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Una missione fortunata e altri racconti – Guido Morselli

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MAGMA (D’UN TALENTO)
 
Un libro di racconti, di frammenti e di sperimentazioni narrative non è, ammettiamolo, sempre seducente: pur trattandosi dell’opera di un grande narratore, mantiene valore come oggetto di culto per i fanatici della sua scrittura, costituisce un importante esemplare per gli studi, le congetture e le interpretazioni dei filologi e dei critici, e al limite costituisce una curiosità per i neofiti e per i lettori occasionali. Questo discorso vale per la stragrande maggioranza dei narratori (italiani, del Novecento): con l’eccezione di Guido Morselli, intellettuale e scrittore borghese ostracizzato, in vita, dal sistema letterario: sino all’estremo e inevitabile epilogo. Quindi, salutiamo in questa preziosa pubblicazione della Nuova Editrice Magenta l’opportunità d’una nuova esperienza estetica ed esistenziale: quella d’un accostamento ad un imprevisto Morselli dal respiro corto, frammentario e singhiozzante autore di prose e racconti ed esercizi di stile: il cultore dell’opera del genio di “Dissipatio Humani Generis” potrà saggiare, sondare e gustare una produzione minore fino ad oggi sconosciuta e inedita. Chiariamo subito: nessun testo sembra essere memorabile, o eccezionalmente eseguito: “Una missione fortunata” non è un libro indimenticabile. Indimenticabile è e rimane l’autore – solo per questo, è logico e doveroso esternare un sentimento di vera gratitudine e riconoscenza all’editore e ai curatori.
 
La raccolta è stata suddivisa in tre sezioni, per una precisa scelta editoriale. Dalla nota: “Nella prima sono riuniti i racconti brevi con personaggi e tematiche prevalentemente femminili; nella seconda, tanto i racconti a sfondo storico (sebbene non manchi, in quello che presta il titolo all’intero volume, una ‘forte’ figura femminile) quanto le moralità, i dialoghi, le sperimentazioni narrative; nella terza, i reportages e le interviste”.
Non tutti i testi sono provvisti della data della stesura: in diverse circostanze, purtroppo, è stato impossibile risalirvi. Il più antico è “Vecchia Francoforte” (1937): i più recenti, “Romana” e “Estate in Germania”, sono del 1972.
 
La prima parte, quella “femminile”, è di discreto interesse. Le figure femminili protagoniste (tendenzialmente, narratrici in prima persona) sono contraddistinte da un sentimento-cardine: la freddezza. Gelida e insensibile è Clelia, la madre del bambino ricoverato in ospedale nel primo racconto, “Diphteria” (1947): vive della rivoluzione, accecata dal dogma del partito e anestetizzata dalla sua disumanità. Il suo ex compagno, trentenne sfiancato dalla miseria e dalla tristezza, cercherà di scuoterla, invano: Clelia ha dimenticato tutto, e non ha più senso insistere. Così, “è quasi buio quando raggiunge il ponte, e non può andare oltre. Lo sospingono contro la spalletta; vi si deve aggrappare, per non cadere. Ma la volontà si scioglie in una torpida indifferenza. Abbandonarsi, da una parte o dall’altra; confondersi nella corrente. La folla procede, immensa e scura. Cartelli, bandiere, a perdita d’occhio, e uomini in file serrate, muti, senza volto. Così scorre il fiume, nell’ombra, sotto di loro” (p. 17): il narratore è estraneo alla rivoluzione e ai rivoluzionari, intelligentemente e orgogliosamente uncinato com’è alla sua coscienza d’essere individuo, e d’essere diverso ed altro rispetto al branco popolano; ed è l’unico essere umano in uno spaccato di automi e di marionette rosse, insensibili ai sentimenti e alla morte. Dell’innocenza. Preferisce marcire che marciare tra loro.
 
La protagonista di “Ho dirottato sul guardrail” (1971) è una giovane borghese, sposata con un grigio ingegnere lombardo: condividono una villetta, benessere economico e una quotidianità d’una ripetitività insopportabile. Lui è fedele, premuroso e noioso: lei non bovaryzza, e può affermare: “io utilizzo il dogma che dove non c’è dramma, crisi, e accessori, non c’è vita. Osservo e se occorre, critico” (p. 19). Lucida, appunto, e fredda: abbrutita da un’esistenza senza colore, vagheggia il suicidio sino a schiantarsi contro un guardrail – “dirottando”, appunto, la nuova macchina del marito verso la fine.
Si salva, ma quell’inguaribile ottimista non ha nemmeno l’intelligenza di comprendere quel che davvero è avvenuto: l’incomunicabilità è cristallizzata e irremovibile.
 
In “Addio, Piero” (1971), la voce narrante è quella d’una giovane siciliana emigrata in Lombardia. È una ex ribelle, una delle prime “provocatrici” in minigonna, nella sua isola: racconta della sua storia d’amore con un piccolo borghese toscano, sedicente sposato e vedovo; amante fino a quando non rivelerà la montagna di menzogne che le ha propinato, perdendo ogni fascino e ogni attrattiva ai suoi occhi.
 
“Romana” (1972) potrebbe essere un anello di congiunzione tra la prima e la seconda sezione: è sì narrato da una donna, ma è d’argomento storico-politico (pensiamo a romanzi come “Contro-passato prossimo”, “Roma senza papa”, “Il comunista” e via dicendo). Lei, scrittrice di successo, ricca e vedova, viene ferita sulle alture del Golan, dove si trovava per capire quel che stava realmente avvenendo; e ha, ovviamente, modo di proporre una soluzione al conflitto (“federalistica, su basi socio-antropologiche e socio-psicologiche”: p. 37), come scoprirà il lettore.
 
Fiacca – e forse non è una coincidenza – l’unica voce femminile “incandescente” e passionale, quella dell’io narrante di “Estate in Germania” (1972), “mulier concubina” e cattedratica alle prime armi. Perfettamente contrastata dalla frigida vedova dai molti amanti di “Sono sana”: tormenta dei gattini, s’isola in un rifugio borghese, mitridatizzata all’alterità (ma non estranea alle dolorose nebbie della memoria: qui s’origina il cortocircuito).
 
S’intravede la figura d’un uomo pieno di donne: cultore dell’inverso del freudismo, la psico-sintesi (p. 44) è un sedotto, e non un seduttore. È uno che subisce le pressioni delle donne, secondo la moglie, ovviamente qui narratrice; il mistero profondo non è allora la femminilità, ma come una donna percepisca l’intelligenza e l’istintualità d’un uomo. Questo l’argomento del singolare racconto “Amsterdamer per Natale”.
 
Il racconto eponimo inaugura la seconda parte. Un piemontese viaggia sul Britannia, nel 1851, alla volta dell’America: parte per ottenere finanziamenti per l’esercito del suo Regno, destinato alla sciagurata impresa della “riunificazione” degli italioti. È un racconto lungo e piuttosto annacquato, a dispetto della sua natura di divertissement. Eccellente, invece, il racconto di guerra “Gli ultimi eroi” (1949): ambientato nel 1945, descrive l’ultima, grottesca resistenza d’un gruppo di soldati nazisti – l’ultima resistenza è quella d’una “legione” composta dai pazzi d’un manicomio, che cade assaltando alla baionetta i carri americani (p. 88).
Conquisterà – dovrebbe, direi – qualche attenzione il dialogo politico “La voce”: protagoniste, le ombre di Pinelli e Calabresi. Notevoli le ultime battute, p. 118: nulla è mutato, chi ha obbedito alla Voce attende di risorgere – inalterato, e tuttavia pacificato.
 
Non rilevante, infine, se non per cultori e studiosi della produzione morselliana, la terza parte, contenente reportages giornalistici (come il giovanile “Vecchia Francoforte”, del 1937).
 
Dedicato e destinato a chi amava e ama Guido Morselli.
 
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
 
Guido Morselli, “Una missione fortunata e altri racconti”, Nuova Editrice Magenta, Varese 1999.
 
Bibliografia consigliata:
E. Borsa, S. D’Arienzo, “Guido Morselli: i percorsi sommersi – Immagini, manoscritti, documenti”, Interlinea edizioni, Novara, 1998.
Consigliata la lettura del saggio dedicato a Guido Morselli ospitato in:
Giuseppe Pontiggia, “L’isola volante”, Mondadori, Milano, 1996.
Fondamentale: Guido Morselli, “Diario”, Adelphi, Milano, 1988
 

Approfondimento in rete: Letteratura. it / Antenati.

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