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Da Roma a Roma – Andrea Carraro

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Viaggio nelleperiferie della capitale
prefazione diRaffaele Manica,
Ediesse (Roma,2009), pag. 170, euro 10.00.
 
Di solito ci scoccia una lettura che parteo parta, che s’apra e inizi dalla copertina d’un testo. Ma mai come in questocaso, si dice, mai come per dire del reportage narrativo di Andrea Carraro “DaRoma a Roma” è necessario ricordare dell’immagine di copertina, appunto; che,diciamolo meglio, perché Carraro attraversa in un certo senso Pasolini, dunquela fotografia presa da un momento della “Ricotta”, tra l’altro scattata dalgiornalista Dondero, è necessaria a inquadrare l’opera custodita all’interno. Ese conoscevano Andrea Carraro per la sua maestria nello scrivere racconti,innanzitutto, come nella bravura a strutturare romanzi – vedi Il sorcio (Gaffi,2007) – che si conficcano nell’anima in quanto buoni a gelarci le chiacchieresolite già nella gola, con “Da Roma a Roma” leggiamo dell’imprevedibilità eattenzione con la quale lo scrittore e giornalista entra nelle viscere d’unaperiferia romana, insomma, che tanto per cominciare va oltre le definizioni informa di descrizione di Pier Paolo Pasolini. Letta, la periferia, tra l’altro,non con l’occhio del poeta e dell’intellettuale engagé, quanto più con gliocchiali privi di lente del reporter curioso e ‘assillante’, congiornalista-scrittore, o proprio il contrario preciso, che assecondandocomunque le sue passioni e lo spirito che lo guida entra senza mezzi terminieppure senza fare devastazione in pezzi di attualità geografica che sono senzadubbio nuova antropologia e, a tratti, perfino sociologia pura. Sarà pure, comesi potrebbe riprendere, “un falso movimento”, questo andare da Roma a Roma. Masiamo certi che oltre agli spostamenti vivi e concerti, contestualizzati etestimoniati da tante pagine chiare e limpide, Carraro ha fatto uno spostamentoideale ed epurato la sua mente da una serie di pregiudizi, certa che l’autorestesso conferma nell’opera, per arrivare a disegnare queste realtà davveroaffrontate. Quindi, lasciando stare l’Idroscalo d’Ostia, dove dovremmonecessariamente entrar meglio nel dramma del Pasolini, non possiamo che farequalche esempio per cercare di fare capire cosa veramente Andrea Carraro èriuscito a costruire. D’altronde partendo da reportage già scritti per diversigiornali. Però i luoghi, compresi alcuni non-luoghi, sono tanti. Dunque citiamosolamente e banalmente due occasioni. Quelle che, a nostro parere, raccontanopiù che altro l’incrocio fra il punto di vista dello scrittore con l’azionedegli spazi osservati. Insomma l’Olgiata è un quartiere chiuso, chi lo sapevaintanto?, della periferia romana benestante; nel senso che è  protetto davere e proprie sbarre; gli abitanti c’entrano, oltre alle persone che prima divarcare la soglia del rione devono farsi autorizzare, muovendo uno dei tantooggi utilizzati badge, le tesserine apri-proprietà privata. Per sopravvivere inun posto pieno di verde quanto libero da edicole o librerie. E nel quale iltraffico dei normali non passa. E per questa ragione, ci piacerebbe che imanilesi dell’altro racconto preso a misura di paragone, quelli che prima sonola “coppia” a servizio d’un agiata famiglia romana per poi lasciare questiconiugi molto autoritari direzionandosi nell’accudimento d’un invece tranquilloanziano, prendessero possesso della lande rinchiuse. Aprendole a ciascuno.Certamente, Andrea Carraro ci racconta un’umanità nuova. Se vogliam esserebuoni col nostro genere. E l’autore, d’altronde, non ha pietà neppur per sestesso.

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