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Venezia 2015

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72a Mostra Internazionale D’arte Cinematografica
 
Il Festival di quest’anno conferma il buon lavoro della gestione Barbera e del suo staff, arrivato alla quarta edizione, e si avvia ad una longevità che negli ultimi anni aveva contraddistinto il solo Marco Müller. Non sembrano, infatti, esservi all’orizzonte grandi stravolgimenti anche in ambito logistico, dopo l’accantonamento del progetto del nuovo palazzo del cinema e la conseguente ristrutturazione delle sale esistenti. Le strutture appaiono ormai essere adeguate ad accogliere il pubblico del Festival. Anche se i dati ufficiali registrano un aumento del numero di biglietti venduti, la presenza degli accreditati sembra essersi stabilizzata. È da qualche anno che non si vedono più le resse alle sale (soprattutto nel primo weekend festivaliero) con code esasperate rimaste fuori dalle proiezioni. Anzi l’esigenza oggi è forse quella di chiudere anche il secondo weekend del Festival con un numero di presenze più significative (evitando quell’aria un po’ di smobilitazione che si assiste già alla metà della seconda settimana), legandola, come è stato quest’anno con la presenza di Vasco Rossi, anche ad eventi cinematografici più insoliti. In quest’ottica si può interpretare l’apertura, in questa edizione, del “Cinema nel Giardino”, uno spazio all’aperto gratuito accessibile anche al pubblico esterno al Festival, dove sono stati programmati film ed incontri a tema con attori e registi. Bella iniziativa che va ad occupare fisicamente quelli che erano gli spazi commerciali del Festival, oramai divenuti anacronistici dopo l’arrivo di internet e dei nuovi mezzi che la rete mette a disposizione per l’accesso ai film. Trovo che il giusto equilibrio nel cercare di avvicinare sempre più pubblico al Festival per tutta la sua durata e la buona organizzazione delle proiezioni, oltre naturalmente al mantenimento della qualità della selezione proposta, sia l’obiettivo essenziale della Mostra del Cinema nei prossimi anni.
Parlando dei film di questa edizione, direi che per il Concorso Ufficiale siamo in linea con le selezioni degli ultimi anni, con film più o meno interessanti ed un discreto livello, per Orizzonti una buona annata rispetto ad edizioni precedenti per me deludenti, ed invece qualche punto interrogativo in più dalle sezioni “ospitate” della Settimana della Critica e delle Giornate degli Autori, piuttosto in calo dopo alcune gradevoli annate. C’è da dire che la variabile fortuna nel selezionare un percorso interessante in due settimane di Mostra, dovendo inevitabilmente fare delle scelte sui film, gioca un ruolo decisivo sulla valutazione del livello. Da segnalare alcune cose interessanti anche nei Fuori Concorso, eccezion fatta per la parziale delusione del film di apertura, un “EVEREST (3D)” abbastanza fiacco con un cast stellare malamente sfruttato. Interessanti i due documentari storici-politici “WINTER ON FIRE” di Evgeny Afineevsky e “SOBYTIE (THE EVENT)” di Sergei Loznitsa. Il primo documenta i novantatré giorni a cavallo tra il 2013 e il 2014, quando le manifestazioni e le proteste del movimento Euromaidan portarono, dopo tragici risvolti, alla fuga dell’allora presidente Viktor Janukovyč. Il secondo racconta, attraverso materiale d’archivio, il fallimento, nell’agosto del 1991, del colpo di stato organizzato da un gruppo dirigente di comunisti intransigenti, le cui conseguenze portarono, dopo settant’anni, al crollo dell’URSS ed alla nascita della Federazione Russa. Altri due interessanti documentari Fuori Concorso sono stati “DE PALMA” di Noah Baumbach/Jake Paltrowin, una lunga intervista al regista Brian De Palma che ripercorre in maniera simpatica la sua carriera cinematografica, e l’ultimo Frederick Wiseman “JACKSON HEIGHTS”, girato nel quartiere Jackson Heights, nel Queens a New York, sede di una delle comunità etnicamente e culturalmente più eterogenee degli Stati Uniti.
Fra gli ultimi Fuori Concorso da segnalare, l’ultimo film girato da Claudio Caligari, dopo la sua morte avvenuta a maggio di quest’anno, “NON ESSERE CATTIVO”, storia della malavita ostiense nella metà degli anni 90’, e “SPOTLIGHT” di Thomas Mccarthy, bel film di cronaca giornalistica sugli scandali legati alla pedofilia che vide coinvolta la Chiesa Cattolica della città di Boston negli anni duemila. Film che avrebbe meritato il Concorso Ufficiale e che sarebbe stato probabilmente premiato (decisione politica?…).
Del mio percorso Orizzonti, che mi ha portato a mancare il film vincitore, ho apprezzato soprattutto tre pellicole: “MOUNTAIN” di Yaelle Kayam, “KRIGEN (GUERRA)” di Tobias Lindholm e “TEMPÊTE” di Samuel Collardey. “MOUNTAIN”, israeliano, è un film “curioso” e interessante per una serie di motivazioni: il contesto religioso, una famiglia ebrea ortodossa; il contesto fisico, una casa dentro al cimitero ebraico sul Monte degli Ulivi a Gerusalemme; il contesto familiare, una donna madre e casalinga trascurata dal marito, studioso religioso, sempre assente; il contesto sociale, il mondo notturno non religioso; ed il finale misteriosamente aperto, lasciato allo spettatore. Da vedere.
Tobias Lindholm il regista di “KRIGEN” era stato alla Mostra anche nel 2012 con il bel film“KAPRINGEN (A HIJACKING)”. Come nel suo precedente, anche in questo film il regista danese affronta problematiche internazionali. In una provincia afghana, un contingente militare danese è impegnato nella guerra contro i talebani. Durante un attacco succede qualcosa che cambierà la vita al comandante del contingente. La pellicola è interessante perché oltre ad analizzare le problematiche dei singoli soldati impegnati in battaglia, induce anche ad una riflessione sui molteplici aspetti e punti di vista, spesso conflittuali, che una guerra internazionale, impegnata su fronti lontani e di difficile comprensione, fa emergere nei singoli individui e di come visioni differenti e contrastanti, possano essere egualmente condivisibili, valutate nel loro specifico contesto.
“TEMPÊTE” è un film francese girato nel territorio del porto di Les Sables d’Olonne, una cittadina della Francia occidentale. Tempesta, oltre ad evocare il proprio mestiere di pescatore, è anche quella che attraversa il protagonista della storia, nella difficile situazione di riuscire a coniugare le problematiche familiari con il proprio duro lavoro che lo porta a rimanere in mare ininterrottamente per diversi giorni. La pellicola è lineare, interessante e ben girata e supportata dall’ottima interpretazione dell’attore protagonista Dominique Leborne, che gli è valso anche il Premio Orizzonti per la Miglior Interpretazione.
Prima di parlare del Concorso Ufficiale è interessante analizzare i premi assegnati.
Leone d’Oro miglior film: “DESDE ALLÁ (FROM AFAR)” di Lorenzo Vigas (Venezuela, Messico).
Leone d’Argento migliore regia: “EL CLAN” di Pablo Trapero (Argentina, Spagna). 
Gran Premio della Giuria a: “ANOMALISA” di Charlie Kaufman e Duke Johnson (USA). 
Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile a: Valeria Golino nel film “PER AMOR VOSTRO” di Giuseppe Gaudino (Italia). 
Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile a: Fabrice Luchini nel film “L’HERMINE” di Christian Vincent (Francia). 
Premio Marcello Mastroianni a un giovane attore emergente a: Abraham Attah nel film “BEASTS OF NO NATION” di Cary Joji Fukunaga (USA). 
Premio per la Migliore Sceneggiatura a: Christian Vincent per il film “L’HERMINE” di Christian Vincent (Francia). 
Premio Speciale della Giuria a: “ABLUKA (Follia)” di Emin Alper (Turchia, Francia, Qatar).
È stata una delle edizioni del Festival in cui si è registrata la maggior differenza di giudizio fra la Giuria Ufficiale ed il pubblico/stampa che ha assistito alle proiezioni. Vedendo i premi, soprattutto per i due più importanti, è difficile non pensare che il presidente di giuria, il regista messicano Alfonso Cuarón, sia stato un po’ “casalingo” influenzando i giudizi verso una certa direzione, cosa che era successa anche qualche anno fa quando il presidente di giuria fu  Quentin Tarantino. Almeno metà dei film in concorso erano meglio dei due sudamericani premiati. Se il premio ad “ANOMALISA”, una pellicola singolare di animazione stop-motion, abbia voluto confermare il talento originale di Charlie Kaufman, è abbastanza stravagante che siano sono stati invece completamente ignorati altri due famosi registi come Aleksandr Sokurov e Amos Gitai. “FRANCOFONIA” di Aleksandr Sokurov, al di là dei giudizi personali, è un percorso nell’arte che non può lasciare indifferenti, e se la scelta di non premiarlo magari è stata influenzata dal Leone d’Oro vinto nel 2011 dal regista russo, per “RABIN, THE LAST DAY” di Amos Gitai il sospetto che non si siano volute innescare polemiche dando rilievo ad un film inevitabilmente politico, che ripercorre la figura di Yitzhak Rabin, politico israeliano e Premio Nobel per la pace, ucciso dopo un comizio nel novembre del 1995 da un colono ebreo estremista, è piuttosto plausibile e pone preoccupanti interrogativi.
Personalmente ho apprezzato molto entrambi i film francesi del Concorso Ufficiale: “L’HERMINE” di Christian Vincente “MARGUERITE” di Xavier Giannoli. Per entrambi, storie ben costruite supportate da due magnifiche interpretazioni. Quella di Fabrice Luchini, giustamente premiato con la Coppa Volpi, che interpreta magistralmente la figura di un presidente di tribunale, e quella di Catherine Frot (forse avrebbe meritato la Coppa Volpi) nei panni di una ricca proprietaria con la passione/ossessione dell’opera, nella Francia dei ruggenti anni venti, dopo la fine della Prima Guerra Mondiale. Se il cinema francese, con le sue pellicole ufficiali, al di là delle innumerevoli coproduzioni, esce bene da questa edizione veneziana, la vera delusione è stato il cinema italiano in quasi tutte le selezioni.
Per i quattro film del Concorso Ufficiale, “L’ATTESA” di Piero Messina e “PER AMOR VOSTRO” di Giuseppe Gaudino si salvano quasi esclusivamente per le attrici protagoniste, Juliette Binoche e Valeria Golino. Il primo risulta debole nella trama stessa della pellicola e a poco vale giustificare una bella fotografia, per il secondo vale il contrario, una buona storia ma rappresentata male con alcuni sprazzi onirici-religiosi in stile video arte piuttosto discutibili. “A BIGGER SPLASH” di Luca Guadagnino e “SANGUE DEL MIO SANGUE” di Marco Bellocchio sono invece da bocciare in toto, soprattutto nella scelta di giocare stravolgendo la linea della trama e degli eventi, risultando in definitiva piuttosto irritanti che genialmente originali.
Anche nelle “sezioni ospitate” buio pesto. “VIVA LA SPOSA” di Ascanio Celestini nelle Giornate degli Autori si può inserire fra i peggiori film in assoluto visti quest’anno. Il regista-attore dimostra di essere decisamente più a suo agio in un contesto teatrale piuttosto che cinematografico ed evidenzia ancora una volta che il passaggio teatro-cinema non è scontato e difficilmente adattabile se trattato superficialmente.
Nemmeno “LA PRIMA LUCE” di Vincenzo Marra, girato fra Bari e Santiago del Cile, sempre nelle Giornate degli Autori, può essere definito un film indimenticabile. Nella Settimana della Critica, “BANAT (IL VIAGGIO)”, opera prima del trentottenne Adriano Valerio, è risultato essere un po’ debole e acerbo. Da ricordare soprattutto per aver recuperato la canzone “Se t’amo t’amo” di Rosanna Fratello, un brano stracult.  Come già anticipato precedentemente, la delusione di questo Festival sono state proprie le due sezioni “ospitate” della Settimana della Critica e delle Giornate degli Autori, i film scelti non sono sempre sembrati all’altezza e la sensazione che si sia fatto fatica a mettere insieme una selezione convincente è stata concreta. Peccato perché nei Festival scorsi hanno sempre offerto pellicole originali ed interessanti. Sono comunque convinto che torneranno protagoniste già nella prossima edizione.

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