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Brunei, la sharia entra completamente nell’ordinamento penale

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«L’applicazione della pena di morte per una così ampia gamma di reati viola il diritto internazionale. La lapidazione costituisce tortura oltre che una punizione o trattamento crudele, inumano o degradante ed è quindi chiaramente vietata»
(Rupert Colville, portavoce dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani)
 
Situato nell’isola del Borneo, il piccolo Sultanato del Brunei[1] dal prossimo 3 aprile vedrà il completamento del lungo processo di riforma del proprio ordinamento penale con l’entrata in vigore delle pene mutate dalla sharia[2], la legge coranica.
I circa più di 450.000 abitanti[3] si troveranno assoggettati a misure coercitive della propria libertà personale che puniranno comportamenti quali l’adulterio e l’omosessualità con la morte per lapidazione.
Pur dotato di una costituzione dal 1959, il Sultanato del Brunei ha dichiarato formalmente la sua indipendenza nell’ambito dell’impero britannico solo nel 1984.
Dal 2014, poi, l’attuale sultano Hassanal Bolkiah ha avviato una profonda riforma dell’ordinamento giuridico del suo paese con la progressiva introduzione della sharia, la legge coranica, che si affianca alla common law ereditata dal protettorato britannico e si applica ai cittadini di religione islamica.
L’obiettivo dichiarato è stato quello di preservare la purezza della religione e cultura della prevalente comunità musulmana, e per questo motivo il sovrano ha proibito anche ogni manifestazione pubblica delle altre confessioni, vietando l’esibizione di simboli (per esempio, la kippah ebraica) o la celebrazione di festività non islamiche (come il Natale).
Esporre un albero di Natale può comportare fino a 5 anni di carcere.
I precetti coranici prevedono nello specifico la comminazione della pena di morte per lapidazione nei casi di omicidio, possesso illegale di armi da fuoco e di esplosivi, detenzione e traffico di droga. Pena capitale anche per i reati di terrorismo, rapimento, alto tradimento, incendio doloso di beni pubblici, reati militari, falsa testimonianza in un processo che si conclude con la condanna a morte di un innocente.
Pene distinte erano previste per fattispecie di minor rilievo: amputazione degli arti (mani o piedi) per il furto, fustigazione per il consumo di bevande alcoliche e l’interruzione della gravidanza.
Con la riforma del Codice Penale[4] che entrerà in vigore il prossimo 3 aprile, tutti i cittadini musulmani (2/3 della popolazione totale) saranno passibili di morte per i reati di rapina (art. 63), stupro (articolo 76), adulterio e sodomia (articolo 82).
Per l’omicidio, la blasfemia o l’oltraggio alla religione islamica, potrà essere inflitta la morte per lapidazione.
Il Brunei è il primo paese al mondo a introdurre un codice penale basato sulla sharia a livello nazionale anche se dobbiamo ricordare che considerare penalmente rilevanti alcuni comportamenti sessuali come l’adulterio e la sodomia, legati alla sfera intima delle persone, deriva al sultanato, e ad altri ordinamenti giuridici contemporanei (come la Tasmania in Australia o le regioni del nord della Nigeria), dal trascorso coloniale inglese ma oggi più che mai ciò confligge con le conquiste della diffusa cultura dei diritti umani universali.
Sia nel 2009 che nel 2014 il Brunei non ha accettato le raccomandazioni provenienti dal Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite volte alla moratoria o abolizione della pena di morte contestando che non vi sia nessun obbligo in tal senso proveniente da strumenti di diritto internazionale.
«L’applicazione della pena di morte per una così ampia gamma di reati viola il diritto internazionale», ha detto Rupert Colville, portavoce dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, ribadendo che «la lapidazione costituisce tortura oltre che una punizione o trattamento crudele, inumano o degradante ed è quindi chiaramente vietata».
Per altro, il Sultanato è sì tra i firmatari della Convenzione Onu contro la tortura[5] ma non l’ha mai ratificata.
L’annuncio del nuovo codice penale è stato accolto con sgomento da molti gruppi in difesa dei diritti umani che hanno invitato il Brunei a fermare immediatamente l’attuazione delle nuove misure penali ricordando che alcune delle fattispecie previste, quali i rapporti consensuali tra adulti dello stesso sesso, non possono e non devono essere considerate come reati.
D’altro canto, alle critiche e condanne pervenute alle autorità del Brunei, il Sultano ha risposto in maniera decisa che la riforma era un dovere in base all’Islam: «Per le teorie giuridiche occidentali, la legge di Allah è crudele e ingiusta, ma Allah stesso ha detto che la sua legge è la sola vera e giusta!».
Ubi maior, minor cessat!

[1] Denominato ufficialmente Nagara Brunei Darussalam, cioè Stato del Brunei, Dimora della Pace.
[3] 67% musulmani; 13% buddisti; 10% cristiani; 10% altro.
[4] Cfr. Shariah Penal Code Order.
[5] Cfr. il testo Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti in https://www.unhcr.it/wp-content/uploads/2016/01/Convenzione_contro_la_Tortura.pdf .

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