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Intervista con Franco Baggiani

8 min read
A un anno di distanza dall’acclamato ‘Memories Of Always’, il vulcanico trombettista fiorentino torna con un pulsante live in studio, sempre al crocevia tra jazz, funk e avanguardie, realizzato con un quintetto nuovo di zecca
Divergent Directions: il quattordicesimo album di Franco Baggiani 
 
FRANCO BAGGIANI
DIVERGENT DIRECTIONS
Sound Records
9 brani, 60.43 minuti
 
“Sono tornato con un quintetto che rievoca i quartetti di Ornette Coleman, il trio Air, gli Art Ensemble. Quando manca lo strumento armonico come il pianoforte automaticamente il sound assume dei colori particolari, curo molto la strumentazione in funzione del risultato finale, che in questo caso è molto più asciutto e leggibile rispetto al mio disco precedente. L’effetto “giungla” resta, ma il suono si sposta verso un idioma più vicino al mix fra free jazz storico e musica contemporanea del ‘900“. Dopo il successo di Memories Of Always, uno dei più apprezzati album del 2014, forte di una band ampia che si esprimeva nel linguaggio elettrico free-funk alla Miles Davis, Franco Baggiani torna con un attesissimo nuovo album, il quattordicesimo della sua lunga carriera: Divergent Directions, ancora una volta pubblicato da Sound Records.
 
Trombettista di lungo corso, sempre camaleontico e aperto a nuove esperienze nel mondo del jazz italiano e straniero, Franco Baggiani aggiunge alla propria discografia un lavoro ambizioso, che riassume nella metafora del titolo – direzioni divergenti… – l’idea compositiva e musicale dell’artista fiorentino. “L’improvvisazione è sempre preponderante, anche se questa volta c’è più scrittura rispetto a Memories, la differenza fondamentale sta nel colore, sicuramente più scuro e maggiormente introspettivo, si riascolta di tanto in tanto l’andamento in quattro che era scomparso nei lavori scorsi e la formula del quintetto ‘pianoless’ mi ha portato naturalmente verso un suono generale più vicino a quello delle avanguardie storiche“.
 
Rispetto all’ampio ensemble di MemoriesDivergent Directions vede Baggiani alla conduzione di un nucleo più ristretto, un quintetto con Giacomo Downie, Michele Staino, Fabio Ferrini e Alberto Rosadini, che reinventa un jazz di frontiera in cui emergono le influenze dell’autore, dal free alla musica seriale del Novecento. Brani lunghi e fitti in cui il reticolo strumentale lascia spazio ad ampie porzioni di improvvisazione in una testimonianza “nuda e cruda”, senza interventi successivi, della seduta in studio del 13 aprile 2015.
 
 
All compositions by Franco Baggiani
 
Franco Baggiani: trumpet and conduction
Giacomo Downie: baritone sax
Michele Staino: bass guitar
Fabio Ferrini: percussion
Alberto Rosadini: drums
 
 
Info:
Franco Baggiani:
Sound Records:
Synpress44 Ufficio stampa:
 
 
Una precedente intervista
 
Intervista 
 
Davide 
Ciao Franco e ben tornato su Kult Underground. E, soprattutto, ben tornato con un tuo nuovo lavoro. Partiamo dal titolo: “direzioni divergenti”. Divergente: che si discosta, con distanza via via crescente, da altri elementi con cui ha in comune il punto di partenza. Quale dunque il punto di partenza, quale quello d’arrivo eventualmente opposto? 
 
Franco 
Grazie Davide per la tua disponibilità. Il punto di partenza è il jazz, la sua storia, il suo percorso, dalle origini ai nostri giorni, un percorso fatto di bellezza ed innovazione, ed è dall’innovazione che io voglio tendere; il jazz è sempre stato una musica molto tensiva, irriverente se vogliamo nei confronti dell’establishment culturale: quindi il punto d’arrivo opposto, che sto cercando con fermezza, è quello di non pensare che il jazz sia il mainstream o il Be bop, perché faremo del jazz un qualcosa di simile alla musica barocca o rinascimentale, il che sarebbe come ucciderlo. Vedo in giro troppo sterile accademismo. Meglio rischiare ma provare, che adagiarsi su un comodo inutile letto. 
 
Davide 
Quando la scrittura, l’esecuzione esatta, e quando l’improvvisazione? 
 
Franco 
Scrittura solo quando necessario, improvvisazione sempre, il jazz è musica improvvisata con regole più o meno rigide o addirittura senza regole ma pur sempre improvvisata; la scrittura, poi, per quanto mi riguarda è morta con gli esercizi di stile e con i filologismi. 
 
Davide 
Come hai svolto la tua conduzione all’interno di un progetto come questo? 
 
Franco 
Ho dato poche e chiare indicazioni di base ed ho condotto la seduta con la gestualità che mi è solita ormai dagli anni ’90, i musicisti poi mi conoscono bene e basta uno sguardo per sapere dove andare e molto spesso basta che sia la musica a fluire, l’interplay è una cosa magnifica. 
 
Davide 
Un lavoro registrato tutto in un solo giorno, in una sola seduta in studio. Questo non dà vita a eventuali ripensamenti su qualche punto qua e là tra le cose improvvisate?  Cosa tendi a escludere, cosa a mantenere nel momento di scegliere da ore di materiale improvvisato? 
 
Franco 
Scelgo quello che mi piace e cestino quello che non piace. Abbiamo registrato quasi due ore di musica, in verità tutta bella, ed ho deciso di scegliere le cose in sintonia con il mio pensiero attuale. 
 
Davide  
Parlando di serialismo, come preordini e decidi una serie? 
 
Franco 
Semplicissimo: spesso prendo una serie già composta e la utilizzo; la serie è solo un pretesto, come le canzoni degli anni ’30 erano un pretesto per gli improvvisatori dell’epoca. Credo sinceramente che si possa utilizzare qualsiasi materiale musicale, senza timori reverenziali, e il serialismo in questo momento mi attrae, come del resto mi ha sempre attratto, ogni movimento rivoluzionario mi ha sempre attratto. Abbiamo fin troppa musica morta in giro, oggi più che mai. 
 
Davide  
Com’è nata questa formazione e perché, in particolare per questo lavoro, questa strumentazione che privilegia due fiati e una ricca sezione ritmica? 
 
Franco  
Il ritorno al quintetto mi stimolava, l’idea pianoless è stata fatta per avere la piu grande libertà nell’improvvisazione, un po’ se vogliamo facendo omaggio agli Art ensemble of Chicago. La scelta dei musicisti è stata fatta in base alle loro capacità in rapporto al lavoro che volevo esprimere. 
 
Davide 
Come si riesce a evitare il virtuosismo fine a se stesso, mantenendo una improvvisazione nel giusto mezzo tra addizione e sottrazione? 
 
Franco 
Io non sono un virtuoso, i virtuosi spesso sono stucchevoli. Credo che per avere un linguaggio artistico che non risenta di pattern, frasi fatte e virtuosismi sterili, occorra avere un percorso personale che sia basato su un lavoro quotidiano che ti porti ad individuare la tua strada fuori dai canoni. Lavoro lungo, difficile e che ti può portare fuori dal “giro” e quindi anche a lavorare meno.  Sono scelte rischiose che hanno più svantaggi che vantaggi, ma non ho il fisico da pecora nel gregge.  
 
Davide 
Nella scorsa intervista su “Memories of always” avevi anticipato un lavoro per tromba solista. Non conosco lavori per sola tromba, a parte qualcosa nell’ambito della musica classica contemporanea come quelle scritte per Mauro Maur da Bussotti, Scogna, Nicolau. O la tromba di Ambrose Akinmusire. A che punto è quel tuo progetto che si preannunciava già molto interessante e cosa in particolare stai esplorando oggi con il e del tuo strumento? 
 
Franco  
Il lavoro è gia finito, sto riascoltando proprio in questi giorni le varie tracce, uscirà non appena sarò certo di tutto ed avrò scelto le tracce. Ho usato molto  le sovraincisioni e anche l’elettronica; credo sarà un lavoro innovativo, senz’altro per il jazz italino, o più in generale per la musica sperimentale. 
Akinmusire è molto bravo, giovane e personale, merita assoluta attenzione e credo avrà una carriera luminosissima. 
 
Davide 
I suoni che escono da una tromba, sono parte di lui, disse Louis Armstrong. È così anche per te? 
 
Franco  
Assolutamente si, impossibile smentire l’insuperabile Armstrong. C’è anche un altro modo di dire: “Ognuno suona quello che è”! 
 
Davide 
Le Avanguardie avevano delle tendenze radicali a rompere con i codici artistici tradizionali e con le convenzioni borghesi. Rifiutando tutti i valori, gli avanguardisti mettevano in discussione il valore e il concetto di arte; secondo loro l’arte deve scuotere e sconvolgere, deve contribuire a migliorare la vita. La funzione dell’artista è quindi di costruire una vita estetica, dominata dall’arte. Per realizzare tutto ciò le Avanguardie fecero dello sperimentalismo il loro orientamento metodologico, operando in gruppi per abbattere ogni barriera tra le varie arti. Cosa intendi quando dici che un ensemble pianoless ti porta più vicino alle avanguardie storiche? Dopo le Avanguardie storiche e le Neoavanguardie sorte dopo la II Guerra Mondiale, cosa è oggi e com’è definibile per te un movimento o un progetto d’avanguardia.  
 
Franco  
Il termine avanguardia oggi è un termine superato. per avanguardie storiche intendo il free-jazz storico, le avanguardie anni 70 e in parte minore anche le avanguardie europe degli anni ’50 e ’60 del secolo scorso. 
Il rifiuto delle convenzioni è obbligatorio se vogliamo parlare di arte, mentre va benissimo se vogliamo parlare di riproposizione di concetti stantii. Io non so adesso come si possono nominare le nuove avanguardie, e le etichette mi interessano poco; so solo che occorre il più possibile combattere questo nuovo puritanesimo musicale, che, essendo lontano dalla vera creatività o quanto meno non fa niente per abbracciarla, ripropone cose gia sentite milioni di volte con spruzzatine qua e là di finte e disgustose novità.  
 
Davide 
Come ti immagini la tromba del futuro e nel futuro?  
 
Franco  
La tromba del futuro sarà come sempre, studiare, suonare, ascoltare e confrontarsi con tutti i musicisti e tutte le culture, e poi troverai la tua strada. Certo l’elettronica avrà un ruolo sempre più importante, ma alla fine non è la tromba protagonista, ma le tue idee che lei contribuirà a diffondere. 
 
Davide  
Grazie e à suivre…
 
Franco 
A te. A presto.

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