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Rogo – Giacomo Sartori

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CartaCanta (Forlì, 2015)
pag. 199, euro 14.00
 
Giacomo Sartori, scrittore e agronomo, ha pubblicato “Tritolo” e “Di solito mi telefona il giorno prima”, il Saggiatore, “Anatomia della battaglia, Sironi, “Sacrificio”, Pequod, “Cielo Nero”, Gaffi, “Autismi”, Sottovoce, “Avventure”, Senzapatria, “Zoo a due”, Perdisa Pop. Adesso è in libreria con  il fastidioso “Rogo”, CartaCanta. Quest’ultimo romanzo, comincerei a dire appunto, infastidisce perché fortunatamente provoca una lunga serie di paure. Ci spaventa della crudeltà e della cattiveria proposta, ché sappiamo esister ancora e che potrebbero agguantarci da un momento all’altro. Fa male in quanto, poi, dice in maniera spietata della morte interiore che potremmo trovare specie nei momenti più duri. La trama è posizionata nel Trentino-Alto Adige. Seppur vissuto in un certo senso da un autore espatriato. Rogo nasce grazie all’aggancio sensoriale con un fatto di cronaca locale, l’uccisione d’un neonato da parte della madre. “L’ambivalenza è segno di questo romanzo, in forma e in merito. La scrittura, da un lato, colpisce acuta, schegge di brace ustionanti, secca e potente; le immagini, dall’altro, evocano cime nevose di freddo e desolazione, frustate da venti gelidi fin nell’anima. Così le storie, sospese nell’ambigua esperienza della maternità, oscillano fra entusiasmo e disperazione, bulimia e vomito, dolcezza sognante e incubi neri. La struttura s’impernia su tre personaggi femminili, tutti coinvolti nel rogo della gravidanza, ognuno a modo proprio, ognuno col suo destino mai coincidente con le aspettative”, ha scritto con acutezza impressionante Andrea B. Nardi (www.lapoesiaelospirito.com). Che abbiamo in questo modo saccheggiato, pescando da alcune valutazioni critiche dell’opera. Entrando nelle vicende di Rogo sentiamo le martellate potenti inferte ai personaggi da voci e visioni. L’assurdità, diciamo, dei sogni rivelatori. La bellezza malata dello sviluppo dei passaggi sulla reincarnazione. Anche noi, forse, ci siam sentiti un po’ perseguitati dalla Gheta. Consci che il martirio interiore distrugge ovviamente quanto quello fisico. (Se non di più). Lo stile scelto da Sartori passeggia fra la semplice fluidità propria d’una natura associata sicuramente a luoghi fisici e ideali, alla forza ispida d’una natura che da qui si dissocia.

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