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H2ODIO

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XL: “È difficile, nonostante la presentazione, parlare di horror a proposito di questo film”.

ALEX INFASCELLI: “Infatti non lo è, come Almost Blue non era un film sul serial killer e Il siero della vanità non era un giallo. Devo sempre lottare per non vedere delle etichette appiccicate sui miei film. Questo in realtà è un dramma classico. In America lo chiamerebbero un ‘mistery drama’. È un oggetto misterioso, dove ho cercato di mettere un po’ di tutto: Bergman, Altman, il cinema al femminile che abbiamo visto negli anni. Anche Almodovar in chiave horror, questo sì” (Fonte: XL 9, maggio 2006)

 

…e tuttavia di un b-movie horror questo H2ODIO ha il dna incontrovertibile: un soggetto sciatto, leggero e prevedibile, fondato sul più convenzionale degli inneschi – quello che poteva servire ai liceali durante i fine settimana, con le vecchie 8mm, per realizzare facilmente qualcosa di nuovo. L’innesco è presto sintetizzato: una casa (in riva al lago), cinque amiche (e nessuno nei dintorni), niente media e niente hi-tech (nostalgia episodica), e la battuta classica del caronte che accompagna le ragazze sull’isola, “ci vediamo tra una settimana”, degna d’essere campionata tra le massime di Murphy. È già tutto chiaro, moriranno tutte (l’ospite ha l’omicidio nel genoma: ecco il segreto del film).

Quindi, chiariamo le cose: se questo film non avesse potuto contare sulla musica di Harvestman, sull’estetica da video rock, sulla conoscenza della distorsione (psichedelia!) dell’ex emi-rocker amerikano Infascelli e su un preteso (e osteggiato) simbolismo non avrebbe potuto che rivolgersi al mercato degli homevideo, come appunto sino a ora è avvenuto, direttamente e senza passare dalle sale (cfr. ultimo paragrafo). E non avrebbe riscontrato particolare fortuna: alimentando soltanto quella risibile ma suggestiva nicchia di spettatori legati alle culture rock. Pochi ma (tendenzialmente) buoni.

 

Sorta di lugubre e incubotico divertissement adolescenziale, H2ODIO si lascia guardare tra un popcorn e un bicchiere di quelli nemmeno troppo buoni, compiaciuto, acido e non estraneo alle astuzie di sceneggiatura “alternative mainstream” com’è (penso alla battuta su Winnie Pooh che per il miele ‘avrebbe rubato uno stereo’. Equivale all’aneddoto su Puffetta in “Donnie Darko”).

 

Perché occuparsi di un regista che, ad oggi, ha dato vita al mediocre “Almost Blue” (tratto dal romanzo di Lucarelli) e al pessimo “Il siero della vanità” (scritto con l’einaudiota cannibale Ammaniti)? Perché questo H2ODIO è un’operazione di marketing. “Sagace”, diciamo così. E non ha altra valenza che questa, a ben guardare. I video rock Infascelli sapeva girarli anche da giovane, frammentarli in un lungometraggio è tutta maniera.

 

Il Gruppo Editoriale L’Espresso ha una “finestra di lancio prioritaria” di circa due mesi: distribuzione esclusiva. Niente cinema, niente tubo catodico: questo film, PER ORA, esce solo in edicola. Infascelli ha fondato la 52 S.r.l.: per “rivoluzionare gli schemi tradizionali della distribuzione (…), ottimizzare il percorso distributivo (…)”. Ma attenzione. Questo percorso distributivo non è abiurato: “H2ODIO avrà un percorso distributivo regolare, passando per PayTV, telefonini, internet, terrestre, distribuzione home-video nel normal trade. Non si esclude inoltre una distribuzione nelle sale cinematografiche”.

Quindi, niente rivoluzione. È solo una strategia di marketing, a ben guardare: non è un caso che la cosa migliore di questo film siano le illustrazioni del package, curate da Ana Bagayan.
H2ODIO è davvero ben confezionato, questo sì. E titillerà la sensibilità estetica di chi proprio non sa fare a meno di applicare letture psicanalitiche a una pellicola. Semplificando, chiosiamo: questo film è onanismo rock ibridato alla pubblicità. A real postmodern freak.

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