, incastonato in un’ambigua citazione in corsivo compiaciuto – “Il vestitino nuovo che mi ha regalato Zio Franco” –compete ad una fittizia casa di produzione tutta nuova, la Uncle Frank – Arde Gore Comix.

Credo che in questa piece artistica sia riassunto un po’ tutto il pensiero di «Pillole», tutta un’autonoma linea editoriale auto-tutto, che la realtà la vede la studia l’affronta ne parla… e poi le sputa contro. Che schifo, sembra dire la risultante degli sguardi che i due personaggi indossano per noi.

La rivista è, allora, dal numberone ad oggi, un continuo scambio col pubblico, un sotteso botta e risposta senza il quale non esisterebbe – per Bluft e company – motivo di continuare.

Tutti gli inventori in pillole esaminano, infatti, la realtà viva e la ri-scrivono per noi sottoforma di disegni diretti, minimali, bianchi e neri, ma così meticolosi e ordinati (si notino, ad esempio, le ciabatte sdrucite che indossa il fantomatico Zio Franco) da fare più rabbia che paura, da suscitare – tutto insieme – riso pianto vergogna ribrezzo, e voglia di agire.

«Pillole» è lo stesso “pizzicore in gola”, la stessa “voglia di vivere che c’era allora”, il medesimo “c’è chi dice no” che abbaiano le canzoni di tutti i tempi, tutte le storie, tutti luoghi del mondo.

La linea editoriale della fanzine non è (semplicemente) un disfattismo convinto –che qui vuol dire non solo demolire, ma spesso non fare affatto, perché tutto non serve più a niente e il niente almeno non richiede sforzo – quanto più una tremenda splendida inarrestabile voglia di essere, bisogno di comunicare, suggestivo interesse a che il mondo si interessi di lei.

Il Clan in pillole combatte contro le centinaia di cerotti che lo stato ha passato con cura sulle bocche dei giovani; guerreggia addosso alla calvizie precoce; ammazza il grasso superfluo e la cellulite. Fare una fanzine – dicono Bluft e Porka – è tutt’altro che semplice: richiede lavoro, sopportazione all’angoscia, resistenza al pudore e una latente masochistica aspirazione agli insulti.

Ma paga, coi soldi o la gloria (meglio entrambi), oppure con una sveltina inattesa e una sorta di sotteso rispetto comune. Oppure risarcisce a fondo con la Vera Impagabile Soddisfazione, quella cosa pizzicante che ti cala piano nello stomaco e fra le gambe come un mantello di zucchero filato e risate, e grazie alla quale, appena ci pensi, “tutto il mondo ti sorride”. È chiaro che Bluft e Porka preferiscono senza dubbio una sana ricchissima trombata…

“Ricordo che, nell’edizione di Quark di circa nove anni fa, le puntate terminavano con ‘le pillole’ di Bruno Bozzetto – dice Bluft – cioè mini animazioni di educazione civica. Credo che la nostra fanzine mutui dalle pillole televisive la fruibile essenzialità del messaggio, ma non l’aspetto propagandistico-educativo.”

Bluft racconta ancora che la differenza tra chi si autoproduce e chi è prodotto non è tanto o solo nella qualità delle storie, nel tratto, nella maggiore o minore brutalità dei contenuti – chiunque può essere più o meno bravo, ma il mercato dell’editoria sceglie solo chi più gli si confà –, quanto nella continua messa in gioco di se stessi.

Immaginatevi, dopo avere a lungo lavorato, con un bel prodotto – autoprodotto – finito tra le mani. Siete rimasti nella vostra dimora per secoli. Puzzate di fumo e sudore (e forse pure di birra). Non fate mai più l’amore, siete pallidi e smagriti, ma Adesso è l’Ora. Ce la fate o no, a varcare la soglia con un sorriso in mano e il vostro lavoro stampato sul viso (o viceversa)?

Il Cavone crede che a molti non vada di sbattersi in giro per fiere mercati mercatini sagre fieste rave party concerti raduni centri sociali e via dicendo a promuovere la propria opera madre. Allora, medita Bluft grattandosi il  beccuccio-che-non-ha, anche se il loro è un buon lavoro, non sbalordisce nessuno, perché rimane tra le mani di chi l’ha a lungo sudato.

La sopravvivenza di «Pillole» – spesso strappata, bagnata, vilipesa, vituperata – invece, sta proprio nello spirito combattente di chi la fa e la auto-distribuisce nel mondo.

“Ci hanno detto: fallocentrici coprofili sessisti qualunquisti vastasi volgari e teste di cazzo” continua il papà dell’autoprodotta; ma «Pillole» è l’Esigenza atavica di comunicare, un bisogno antico quanto il mondo, che l’Io disegnante si accovaccia ed espelle – piano e forte – come un enorme gigantesco incontrastato boccone di cacca!

Nel marasma di giovani che oggi vogliono farsi sentire, «Pillole» è il dovere di proporsi agli altri quasi come un debito verso se stessi, un’opportunità free per raccontare il pensiero, per conservare la propria pressante autonomia e resistere alla galoppante generazione dei giovani delle Regie Scuole di Fumetto d’Italia. Bravi, fa Bluft assentendo e aggrottando le sopracciglia, sicuramente professionali, ma spesso troppo scortati dai maestri, un po’ deturpati dell’esecrabile – dal mercato – iniziativa personale.

Intanto «Pillole» cresce: dal numero 7 le pagine raddoppiano, gli autori aumentano, le storie scrosciano. Il Clan pillolesco arriva – inciampando e risalendo come in una giostra –  a un totale di 40 tavole illustrate (circa 4 per ogni autore) e, dal natìo bn quasi stilizzato, passa all’uso di acquerello, scratchboard, bianchetto su fondo nero, incisione realizzata per mezzo di raschi su base scura, collage, retini, tempere.

«Pillole», infatti, non disdegna mai la sperimentazione di nuove strade fumettistiche e stili diversi, anche se le piace comunque rimanere nel liricamente classico.

A questo proposito, ricorderei due storie che mi hanno davvero interessato. La prima è Ad una ruota, di Bluft, storia breve illustrata con bianchetto su fondo nero che inveisce contro l’arbitrarietà della legge; la seconda è Razza Corta, storia in versi, con titolo e colpo di scena (entrambi) finali. Ancora, è da ricordare Senza Parole, storia muta dedicata ad un ragazzo cronista di serie D a Torino, dalla forte espressività e pressante comunicativa. Non per ultima, La Pillola dei Perdenti, storia vera sulle difficoltà dell’auto-produzione e la violenza della polizia. Un altro fatto realmente accaduto è Tu fidare di me, che racconta le peripezie di Luca e Antonio, giovani in cerca di fumo a Venezia infinocchiati da due scaltri marocchini.

Ancora, 7:35, attribuita alla Ferrovie dello Sdato Production, è la storia a tempo di una ciclopa che abbandona il suo amante per prendere il rapido delle 7:35. In realtà, il modo in cui la suddetta ciclopa si prende i treni, non è poi uno fra i più comuni…

Nonostante le nuove tecniche e le successive sperimentazioni, assicurano i fumettisti in pillole, per fare una buona fanzine, ad ogni modo, bastano ancora e sempre foglio, pennino, gomma, colori e bianchetto. Quella di Bluft e compagnia non è una snervante rincorsa al successo, quanto più una comoda passeggiata in pantofole di bambagia – però coi buchi e le macchie di inchiostro – che dura (ed è dura) da e per tutta la vita.

«Pillole» è oggi un’istituzione dell’autoproduzione italiana, conosciuta da grandi piccoli e medi editori, stra-venduta all over the Italy, citata da riviste del mestiere, sponsorizzata in centri sociali e piccole manifestazioni.

I personaggi ricorrenti della fanzine – l’investigatore Frank Mentula (“pene” in latino), il Coniglio Melvin, Fra’ Cazzo – sono ormai noti al pubblico di centri sociali, raduni e fiere. “Ci è capitato – raccontano Bluft e gli altri – di ritrovare spesso le nostre creature in nuovi fumetti e cartoni animati, o in veste di loghi per magliette eccetera. Questa è davvero una grandissima soddisfazione.”

Ho chiesto a Cavone che farebbe, se potesse tornare indietro, adesso che «Pillole» ha sei anni e dodici numeri alle spalle, o piuttosto quali sarebbero i suoi progetti per il futuro se.

Mi ha detto che «Pillole» non l’abbandonerebbe mai, e la rifarebbe altre mille volte, ma – come una ragazza madre che guarda indietro e sospira accarezzando la sua pargoletta pestifera – mi rivela che sì, probabilmente accosterebbe a una produzione del tutto indipendente qualcosa di più concreto, tangibile, editoriale. Il Cavone mi spiega che – arrivato alla veneranda età di ventinove anni – avrebbe finalmente voglia di fare della propria passione un mestiere e, inoltre, ammette che non tutta l’editoria è da considerarsi spazzatura, ma che esistono delle persone buone e giuste anche all’interno di un’editorialità che non sempre è autentica e selettiva.

Gli chiedo spegnendo il registratore se parla così solo perché sarà pubblicato su Blue.

Cos’ha detto? Ho interrotto l’incisione, non ricordo più.

A «Pillole», per esempio, piace molto Leo Ortolani. Il Clan di carta ha scoperto tale esimio artista da poco, ma ne è rimasto come istupidito. Mi spiegano che l’immediatezza delle storie, la poliedrica unicità dell’autore e l’ironica sprezzante quotidianità dei contenuti hanno affascinato tutti sin dal primo numero comprato.

“Ci siamo passati «Rat Man» come fosse una canna” mi dicono, e io storco la bocca perché la metafora può essere pure efficace, ma fa tanto figaccioni storditi. Allora tornano in sé, o mi assecondano, e seri seri rettificano: “«Rat Man» è ormai la nostra Bibbia personale. Non ne perdiamo più un numero, ci ammazziamo dalle risate per tutto il tempo.”

Io assento, perché credo ci sia molto in comune tra la professionale ilarità dell’Ortolani e la saccente ironia del Grillo Smanettone di Bluft.

«Pillole», infatti, è la vera falsificazione della realtà e spesso un’inderogabile imitazione di ciò che ci circonda. Tra tutti, un esempio: Qualcosa c’è…(Bluft’01), storia in tre tavole, che racconta il primo appuntamento tra due giovani impacciati e sfigati, pure eleganti ma condannati alla banalità. Il fumetto, imprevedibilmente, finisce con un happy end da spot pubblicitario: i due si innamorano perché portano calzettoni di spugna con lo stesso logo!

 

LE ALTRE STORIE

Le storie migliori di «Pillole» sono quelle essenziali e dirette, che in una sola battuta comunicano la profondità del disagio globale.

Tra le tante che ho avuto modo di leggere sui 12 numeri di «Pillole» che il sig. Cavone mi ha gentilmente regalato, alcune sono a dir poco pazzesche.

Forse non tutti sanno che, storia/schiaffo dello Sghino, parla della avventurose avventure di un redivivo Elvis Presley alle prese con il TopoRatto.

Le esilaranti avventure di Gesù Cristo, di Marcus, credo non abbiano bisogno di alcuna spiegazione.

I miracoli di Fra ‘Cazzo di Avelletri, storia breve di Bluft e Ant su un frate che fa maritare due abnormi creature altrimenti destinate alla solitudine.

Oggi Sposi, di Bluft, comincia con il mattino freddo di un barbone. Gli amici lo svegliano dicendogli che è ora di andare al suo matrimonio, perché se non si sbriga lo sposalizio non sarà più suo, ma di qualcun altro. Il barbone è felicissimo, si lava come può e prepara in tutta fretta. Poi arriva davanti alla chiesa, dalla quale sta uscendo una coppietta investita da urla di felicità e manciate di riso. Il vecchio si china e comincia a raccogliere i chicchi, uno per uno. Lui è, ancora, spropositatamente felice. La coppia va via in un acclamare di campane. Provateci voi, in quattro tavole o poco più, a comunicare un tale dis-senso di pienezza vuota, una siffatta armonia tra storia e disegni, un perfetto connubio tra l’uomo soddisfatto del pranzo che farà (perché quello per lui è proprio il suo matrimonio) e la tragica irrealtà del mondo reale.

Nell’ultimo numero di «Pillole», che – ricordiamo – è ormai giunta alla soglia del 13, è da segnalare una storia horror-splatter di Bluft. Si chiama L’ortaggio ed è ambientata in un prossimo-oscuro futuro che non c’è, in cui un vecchio contadino mezzo cieco sta concimando il proprio campo di melanzane che ha modificato geneticamente senza bisogno di aiuto alcuno. Il vecchio è fiero di sé e mostra il proprio lavoro alla nipotina felice. Dopo aver reciso l’ortaggio da preparare, l’anziano contadino si appresta a cucinarlo. Poco dopo, la cena è pronta e il vecchio chiama a gran voce la nipotina che, però, non risponde. È solo alla fine della storia, sullo scorcio dell’ultima vignetta, che scopriamo – lo scopre anche il vecchio? – che la testa della nipotina giace esanime sul piatto da portata. Evidentemente, il contadino aveva sbagliato melanzana.

 

 

LA CACCA ARTISTICA

Infine, dopo avermi raccontato che, in viaggio verso Firenze col Dott. Porka a bordo di una scoppiettante Runner 50, il signor Bluft fu colto da improvvisa diarrea e, tra il grano e il cielo, in mancanza d’altro, il suddetto utilizzò il numero quattro del suo pargoletto – pure giallo, che s’intonava col mondo! – per ripulirsi l’artistico posteriore in pericolo, il giudizioso Cavone mi congeda con garbo. C’ha da fare.

 

IL FUTURO

Nell’inverno 2002, Bluft e «Pillole» incontrano Mambo e ZZZ, autori di «A modo nostro», un’altra fanzine indipendente. “Come in una finzione cinematografica” i due gruppi sentono che si stavano già cercando e si uniscono per dar vita ai Dissociati (sito web www.dissociati.com/index.html), gruppo autonomo che sforna succulenti cartoni animati cartine cartoline posters t-shirts pornosplatter e – di nuovo – altro che ringraziamo pur non citandolo.

 

PAPA’ BLUFT

Roberto Cavone è nato a Bari nel 1975.

Dopo il liceo, ha frequentato l’Accademia di BB. AA. di Roma, con indirizzo pittura.

Nel ’98 ha partorito il progetto «Pillole», cui è tuttora legato come Linus alla sua coperta.

Nel frattempo, ha pubblicato con la «Gazzetta del Mezzogiorno» un fumetto storico su San Nicola, 3 Caracche verso Mira, di 91 tavole bn, in dialetto barese con traduzione sul retro.

Ha, inoltre, collaborato con l’agenzia ADN KRONOS, realizzando le caricature dei cantanti di San Remo 2002 e ha disegnato le caricature di Paolo Villaggio e Renato Scarpa per un cortometraggio dell’Istituto Sperimentale di Cinematografia.

Produce da anni T-shirt, posters, cartoni animati e altro con Ant e Mr. Mambo.

Ha partecipato a esposizioni collettive vincendo anche un buono per shampoo e taglio.

Cosa desiderare di più.

ANTONIO PORTA
Nato a Bari il 29-10-1975, nel 1998 fonda “Pillole”, unica fanzine di fumetti a sud di Roma ancora attiva. Laureato in lettere moderne con una tesi in Storia del teatro e dello spettacolo a Bari nel 1999, si diploma in computergrafica nel 2000. Entra nel circuito della mail art e della street art. Diventa giornalista pubblicista specializzato nelle arti figurative e nel multimedia nel 2005. Appena abbozzata negli anni precedenti, è a Torino, nel 2003/2005, che perfeziona l’esperienza di street performer come dott.Porka, personaggio creato dalla sua fantasia e dalle matite di suo fratello Paolo. Conosce Davide Vitrano, con cui porta avanti il percorso di ricerca fotografica . Incontrano Mario Cresci al workshop tenutosi alla Galleria civica d’arte moderna e contemporanea di Torino nel maggio 2004. Lui li spinge a continuare la loro ricerca.
Trasferitosi nuovamente a Bari, nel 2005 ha insegnato Photoshop in scuole e presso enti di formazione professionale. Sta lavorando al n.2 de “Dott. Porka”, la fanzine (sempre Dissociata) sua e di suo fratello Paolo. A settembre, è in programma un’esposizione di 7 foto ( di Antonio Porta e Davide Vitrano) in Sala Murat su una performance che si tiene a Punta Perotti, Bari, nella zona ancora sottoposta a sequestro giudiziario. Su www.fotograficaconversano.it sono disponibili alcune sue “foto a spasso sui tetti di Torino”. Presto on line nuove pagine su www.porka.biz.

IPSE-DIXIT
Non è una citazione testuale, ma la filosofia latente è di Bluft:

Noi, mangiati in questi luoghi di dantesca memoria, invochiamo la dea dell’inchiostro perché nell’autore fumettante si manifesti l’alchemica coesione fra testi e disegni, in modo che, bianchi neri e convinti, possiamo ogni giorno con coscienza giurare ‘mi spezzo ma non m’impiego’ (come disse Flaiano), e pro-creare.

 

SCHEDA TECNICA “Pillole”
ANNO DI NASCITA: ottobre 1998

LUOGO DI NASCITA: Bari

NUMERI AUTOPRODOTTI: 12

FREQUENZA: quadrimensile

NUMERO DI PAGINE: (dall’1 al 6) 10 pagine illustrate fronte-retro (dal 7 al 12) 20 pagine illustrate fronte-retro

FORMATO: cm 12×18 (foglio A4 piegato in due e spillato al centro)

COLORE: bn

PREZZO DI COPERTINA: (dall’1 al 6) 2000 £/ 1 €  (dal 7 al 12) 2 €

REPERIBILITA’: (Roma) infoshop C.S.O.A. Forte Prenestino, C.S.O.A Villaggio Globale, libreria Otradek, libreria Shakespeare & Co., C.S.O.A. Strike, C.S.O.A. Acrobax, (Bari) Underground – negozio di musica –, edicole varie.

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