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Intervista con Ropsten

9 min read

ROPSTEN EERIE IL KRAUT ROCK MADE IN ITALY 

 
“Eerie” è uno stato d’animo, il racconto in musica della degenerazione tecnologica, un disco dai suoni alienanti che mescola kraut rock, elettronica e space rock con derive psichedeliche. Un viaggio sonoro e visivo nei luoghi più nascosti della mente, dove a fatica si distingue la differenza tra umanità e macchine.
Scritto e suonato dai Ropsten (Simone Puppato, Claudio Torresan, Leonardo Facchin, Enrico Basso).
Registrato tra agosto e dicembre 2016. Batteria registrata da Jason Nealy e Marco Banderne presso Benicio Live Gigs (Giavera del Montello, Treviso), tutti gli altri strumenti registrati dai Ropsten presso il Source Studio. Mixato e masterizzato tra febbraio e maggio 2017 da Tommaso Mantelli presso Groove Studio (Casale sul Sile, Treviso). Suoni aggiuntivi a cura di Tommaso Mantelli. Artwork e grafica di eeviac.
 
Bio:
I Ropsten si formano a Cornuda (Treviso, Italia) nel 2009 come quartetto strumentale. Nel 2011 pubblicano il primo EP autoprodotto “… and I fell asleep on a chair, downstairs in the corner”, attirando l’attenzione dell’etichetta canadese Dwyer Records, che ne stampa una versione limitata in cassetta. Segue, nel 2014, un altro EP autoprodotto, “Fault”. In questo periodo i Ropsten condividono il palco con Tides From Nebula, The White Mega Giant, Iosonouncane, suonano in locali storici come il Vinile di Bassano del Grappa e partecipano a Sherwood Festival aprendo, insieme ai Winter Dust, i concerti di God Is An Astronaut e Blonde Redhead.
Nel 2018 il primo album, “Eerie”, pubblicato da Seahorse Recordings.
 
Tracklist: 1.) Y.L.L.A. / 2.) Grandma’s Computer Games / 3.) Globophobia / 4.) Batesville / 5.) Kraut Parade / 6.) Brain Milkshake / 7.) 180 mmHg
 
Formazione: Simone Puppato (guitar, keyboards) / Claudio Torresan (guitar, noise, keyboards) /Leonardo Facchin (bass guitar, keyboards) / Enrico Basso (drums)
 
Pagina Facebook: www.facebook.com/rpstn
 
 
Intervista
 
Davide
Ciao. Partiamo da voi. Insieme da quasi una decade, come vi siete incontrati, da quali precedenti esperienze formative e come si è evoluto il vostro progetto finalmente sancito da un primo album?
 
Ropsten
Ciao Davide! I Ropsten hanno iniziato a suonare nel 2009, ma la formazione attuale ha preso corpo solo nel 2015. In mezzo ci sono stati alcuni cambi di componenti, un paio d’anni passati in tre – senza batteria, periodi di lavoro e studio all’estero e due EP autoprodotti. Simone e Claudio (chitarre e tastiere) sono gli unici rimasti dall’inizio, Leonardo (basso) è entrato nella lineup nel 2010, Enrico (batteria) nel 2015. Per provenienza geografica comune e amicizia ci conosciamo più o meno da sempre. Prima dei Ropsten, ognuno ha avuto esperienze con band diverse: crossover-nu metal, stoner, indie rock, noise. In generale possiamo dire rock alternativo, dài. Con l’ingresso di Enrico abbiamo iniziato il percorso che ha portato alla pubblicazione di “Eerie”, prima di tutto ampliando e condividendo le influenze e gli ascolti. Come tempi di realizzazione, un anno per rodare la nuova formazione (anche con qualche bel live) e scrivere i pezzi, cinque mesi per le registrazioni (quasi completamente casalinghe a parte la batteria, registrata a Benicio Live Gigs), un paio di mesi per mix e master. Ci abbiamo messo un po’ a completare i lavori, ma siamo molto contenti del risultato, grazie anche al super lavoro di Tommaso Mantelli in fase di mix e master. In seguito siamo entrati in contatto con Paolo di Seahorse Recordings, ci siamo trovati subito in sintonia ed eccoci qua.
 
Davide
Ropsten come la “pietra che grida”, il masso nell’omonima area di Stoccolma da cui in passato le persone chiamavano un battello che le traghettasse sull’altra sponda dello stretto? O cosa?
 
Ropsten
Indovinato! La band si è formata poco dopo il ritorno di Michele, il primo batterista, da un Capodanno a Stoccolma. Era rimasto particolarmente impressionato dal paesaggio, ma soprattutto dal freddo, di quei luoghi. La musica che facevamo all’inizio era molto fredda, dilatata, e si abbinava alla grande con l’immagine anche visiva di Ropsten. La copertina del primo EP è una foto scattata proprio durante quel viaggio a Stoccolma.
 
Davide
Eerie” ossia insolito, strano, misterioso, inquietante… Cos’è “eerie” in questo vostro lavoro, in che modo avete inteso un suo “essere fuori dal comune” o dalla comune musica?
 
Ropsten
Il concept del disco è nato intorno alla cosiddetta “Uncanny valley”, uno stato d’animo di sconcerto che si sviluppa man mano che robot costruiti con sembianze umane si avvicinano sempre di più ad essere reali o anche solo più simili all’uomo. Abbiamo ampliato e un po’ elaborato il concetto, immaginando di creare il suono di una specie di distopia, un po’ alla Black Mirror, nella quale lo sviluppo e l’utilizzo eccessivo di alcune tecnologie rendono l’uomo subordinato – oltre che dipendente – da queste, e a comandare è il “robot”, o l’oggetto materiale in generale. Al giorno d’oggi, più o meno coscientemente, forse ci siamo già dentro. Per noi questa prospettiva è inquietante, “Eerie”, ed è una sensazione che ci accompagna spesso. Abbiamo provato a renderla attraverso diversi espedienti sonori: il parlato nella prima traccia, alcuni suoni di synth e di chitarra con distorsioni, le pause e le code con un sacco di delay, le incursioni di chitarra acustica, l’ultima traccia lunga e ipnotica.
C’è da dire poi che “Eerie” è una parola super figa dal punto di vista fonetico.

Davide
Veniamo ai titoli, che nella musica strumentale e nella loro estrema sintesi, volenti o nolenti, suggeriscono un tema o un’immagine più di quanto non riesca a fare a volte un intero testo: si va da Y.I.L.A. (che scritto in modo non puntato significa, in slang, un giovane così bello da fare innamorare ogni donna) a 180mmHg, un valore superato il quale si incorre in crisi ipertensive, passando per la “Globophobia”, una curiosa fobia verso palloni e palloncini, specialmente all’idea che possano scoppiarci tra le mani… Traccia per traccia, come sono nati questi sette titoli decisamente originali?
 
Ropsten
Abbiamo cercato di puntare sull’esagerazione e sull’assurdo, rimanendo fedeli al concept distopico.
Non eravamo a conoscenza di questo significato di YLLA; nel nostro caso, puntato, è l’acronimo di “Yogurt Lid Lickers Association”, ma non vogliamo dire di più, lasciamo un alone di mistero.
Il titolo “Grandma’s computer games” è nato dal ritmo incalzante e ripetitivo della canzone: richiama giochi come Tetris e Pacman, che per noi sono ancora relativamente recenti, ma per i più giovani potrebbero già essere considerati giochi da nonni. “Globophobia” non ha un significato particolare relativo alla traccia, ma ci piaceva come tipo di paura, è abbastanza assurda in effetti… “Batesville” è l’azienda leader negli Stati Uniti nel settore delle bare; Claudio voleva rendere l’effetto di una chitarra dentro una bara, abbiamo cercato qualche notizia su Google et voilà. “Kraut parade” richiama evidentemente il krautrock; in verità è un pezzo vecchio, ma abbiamo deciso lo stesso di inserirlo anche se il titolo non era in linea con l’idea generale del disco perché è una canzone che ci piace molto e ci divertiamo a suonare dal vivo. “Brain milkshake” è riferito al rimbambimento generale creato dalla tecnologia e “180mmHg” è, come dicevi giustamente, il valore massimo prima di incorrere in seri problemi di ipertensione. Ipertensione del sangue, ma anche della mente, dettata dai tempi sempre più frenetici.  
 
Davide
“Kraut Parade” è un omaggio al krautrock, in realtà una scena molto variegata composta da gruppi molto diversi tra loro, e più esattamente ai Neu? Perché il vostro particolare interesse verso questa particolare scena rock tedesca degli anni ’70?
 
Ropsten
Sì, è un richiamo e un omaggio al periodo e alle band krautrock. A posteriori, forse è stato il genere più rivoluzionario, perché si è distaccato da tutto quello che era stato fatto sino ad allora ed è stato poi fondamentale per gran parte della musica che siamo abituati ad ascoltare, alternativa e non: elettronica, house, techno, post-punk, ambient, post-rock, rock psichedelico, hip hop. Forse il nostro interesse è legato alla possibilità che trasmette il krautrock di evolversi, reinventarsi e sperimentare continuamente, pur rimanendo fedeli alla propria linea e anche, in un certo senso, di essere distaccati da certe logiche commerciali e pose di immagine.
 
Davide
In che modo lavorate sulla vostra musica perché possa espandere o alterare la sfera senso-percettiva ed emotiva e della coscienza? Quando riconoscete di avere cioè raggiunto un certo grado efficace di “psichedelia” a cominciare da voi stessi?
 
Ropsten
Secondo noi la musica, di qualsiasi tipo essa sia, deve prima di tutto trasmettere delle emozioni; nel caso della musica psichedelica, la chiave risiede nel riuscire a creare una trance collettiva, un “rito” che prende forma quando si suona insieme. L’unione di tutte le parti strumentali dà vita a una specie di ipnosi e quando riusciamo a raggiungerla siamo soddisfatti. In sala prove cerchiamo di creare questa trance tra di noi, dal vivo c’è anche la componente del pubblico e proviamo a coinvolgere anch’esso.
 
Davide
“Uno” o “Unico” e “Osservo”, questa l’origine greca della parola monoscopio (in copertina una classica test card televisiva usata in passato appunto come monoscopio). Cosa volevate rappresentare con questo primo impatto visivo al vostro lavoro?
 
Ropsten
In questo caso il significato più vicino alla nostra idea è “osservo”: il monoscopio rappresenta la distopia di cui parlavamo prima, la tecnologia che supera i confini dell’intrattenimento e del “normale” utilizzo e diventa strumento di controllo sull’uomo. Per la grafica ci siamo affidati a eeviac, un amico grafico, disegnatore e fotografo che lavora con un sacco di band e progetti musicali. Ha abbracciato con entusiasmo il progetto appena sentito il disco ed è stato in grado di riprodurre perfettamente in immagine alcune idee confuse che avevamo in testa.
 
Davide
Scrisse Aldous Huxley che dopo il silenzio, ciò che meglio descrive l’inesprimibile è la musica. Cosa sono per voi la musica e il fare musica, per esprimere o manifestare cosa sopra tutto?
 
Ropsten
In generale, la musica è la nostra vita, ci fa stare bene ed è una “droga”, non riusciremmo a vivere senza di essa; l’abbiamo sempre presa sul serio, anche se farla diventare il nostro lavoro sarebbe difficilissimo e a questo punto della nostra vita forse non ci interessa nemmeno. La musica dei Ropsten cerca soprattutto di trasmettere sensazioni e stati d’animo, non concetti universali: non usando le parole, diamo libertà agli ascoltatori riguardo l’interpretazione di questi stati d’animo, ed è bello sentire i diversi feedback; poi, suonare dal vivo è il massimo e vedere che qualcuno apprezza quello che fai dà sicuramente un sacco di stimoli.
 
Davide
Cosa seguirà?
 
Ropsten
Un paio di video in arrivo, alcune date in estate, un disco nuovo: abbiamo già pronte le canzoni, contiamo di registrarlo entro l’anno; nel frattempo stiamo pianificando un po’ di date, anche all’estero, per il prossimo autunno.
 
Davide
Grazie e à suivre…
Ropsten
Grazie a te!

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