KULT Underground

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La musica di Alessandro De Caro

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Conosco Alessandro De Caro da molti anni; ben quindici credo. Abbiamo fatto anche qualcosa insieme di musicale e di poetico. E ci si vede ancora di quando in quando per scambiarci un po’ di musica: i dischi, i cd, quelli veri, come una volta, come di Rachel’s e di Glenn Gould, di Philip Glass o di Penderecki, e non soltanto gli mp3 e i file zippati via internet di un mondo sempre più immateriale. Ma se ne scrivo oggi non è per questo motivo, cioè per un’amicizia, bensì per la qualità della sua opera che ho visto, anzi che ho ascoltato crescere negli anni. Certo, in questo ultimo caso, ho dovuto ascoltarla nel regno dell’immateriale che è internet perché, e questo ha anche di buono internet, è grazie al web che un musicista, un compositore oggi può affidarsi per offrirsi a un pubblico, misurarcisi. E per farsi conoscere, eventualmente, – senza doversi autoprodurre spesso a perdere – anche per trovare una piena, vera e meritevole sistemazione discografica, prima o poi.
Alessandro De Caro, da sempre sedotto da Chopin e da Satie, dal minimalismo, dalla musica ambient e da tutta la musica classica, nel senso vero del termine che non ha limiti di età o di genere perché serve da modello e pone le basi, ed è quindi a suo tempo anche avanguardia, da Gesualdo a Stockhausen, da Klaus Schulze a Brian Eno, dai Cocteau Twins a David Bowie e via dicendo, ha composto nove ottimi brani al pianoforte che riprendono il lavoro del minimalismo di un John Adams o di un Michael Nyman, o del romanticismo di Chopin con le sue note persistenti e ossessive che fanno da sfondo e al contempo puntellano l’arpeggio o la melodia, che indicano forse più di tutto il resto i cupi e complessi  retroscena del suo animo. E riprendono anche il lavoro svolto da una intera scuola di compositori nordici che costituiscono da un secolo ormai una perdurante seconda ondata di romanticismo in chiave moderna che accoglie cautamente la modernità dei nuovi metodi di composizione per non perdere o non rinunciare mai del tutto alle caratteristiche "nordiche" della nostalgia, dell'oniricità. E nostalgia e oniricità sono le parole chiave di quest’opera di De Caro.
 
 
The end of spring
Trust in you
In the sacred wood 
Dust and secret
Listening the ruines
I wonder why she went away
Reflections of a big city
Ancient days
The bell jar
 
Biografia
Pianista e compositore, ha svolto buona parte dei suoi studi presso il DAMS (Dipartimento di Arte, Musica e Spettacolo) in ambito musicale, e il Conservatorio di Milano. Si occupa da diversi anni di musica applicata, collaborando con artisti di ambiti diversi in cui il suono svolge un ruolo importante: installazioni, teatro, video. E' stato candidato selezionato al SoundLAB VII, sezione musicale del New Media Festival di Colonia (Germania). Alcuni suoi brani fanno parte di antologie discografiche pubblicate in Italia e all’estero (Neumi, Soundgate, SoundLab Project).

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