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Solidarietà effettiva

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L’Unione Europea di fronte alla crisi dei migranti

 
«La parola solidarietà può avere un unico significato»
(Dimitris Avramopoulos, Commissario europeo
per le migrazioni, gli affari interni e la cittadinanza)
 
Bruxelles, giovedì 17 novembre, riunione informale dei ministri degli interni dei paesi membri dell’Unione Europea su invito della Slovacchia, presidente di turno del Consiglio.
A cena viene distribuito il no-paper «Solidarietà effettiva: una via da seguire per la revisione di Dublino», si tratta di un documento informale che contiene le proposte per ridefinire il regolamento di Dublino in merito alla gestione dei richiedenti asilo alla luce della crisi umanitaria degli ultimi mesi.
Le due pagine subito segretate hanno acceso forti discussioni tra i partecipanti ma obbligano comunque tutti i cittadini europei ad una riflessione sul principio cardine della ‘solidarietà’ nell’attuale gestione delle politiche europee.
 
Il no-paper e la ‘solidarietà effettiva’
Sono più di un milione le richieste di asilo pendenti dinanzi alle autorità dei 28 Paesi membri dell’Unione Europea e centinaia di migliaia le persone che continuano ad arrivare via mare attraversando il Mediterraneo e via terra dai Balcani.
Negli ultimi mesi, anche in conseguenza degli accordi intercorsi con la Turchia, le pressioni sulle frontiere orientali sono diminuite; costanti risultano, invece, gli sbarchi in Italia e Grecia.
Per discutere di questi e di altri temi, i ministri degli interni dell’UE si sono ritrovati a Bruxelles negli scorsi giorni e, alla vigilia dell’incontro ufficiale, sono stati invitati dalla Slovacchia, che ha la presidenza semestrale del Consiglio, a confrontarsi su una proposta di modifica del regolamento di Dublino per la parte inerente l’accoglienza e gestione dei rifugiati.
Il documento, classificato come no-paper (non documento), porta il titolo «Effective Solidarity: a way forward on Dublin revision»[1]Solidarietà effettiva: una via da seguire per la revisione di Dublino») e in seguito alle accese discussioni suscitate durante la cena è stato prontamente fatto sparire.
Molti ne hanno scritto, noi siamo riusciti ad averne una copia integrale ed interessante risulta quindi la lettura dei suoi contenuti in particolare per l’articolazione che si propone del principio di ‘solidarietà effettiva’ tra gli Stati membri.
Secondo l’art. 80 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, «Le politiche dell’Unione» relative ai controlli alle frontiere, all’asilo e all’immigrazione «sono governate dal principio di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri, anche sul piano finanziario»: introducendo detto principio, il Trattato non lo definisce ulteriormente demandando al diritto derivato le misure appropriate ai fini della sua applicazione ogniqualvolta risulti necessario.
In forza di ciò, le istituzioni europee hanno adottato negli scorsi mesi decisioni per la riallocazione negli altri Paesi dei migranti che si trovano nei centri di accoglienza del Sud Europa, ma ad oggi le procedure amministrative procedono a rilento e le disfunzioni sono macroscopiche: Atene e Roma continuano a gestire in proprio l’accoglienza dei richiedenti asilo che giungono sulle proprie coste, Budapest rinforza le barriere fisiche per impedire l’ingresso sul suo territorio e Ankara approfitta a modo suo della situazione.
In questo scenario, la Slovacchia tenta di forzare i propri partner e nelle due pagine del no-paper, dopo aver riconosciuto che «l’attuale sistema di Dublino non funziona in modo soddisfacente», propone che «ogni Stato membro dovrebbe essere pronto a contribuire in modi diversi».
Queste modalità si articolano su tre livelli: uno per le circostanze definite “normali”, un secondo per le circostanze “in deterioramento”, un terzo per le “gravi” circostanze di “crisi eccezionali”.
Nel primo caso, sarebbe sufficiente prevedere un semplice aggiornamento dell’attuale sistema: sino a quando il numero di arrivi rimanesse contenuto (ma qui non si indicano parametri quantitativi) ogni Stato membro continuerebbe ad assicurare il controllo delle frontiere esterne, l’accoglienza dei migranti e la loro gestione nel rispetto delle reciproche responsabilità e con l’impegno di incrementare la propria efficienza. Fondamentale comunque sarebbe un miglioramento degli strumenti tecnici amministrativi.
Per le situazioni definite “in deterioramento”, invece, si suggerisce l’adozione di un contributo di solidarietà quando i sistemi di asilo degli Stati membri venissero messi a dura prova a causa dell’elevato numero di arrivi. In questi casi, tutti gli Stati membri dovrebbero partecipare a questo sforzo collettivo per il perseguimento di obiettivi prevedibili, equi e oggettivi.
Per il governo di Bratislava, la solidarietà può attuarsi in forme differenziate con il versamento di  contributi economici allo Stato parte posto sotto pressione o ai Paesi terzi di origine dei migranti o di transito; con contributi speciali all’EASO, l’Ufficio Europeo di Supporto all’Asilo, o all’EBCG, l’Agenzia Europea per le Frontiere e le Coste; con la condivisione di strutture di accoglienza o dei processi di gestione delle domande di asilo; con la partecipazione al rimpatrio forzato dei migranti in caso di non ottenimento dell’asilo.
In questo scenario, il trasferimento e la riallocazione dei rifugiati sarebbe solo uno dei possibili strumenti da impiegare.
Si propone pure la partecipazione diretta del bilancio dell’Unione per sostenere i costi degli interventi.
Il terzo stadio è rappresentato dalle “gravi circostanze” caratterizzate da un numero eccezionalmente elevato di arrivi: queste fanno sí che il sistema di Dublino dimostri la sua completa disfunzionalità e crei un pericoloso effetto domino in molti altri ambiti (politica, economia, sicurezza sociale).
A fronte di ciò, si propone un meccanismo di crisi in cui ogni Stato membro sia parte della soluzione sotto la guida del Consiglio che dovrebbe adottare misure di supporto aggiuntive su base volontaria.
 
Solidarietà ‘condivisa’, ‘flessibile’, ‘effettiva’
Ad un primo esame il documento della presidenza slovacca appare tanto superficiale quanto impreciso: più un brogliaccio che una proposta di lavoro, privo di qualsiasi riferimento normativo, economico, quantitativo o qualitativo circa il fenomeno migratorio che si intende fronteggiare così come delle utilities tecniche da impiegare.
Se non fosse stato per la qualificazione di ‘effettiva’ apposta al tradizionale principio di solidarietà proprio del sistema europeo, immagino che queste pagine sarebbero state cestinate senza destare il minimo interesse.
Invece, negli ultimi mesi abbiamo assistito a diverse trasformazioni della solidarietà: condivisa, flessibile, effettiva.
Oltre l’art. 80 sopra richiamato in tema di controlli alle frontiere, asilo e immigrazione, abbiamo la norma dell’art. 222 del Trattato sul Funzionamento che è rubricata come ‘clausola di solidarietà’ e dove al I comma si prevede espressamente che «L’Unione e gli Stati membri agiscono congiuntamente in uno spirito di solidarietà qualora uno Stato membro sia oggetto di un attacco terroristico o sia vittima di una calamità naturale o provocata dall’uomo».
Sulla stessa linea, per sottolineare quanto sia importante tale principio, non possiamo dimenticare l’art. 67 nel quale, regolando la realizzazione dello spazio unico europeo di libertà, sicurezza e giustizia si richiama la solidarietà tra gli Stati membri.
L’art. 122 che prevede, «qualora sorgano gravi difficoltà nell’approvvigionamento di determinati prodotti», l’adozione di adeguate misure «in uno spirito di solidarietà tra Stati membri».
Il medesimo spirito richiamato all’art. 194 in tema di politica energetica.
Solidarietà che rappresenta quasi un principio generale cui imperniare tutte le relazioni tra gli Stati membri e con le istituzioni europee.
Una piena, totale, incondizionata solidarietà che inizia a limitarsi con il sorgere delle crisi, prima economica, poi sociale, ora dei migranti quale cifra emblematica e di sintesi di un sistema giunto forse al collasso.
Solidarietà che quindi diviene prima ‘condivisa’, nell’accezione del presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker, quasi che potesse esistere una solidarietà solipsistica o egoistica, poi ‘flessibile’, con il calcolo ragionieristico di quanti rifugiati siano necessari per attivare la solidarietà dei soci europei, perché è bene essere solidali ma è meglio garantirsi margini di manovra e vie di fuga da vincoli eccessivamente stringenti, infine ‘effettiva’, parola tecnica che nasconde la grande ipocrisia e che sarebbe più corretto definire “à la carte” o “on demand“, vale a dire “a piacere”, secondo la disponibilità di ciascuno e non la “effettiva” necessità di chi chiede asilo e di chi può offrirlo .
Involuzione del principio che va di pari passo con il processo di raffreddamento dello stesso sistema europeo e su cui da queste pagine[2] abbiamo già avuto modo di riflettere.
Nell’estate del 2015, il Consiglio Europeo aveva deciso la riallocazione di circa 160.000 rifugiati: 120.000 in quote obbligatorie, 40.000 secondo impegni volontari dei singoli Stati membri, proprio in applicazione della solidarietà flessibile. Purtroppo, a distanza di più di un anno, siamo ancora ben lontani da questo obiettivo e gli arrivi non sono cessati.
Al momento, quindi, nessuna solidarietà flessibile e stop anche alla solidarietà tout court: se ne discute solo dopo che saranno stati rispettati gli accordi sulle quote di ricollocamento.
Ora, il rischio è che si consolidi la convinzione che non esista nessun dovere solidario di sostenere i Paesi in prima linea, come l’Italia e la Grecia, ma solo la possibilità di aiuti su base volontaria: prospettiva crudele, difficile da accettare, da capire, da spiegare.
 
Un insegnamento della Dottrina Sociale della Chiesa
Sappiamo bene che a breve molti Paesi membri dell’Unione avranno appuntamenti elettorali in cui l’atteggiamento dei propri leader nei confronti delle istituzioni europee giocherà un ruolo chiave per conquistare il voto popolare: l’apertura ai richiedenti asilo o la chiusura delle frontiere, la leale collaborazione con i vicini o la cura egoistica dei propri interessi nazionali, la solidarietà disinteressata o condizionata.
Questi saranno i pesi e contrappesi che si confronteranno nei prossimi mesi nelle cancellerie e nelle piazze europee.
Un’ultima nota, a questo punto, può risultare utile e viene dalla Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica, là dove il principio della solidarietà ha avuto la sua caratterizzazione più completa.
La lettera enciclica Sollicitudo Rei Socialis di San Giovanni Paolo II, al suo N. 38, ci offre una semplice e completa definizione della solidarietà valida per credenti e non: «la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti».
Definizione di carattere prevalentemente morale, ma che fa emergere in maniera chiara anche il suo ruolo etico-sociale ponendola in relazione con la responsabilità e il bene comune.
L’augurio è che l’Europa possa far memoria anche di questo suo patrimonio e ne tragga i migliori frutti.
 
 

[2] Ricordo solo il mio Europa T&R, Tradimento & Rinnovamento, in KultUnderground, n.244, novembre 2015, dove si parla ampiamente del principio di solidarietà quale strumento per rilanciare il progetto europeo.

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