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“Impeachment”: Presidente in stato d’accusa…

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Si può delegare l’autorità ma non la responsabilità
Karl Popper
 
Il termine inglese “impeachment” (accusa) indica un istituto giuridico di origine anglosassone, praticato in Inghilterra fin dalla fine del 1300, che prevedeva il processo ai titolari di cariche pubbliche per condotte illecite tenute nello svolgimento delle loro funzioni. Ormai decaduto nel Regno Unito, l’impeachment statunitense è invece un istituto ancora pienamente in vigore[1].
Nel linguaggio giornalistico italiano, però, la parola è usata per definire (forse impropriamente per l’eccessiva semplificazione), una procedura prevista dalla Costituzione con la quale il Parlamento può mettere il Presidente della Repubblica in stato d’accusa, anche se solo in alcuni specifici casi[2].
L’art.90 della Costituzione italiana, infatti, riconosce al Presidente della Repubblica una particolare forma di “non-responsabilità” per qualsiasi atto compiuto nell’esercizio delle sue funzioni, al fine di garantirne piena autonomia e libertà:
Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione.
In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri.[3]
Il Presidente non ha una responsabilità propria in quanto “organo”, nel senso che dal punto di vista “politico” egli non partecipa alla formazione dell’indirizzo politico del governo e non ha poteri di decisione: l’argomento è sottile ma la sua unica “responsabilità politica diffusa” è quella nei confronti di una generalità di persone (in questo caso i cittadini), che non possono esercitare nei suoi confronti uno specifico e diretto potere “sanzionatorio”, ma solo un generale diritto di critica[4].
D’altra parte anche dal punto di vista “giuridico” poiché ad ogni atto, in concreto, un soggetto deve essere chiamato a rispondere ecco che l’art.89 stabilisce che:
Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità.
Gli atti che hanno valore legislativo e gli altri indicati dalla legge sono controfirmati anche dal Presidente del Consiglio dei ministri[5].
Perciò la responsabilità politico/giuridica di tutti gli atti di formale provenienza dal Presidente, ricade sempre sui membri del governo che li controfirmano, e si assumono la responsabilità delle conseguenze derivanti dalla loro attuazione[6].
Tornando all’art.90, le uniche eccezioni a questo principio si configurano nel caso che abbia commesso “nell’esercizio delle sue funzioni” uno dei due reati previsti: “alto tradimento” o “attentato alla Costituzione”. Infatti, fuori dal perimetro dell’esercizio delle sue funzioni nel quale Egli gode di immunità penale assoluta, la responsabilità penale (o civile) del Presidente può sorgere per un reato (o atto illecito), commesso come qualsiasi privato cittadino[7].
Il contenuto di queste due fattispecie di reato presidenziale non viene specificato nè dalla Costituzione né dalla legge penale. Tuttavia può considerarsi “alto tradimento”, secondo l’interpretazione della dottrina, ogni comportamento doloso che, offendendo la personalità interna e internazionale dello Stato, costituisca una violazione del dovere di fedeltà alla Repubblica. Esso presuppone, per es., un’intesa con potenze straniere per pregiudicare gli interessi nazionali o, addirittura, sovvertire l’ordinamento costituzionale[8].
Attentato alla Costituzione” deve ritenersi, invece, ogni comportamento doloso diretto a sovvertire le istituzioni costituzionali o a violare la Costituzione. Il Codice Penale italiano contiene una definizione precisa del reato di “Attentato contro la costituzione dello Stato”, all’art.283:
Chiunque, con atti violenti, commette un fatto diretto e idoneo a mutare la Costituzione dello Stato o la forma di Governo, è punito con la reclusione non inferiore a cinque anni.[9]
A ben vedere, dunque, la legge penale non proibisce al cittadino comune di agire per modificare la Costituzione o la forma di Governo del Paese[10] se ciò costituisce la sua convinzione politica, ma vieta di farlo con l’uso della violenza: l’ordinamento democratico non deve vincolare i fini “politici”, ma è tenuto a essere inflessibile sui mezzi utilizzati per conseguire tali obiettivi[11].
Il reato presidenziale è stato invece concepito, probabilmente, al fine di prevenire il tentativo di sovvertire le istituzioni repubblicane mediante l’influenza del loro “Capo supremo” sulle Forze Armate, anche senza un uso plateale della violenza da parte sua[12].
La procedura che porta il Presidente allo stato di accusa davanti al Parlamento in seduta comune è dettata dalla Legge Costituzionale 11-3-1953 n. 1, dalla legge 5 giugno 1989, n. 219 e da un regolamento parlamentare[13].
L’art.5 della l.219/1989 dispone che i “rapporti, i referti e le denunzie concernenti i reati indicati nell’articolo 90 della Costituzione”, da chiunque proposti, devono essere presentati o fatti immediatamente pervenire al Presidente della Camera dei Deputati, che li trasmette ad un Comitato formato dai componenti della Giunta del Senato della Repubblica e da quelli della Giunta della Camera dei Deputati competenti per le “autorizzazioni a procedere” in base ai rispettivi Regolamenti. Tale Comitato di parlamentari “indaga” con i poteri della magistratura[14].
Devono in ogni caso essere deliberati dal Comitato i provvedimenti che dispongono intercettazioni telefoniche o di altre forme di comunicazione, ovvero perquisizioni personali o domiciliari, nonché quelli che applicano misure cautelari limitative della libertà personale nei confronti degli inquisiti. Nei confronti del Presidente della Repubblica non possono essere adottati i provvedimenti indicati sopra se non dopo che la Corte Costituzionale ne abbia disposto la sospensione dalla carica[15]. Le indagini devono compiersi nel termine di 5 mesi prorogabili di ulteriori tre; infine il Parlamento in seduta comune, sulle risultanze di tali indagini, vota “a maggioranza assoluta” lo stato di accusa[16].
La fase strettamente giurisdizionale si svolge dinanzi la Corte Costituzionale in composizione integrata (con 16 Giudici popolari) e consta di un’attività istruttoria, del dibattimento e della decisione finale[17]; il primo comma dell’art.15 della L. Cost. 1/1953 dispone che “Per i reati di attentato alla Costituzione e di alto tradimento commessi dal Presidente della Repubblica, la Corte costituzionale, nel pronunciare sentenza di condanna, determina le sanzioni penali nei limiti del massimo di pena previsto dalle leggi vigenti al momento del fatto, nonché le sanzioni costituzionali, amministrative e civili adeguate al fatto”.
Nella storia repubblicana si è giunti in soli due casi alla richiesta di messa in stato d’accusa del Capo dello Stato, nel dicembre 1991 contro il Presidente Cossiga e nel gennaio 2014 contro il Presidente Napolitano; entrambi i casi si sono chiusi con la dichiarazione di manifesta infondatezza delle accuse da parte del Comitato Parlamentare. In precedenza il Presidente Antonio Segni il 7 agosto 1964 ebbe un incontro con Giuseppe Saragat e con il Presidente del Consiglio Aldo Moro, nel corso del quale il leader socialdemocratico accusò Segni di aver progettato un colpo di stato assieme al generale De Lorenzo, minacciando di attivare l’articolo 90. Segni fu colto all’istante da un ictus che lo obbligò alle dimissioni. Dopo il mandato di sette anni di Saragat fu la volta di Giovanni Leone che, sul finire del suo mandato, fu coinvolto dallo scandalo Lockheed. Accusato di essere il destinatario di tangenti, Leone fu attaccato per settimane in modo molto violento dalla stampa. Così Dc e Pci lo costrinsero alle dimissioni con sei mesi di anticipo.
A tutt’oggi la prova di aver commesso i reati previsti dall’art.90 della Costituzione, da parte di un Presidente della Repubblica si è dimostrata sempre infondata…
 
Il silenzio aumenta enormemente l’autorità
Charles De Gaulle
 

(Nell’immagine in testa all’articolo: Roma, via Venti Settembre 12)

 
 

[1] Negli Stati Uniti può essere intrapreso nei confronti dei poteri dell’esecutivo: Presidente, Vicepresidente, funzionari amministrativi e Giudici delle giurisdizioni federali (per questi ultimi, essendo di nomina vitalizia, l’impeachment è l’unico modo per essere destituiti dalla carica). Il problema principale è la definizione degli illeciti; la costituzione U.S.A parla infatti di tradimento (treason), corruzione (bribery) e di altri gravi crimini e misfatti (high crimes and misdemeanours). Per quanto concerne invece i componenti dell’esecutivo, sono stati sottoposti a impeachment i Presidenti democratici Andrew Johnson (1868) e Bill Clinton (1999). Non si può invece propriamente parlare di impeachment per i casi di Spiro Agnew (1972), vicepresidente con Nixon, e di Richard Nixon stesso (1973, per lo scandalo Watergate), poiché le dimissioni di entrambi chiusero la procedura prima che venisse avviata formalmente. (fonte Wikipedia). 

[2] L’estensione del termine impeachment a realtà politiche e costituzionali diverse da quella statunitense spesso è tecnicamente impropria, perché ogni ordinamento ha le sue peculiarità e va ascritta alle tendenze e alle mode del linguaggio politico e giornalistico. 

[3] Costituzione – Parte II – Ordinamento della repubblica – Titolo II – Il presidente della repubblica (artt. 83-91). 

[4] La Costituzione non prevede l’esistenza di alcun organo cui il Presidente debba rendere conto del proprio comportamento “politico”, cioè delle scelte, a volte, discrezionali o fondate su motivi di opportunità, che egli deve assumere nell’applicare le norme della Carta di sua competenza (es. la nomina di un determinato Ministro proposto dal Presidente del Consiglio dei Ministri). 

[5] V. Alberto Monari, Kultunderground n.107-APRILE 2004: “Troppa Grazia…(e poca Costituzione…)” rubrica Diritto. 

[6] Cfr. Giorgio Berti: “Interpretazione costituzionale”, seconda edizione, CEDAM Padova 1990, pp.580. Storicamente, la controfirma nasce a tutela dell’indipendenza assoluta del Re e rappresenta il mezzo per trasferire la responsabilità di ogni atto sui Ministri. Oggi questa funzione è stata conservata solo per alcuni tipi di atti, cioè per quelli sostanzialmente provenienti dai Ministri (o dal Presidente del Consiglio) e ascrivibili solo formalmente al Capo dello Stato (esempio tipico ne sono gli atti di ratifica dei trattati internazionali ai sensi dell’art. 87, comma 8 Cost.). Diversa è la funzione della controfirma negli altri casi. Infatti, rispetto agli atti anche sostanzialmente presidenziali (come la nomina di cinque giudici costituzionali ex art. 135 Cost.) essa assolve al controllo circa la correttezza dell’atto, sia sul piano formale che della formazione della volontà presidenziale.

[7] Analogamente a quanto accade per i membri del Parlamento, secondo l’interpretazione che la Corte Costituzionale fa dell’art. 68 comma 1 Cost. “I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni”. (c.d. “immunità parlamentare”). V. Davide Caocci, Kultunderground n.98-LUGLIO 2003: “Dopo il lodo Maccanico” rubrica Diritto.  

[8] Il reato di “perduellio”, tradotto dal latino in “Alto tradimento”, nel diritto romano repubblicano includeva una serie di fattispecie punibili con la condanna a morte, che andavano dalla diserzione allo spionaggio, dall’associazione sovversiva all’insurrezione armata contro i poteri dello Stato. 

[9] Codice penale – LIBRO SECONDO – Dei delitti in particolare – Titolo I – Dei delitti contro la personalità dello stato – Capo II – Dei delitti contro la personalità interna dello stato. 

[10] A questo riguardo nella Costituzione stessa vi è un unico limite nell’ultimo articolo: art.139: “La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale” 

[11] Cfr. Alberto Monari, Kultunderground n.267-OTTOBRE 2017: “Apologia del fascismo 2017: La legge “Scelba”rubrica Diritto. 

[12] Cfr. Alberto Monari, Kultunderground n.148-NOVEMBRE 2007: “Il Capo supremo delle Forze Armate”rubrica Diritto. 

[13] L. Cost. 11-3-1953 n. 1 Norme integrative della Costituzione concernenti la Corte costituzionale. L. 5-6-1989 n. 219 Nuove norme in tema di reati ministeriali e di reati previsti dall’articolo 90 della Costituzione. 

[14] Art.6 L. 5-6-1989 n. 219: “1. Nei procedimenti relativi ai reati di cui all’articolo 90 della Costituzione non sono richieste le autorizzazioni previste dal secondo e dal terzo comma dell’articolo 68 della Costituzione. 2. Nei procedimenti relativi ai reati di cui al comma 1 non possono essere opposti il segreto di Stato e il segreto d’ufficio.” 

[15] Art.7 L. 5-6-1989 n. 219, commi 2 e 3. 

[16] Nei casi previsti dalla Costituzione, la riunione dei membri di ambo le Camere avviene contestualmente ed in unico luogo (a Palazzo di Montecitorio, sede della Camera dei Deputati, anche per ragioni di spazio). Essa viene convocata, indi presieduta, dal Presidente della Camera stessa, secondo i suoi regolamenti ed utilizzandone i relativi uffici e strutture. 

[17] V. Alberto Monari, Kultunderground n.243-OTTOBRE 2015: “Il Giudice delle Leggi-una istituzione tra politica e diritto”, rubrica Diritto.

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